Intervista a Gaetano Lestingi dei Legittimo Brigantaggio

Musica (folk rock italiano), filosofia, impegno civile, arte, poesia: questi sono i Legittimo Brigantaggio, la band che riporta la canzone indipendente ad essere ciò che è. Ne abbiamo parlato a trecentosessanta gradi con Gaetano Lestingi, scrittore-cantante e compositore del gruppo.

Puoi dirci da dove nasce il nome della band Legittimo Brigantaggio? E il perché della scelta?

Cercavamo un nome che rappresentasse al meglio gli intenti e la filosofia dell’intero progetto musicale. Ci siamo ispirati al Brigantaggio pre-unitario del periodo napoleonico: i briganti della nostra terra (la zona dei Monti Lepini) erano una sorta di Robin Hood che, davvero, rubavano ai ricchi per dare ai poveri. In attinenza con tale pensiero abbiamo cercato e cerchiamo di far passare un messaggio semplice: che i veri “artisti” non si schierano con il potere, con i luoghi comuni, con il “sentito dire” ma cercano di leggere le ingiustizie della realtà e portare a conoscenza di chi ascolta che c’è un’Italia “altra” che non ha grossa risonanza ma che cerca di camminare con le gambe dell’impegno civile e ha dalla sua parte una parola meravigliosa: la coerenza. E proprio per tale motivo il nostro Brigantaggio è Legittimo: probabilmente perché vediamo la vera legge nei briganti.

Il Cielo degli Esclusi (CNI Music, 2008), lo scorso vostro album, è stato quello che vi ha portato fuori dall’ombra. Lo potevate immaginare? Cosa vi ha unito e spinto a registrare un disco dall’ascolto immediato ma dai contenuti profondi?

Con Il Cielo degli Esclusi abbiamo vinto il Premio della Critica al concorso Voci per la Libertà, Una Canzone per Amnesty International; abbiamo avuto illustri collaboratori, dai Modena City Ramblers, ai Bisca passando per gli Yo Yo Mundi: ne siamo felici. Tuttavia, a noi non interessano tanto i numeri, anche perché la quantità non è sempre sinonimo di qualità: a noi è sempre interessata la coerenza dei temi e il rispetto del nostro pubblico; non vogliamo arrivare a tutti, ma alle persone che vogliono ascoltare le nostre canzoni e le nostre tematiche. Per quanto riguarda la spinta a registrare un disco immediato ma profondo credo dipenda dal fatto che i Legittimo Brigantaggio hanno un nucleo storico fondante che si conosce fin dall’infanzia: con il chitarrista Pino Lestingi (mio fratello) e il bassista Domenico Cicala ci accomunano gli anni passati insieme e la sensibilità verso le stesse tematiche.

Nel luglio 2010 avete suonato al Festival Les Italiennes de Clisson vicino a Nantes, era la prima data fuori dall’Italia? Cosa vi siete portati a casa da questa esperienza?

I Legittimo Brigantaggio avevano già suonato in Francia nel 2006. Non voglio essere polemico e banale, preferisco essere sincero come sempre: l’esperienza di Clisson ci ha fatto portare a casa un approccio verso la musica che l’Italia è lontana dal recepire. Dai fonici agli organizzatori del concerto, la professionalità e la gioia nell’occuparsi di musica splendeva nei loro occhi. A me ha colpito tantissimo l’attenzione del pubblico francese, seduto ad ascoltare l’esibizione con la voglia di lasciarsi trasportare dai brani; a fine concerto in fila al banchetto a comprare i nostri dischi e a porgere domande su una particolare canzone o sulla band.

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Veniamo al vostro nuovo album: Liberamente Tratto (Cinico Disincanto / Audioglobe). Siamo soltanto all’inizio del 2012 ma sono sicuro che sarà uno dei migliori album folk rock italiano di quest’anno, ed ha la stoffa per presentarsi ai migliori festival europei.

Avete leggermente mutato il vostro sound rendendolo più rock, più crudo, meno suadente de “Il Cielo degli Esclusi”. Siete incazzati o avete lasciato libera espressione alle chitarre elettriche? Cosa è cambiato realmente nella band in questi anni? Quale è stata la cosa che ti ha colpito di più riascoltandolo?

Come si fa a non essere incazzati nel vivere o, meglio, sopravvivere in questo periodo storico? Le chitarre distorte sono metafore che meglio di altre espressioni evidenziano tale rabbia. Qui non si parla soltanto di questioni economiche; il problema è la decadenza intellettuale che si percepisce ogni giorno di più. Sembra quasi che l’intelligenza collettiva vada scemando, addirittura la musica cosiddetta “indipendente” non emoziona più come un tempo: è il periodo storico della disillusione.
La band si è trasformata dando più risalto alle chitarre, condendo il tutto con l’apporto dell’elettronica.

