Accade che incontri un artista per strada e rimani incuriosito.
Ti fermi, guardi la tela e inizi a parlare.
Se poi è un giovane artista sei ancora più incuriosito.
Ingredienti: artista/strada/tela/colori/cavalletto/pennello/no digitale…
L’incontro si è ripetuto nell’arco di qualche settimana, in circa 2 mesi.
Man mano che le sessioni “en plein air” andavano avanti, il quadro procedeva: una inquadratura che prende forma nel tempo, dettagli, ombre, luci, progressioni lente.
Il tempo dell’attesa, occhi che vanno su’ e occhi che vanno giù, pensieri e sguardi che diventano reali, prendono forma, alberi che vengono aggiunti, un’ ombra che passa davanti a un cornicione, angoli dimenticati della città che prendono vita.
Dalla ricerca di forma, alla firma.
Giuliano Brancale, in arte Gibrah, è di Pistoia, del 1996.
Laurea Triennale in Storia e Tutela dei Beni Artistici (Università degli Studi di Firenze) poi nel 2023 la Laurea Magistrale in Pittura all’Accademia Albertina (Torino).
Gibrah si interessa di soggetti quotidiani quali ritratti, nature morte e paesaggi urbani.
Questa è una storia di città, di un giovane fiorentino in Torino, ne conosco altri, c’è una strano magnetismo Torino-Firenze, vai a sapere perché.
Questa l’intervista che ne è nata:
1-La tua prima tela, cosa consideri la tua prima opera che ti ha fatto dire: vorrei fare il pittore?
Bella domanda!
In realtà si è trattato di un processo molto lento e organico. Diciamo che fin da quando ho ricordo mi sono perso di fronte ai fogli di carta, alla superficie bianca da colorare e ho sperimentato, come è naturale, vari approcci artistici.
Forse ho capito di voler diventare pittore quando ho iniziato a disegnare dal vero, ovvero a interessarmi per la prima volta alla rappresentazione in diretta della realtà (e non della propria immaginazione…).
Ho subito sentito che, finalmente, stavo trovando la strada giusta per me e per domare la mia curiosità.
2-Brancale bambino cosa sognava di fare da grande?
Sognavo di fare l’esploratore!
Come tutti i bambini, amavo particolarmente gli animali e i libri di paesaggi e paesi del mondo.
Inoltre, restavo ore incollato di fronte alla TV a guardare documentari naturalistici con grande piagnisteo delle mie sorelle.
Resto tuttora curioso di fronte alla varietà degli habitat e volenteroso di viaggiare, non per forza al capo del mondo.
3- Il tuo colore preferito, oppure i tuoi colori preferiti
Il mio colore preferito ultimamente è il Blu Reale, un grigio-azzurro magnifico per raffreddare i toni nel modo giusto. In generale, amo i colori acidi ma pastello e cerco di ottenerli spesso usando molto bianco.
4- Torino per un pittore è una città che permette di lavorare bene? Una città che ispira? O potresti lavorare ovunque?
Torino è una città che interseca in modo molto organico realtà professionali di qualità e reti più informali ma altrettanto valide, quindi è stimolante a livello professionale.
Non penso solo alla pittura, in generale musica, cinema e belle arti si appoggiano su un sistema capillare di spazi eterogenei, capace – credo – di far sentire ognuno a casa propria.
Torino come città è un’ispirazione costante; da quando sono arrivato 3 anni fa non ho mai smesso di esplorarla, perdendomi nei vari quartieri, pian piano conoscendone i dintorni, amandone i grandi parchi e la particolare urbanistica.
La Torino di facciata, quella elegante, risorgimentale, dei salotti, delle magnifiche piazze dagli inquietanti monumenti, ma anche la Torino popolare, sovraffollata, sporca, “pericolosa” : tutto questo è entrato nei miei quadri e continuerà a ispirarmi.
Detto questo, subisco molto il fascino dei luoghi e potrei lavorare ovunque, escluse forse le periferie di grandi città.
5-C’è una aspirazione particolare nel tuo dipingere?
Credo di non essere ancora abbastanza maturo per poter rispondere in modo univoco.
La mia aspirazione è innanzitutto egoistica, ovvero di vivere sempre e il più a lungo possibile la pittura come un mezzo per placare e direzionare la propria curiosità.
Sono contento quando un mio quadro emoziona qualcuno, ma non è qualcosa che si raggiunge programmaticamente, credo.
6-Un quadro che avresti voluto dipingere…
Avrei voluto dipingere un ritratto a olio di mio nonno materno. È ancora in vita e in formissima per i suoi 94 anni ma, insomma, credo gli richiederebbe un sforzo troppo grande posare abbastanza a lungo per un quadro.
Dipingere un ritratto dal vero è sempre un momento condiviso di grande intimità col ritrattato, a prescindere dal risultato.
Lo vorrei dipingere perché sento che se ne sta andando, anche se con grande serenità, e sarebbe molto bello ricordarlo così.
7- Fantasy dinner con artisti di ieri o di oggi, chi inviti a cena?
Il mio sogno irrealizzabile è di incontrare per caso lo scrittore e poeta Hermann Hesse, Premio Nobel per la letteratura 1946, e di poterlo guardare negli occhi, poi, seguirlo in un parco, vederlo fumare un sigaro guardando gli alberi e pranzare con lui in una di quelle osterie di campagna che descriveva tanto bene.
È uno degli esseri umani di cui sono invaghito di più.
8 -Marketing e pittura: ma non si sta esagerando?
Forse sì, forse no.
Si sta esagerando nel “domesticare” la pittura: tutto diviene funzionale a un intrattenimento innocuo dello spettatore. Il marketing è fondato sull’avvicinare i fruitori a un prodotto.
Ma la pittura, come tutte le arti, non dovrebbe essere scambiata per un prodotto facile sempre.
Detto questo, sento sotto pelle che questo sistema comunicativo fa acqua da tutte le parti e mi spaventa il giusto.
Il sistema arte sta cambiando: abbiamo un’estrema fame di contemplazione reattiva e questo bisogno il marketing lo ha castrato solo apparentemente.
9 – E dietro la curva?
Direi la luce, nel senso che sento una spinta a allontanarmi dall’Italia e dal buio che la aspetta.
Vorrei andare a vivere in Francia, circondato dal verde e da borghi medievali.
Intervista a cura di Eraldo Mussa
LINK INTERNO ALLA PARTE 1 : Cronistoria di un quadro, per immagini.