Ciò che più mi colpisce nel riascolto dell’album sono i testi: chi vuole può darmi del presuntuoso, faccia pure, ma sono sincero nel dire che i testi della musica indipendente non mi rapiscono più. Che ci posso fare? In più, non so se ci stiamo rendendo conto, ma da parte di alcune riviste musicali sta passando un messaggio atroce: che i gruppi musicali non debbano occuparsi di politica. Scusate, ma un autore non è libero di scrivere ciò che vuole? Chi decide cosa si debba scrivere e perché? Dal mio piccolo punto di vista la spiegazione è semplice: parlare di aspetti socio-politici è impegnativo e difficoltoso e non tutti ne hanno voglia e capacità. Tuttavia, per i Legittimo Brigantaggio la musica è impegno e cultura, non è evasione: chi vuole “evadere” può andare al circo.

Ho sempre in mente un meraviglioso pensiero di Fabrizio De André: “Tu sei liberissimo di non occuparti di politica; sappi, però, che la politica si occupa di te”.

La ricerca di poesia in ogni vostra canzone non è mutata, in questo cd avete preso ispirazione da diversi autori (Giuseppe Pellizza da Volpedo, José Saramago, Joseph Nicéphore Niépce, Bohumil Hrabal, François Truffaut, Antonio Pennacchi, Erich Maria Remarque, Umberto Galimberti, Pier Paolo Pasolini, Ennio Flaiano, Simone De Beauvoir). Quali messaggi avete cercato in questi autori? Sono state scelte mirate o sono stati incontri casuali che si sono trasformati in canzoni?

Assolutamente scelte mirate. Cercavamo, tra le nostre letture, storie di stasi all’improvviso modificate da una novità rivoluzionaria: l’esempio più brillante è Il Diavolo Nella Camera Oscura, brano che racconta, a livello emotivo, le vicissitudini della prima foto della storia dell’umanità. Il concept dell’album è, quindi, l’Abitudine.

L’artwork dell’album ha mani e dadi che si ripetono in ogni tavola. Cerca di dare all’ascoltatore degli indizi per capire il senso chiuso nel titolo: Liberamente Tratto. Ci puoi raccontare il perché di questi due elementi in rosso, bianco, grigio? Chi è l’artista che ha curato i disegni?

I disegni originali sono di Gaia Gianardi, una pittrice di Latina. Gaia ha ascoltato in anteprima il disco, realizzando per noi le tavole della copertina e del libretto. Le mani sono stanche e i dadi sono truccati, e il tutto pone una riflessione e un ripensamento esistenziale: dai romanzi, dai film, dalle opere d’Arte si ricomincia, si traggono canzoni per emozionarsi l’un l’altro. L’idea è proprio questa: buttiamo via tutto il trucco, tutto il falso che finora ci è stato inculcato e ripartiamo dall’Arte, dai libri, dalla Cultura. Stanchi del falso e delle menzogne ripartiamo dall’impegno. Per quanto riguarda i colori ti posso raccontare una curiosità: quando i Legittimo Brigantaggio scrivono e realizzano un album immaginano dei cromatismi che più lo possano rappresentare; questo disco non poteva che essere grigio, a rappresentazione della stanchezza, bianco e rosso per la purezza dell’intento e la rabbia di cambiare i dadi in tavola!

Avete fatto uscire un video promozionale del disco usando la canzone “Tempo di Uccidere”, bellissimo il gioco di luce ed ombre. I due protagonisti sono amanti nella vita privata e, sembrano, vittime/carnefici al di fuori da quella stanza. Vorrebbe essere una riflessione sulla realtà contemporanea? Chi ha dato il là all’idea?

L’idea è del regista Emiliano Locatelli, e sono soddisfatto delle tue parole che hanno colto il significato del videoclip. Due ragazzi passano una notte d’amore senza conoscersi; il mattino seguente cercano entrambi indizi sull’altro. Lui è un poliziotto, lei un’anarchica insurrezionalista. Si preparano per uscire: lei andrà ad una manifestazione, la stessa in cui il poliziotto si scontrerà con i manifestanti, senza sapere della presenza di lei. Al ritorno a casa lui apprenderà dal TG la notizia della morte della ragazza uccisa negli scontri con la polizia. Un clip sulla scarsa conoscenza dell’altro, sulla mancanza di curiosità verso l’essere umano.

Il libretto dell’album si chiude con una citazione in francese di Simone de Beauvoir tratto dalle “Mémoires d’une jeune fille rangée”. Quanto questa pensatrice ha influenzato il disco e quanto la tua vita?

Simone de Beauvoir è stata la prima scrittrice femminista moderna del ‘900. Ho conosciuto la sua opera grazie all’amore che nutro nei confronti del suo compagno, Jean Paul Sartre. Da sempre attenti alle tematiche femministe, non potevamo che far recitare un passo delle “Mémoires d’une jeune fille rangée” direttamente a una voce femminile in francese. Siamo nell’ultimo brano del nuovo disco, Tempo di Uccidere, dove si parla essenzialmente di femminismo, di come si possa uccidere, anche se per sbaglio, una donna etiope perdendo col tempo il rimorso di averlo fatto. Il brano è una dedica al mistero femminile, quel mistero splendido che noi uomini non possiamo comprendere: la maternità.

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Pietro Bizzini

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