Terminata la legislatura, il 4 marzo gli italiani, in patria e all’estero, sceglieranno il nuovo parlamento (Camera e Senato). Il Paese, in ripresa come certificato da tutti gli istituti italiani ed esteri, attende di conoscere il suo prossimo destino. Si vota con una legge nuova che non sembra garantire una facile governabilità. Malgrado gli appelli del Presidente della Repubblica, si teme una forte astensione. Eppure, l’Italia è ad uno snodo importante ed ancora di più occorrerà votare di testa prima che di cuore. Ecco le coalizioni in lizza con i pro e i contro per votarli.
A queste prossime elezioni del 4 marzo, non anticipate, e per gli standard italiani è già tanto, ci si arriva con una legge elettorale che francamente a molti non piace. Si tratta di una sorta di “Mattarellum” rovesciato, dove il maggioritario è solo il 35% e il proporzionale è ben il 65%. Una legge che costringe i partiti alle coalizioni, prima o dopo il voto, e che ben difficilmente consentirà al Paese di avere la necessaria governabilità.
La sconfitta referendaria del 4 dicembre 2016 ci obbliga inoltre ad avere anche il Senato nelle identiche funzioni della Camera, con tutte le difficoltà che cio’ comporta per poter licenziare, in tempi utili, leggi a volte finanche indispensabili ed urgenti.
Appare bizzarro che i partiti indichino dei candidati premier (cosa che aveva un senso con una legge a vocazione maggioritaria) e cosi i presunti candidati alla poltrona di palazzo Chigi, lo sono più di copertina che di fatto. Tanto che nel PD, lo stesso segretario Renzi, che per statuto di partito (voluto da Veltroni) sarebbe il candidato premier, ha già lasciato intendere che per lui Gentiloni va bene cosi.
E’ evidente che il proporzionale induce ad improbabili alleanze di cartello che saranno pronte a dissolversi al momento dei giochi per la formazione di un governo. Si è dunque avviata la campagna elettorale, dopo posizionamenti e riposizionamenti, morte e nascite di piccoli partiti (i famosi cespugli) che con questo odiato (almeno da me) sistema elettorale potranno ancora condizionare con il loro 1% le scelte del paese. La chiamano democrazia.
Cerchiamo, con tutta l’obbiettività, di cui non siamo capaci, di verificare i pro e i contro dei maggiori schieramenti in vista di un voto che, malgrado gli accorati appelli di fine anno del Capo dello Stato, potrebbe coinvolgere solo una parte e nemmeno vasta degli elettori.
I favoriti.
Secondo i sondaggi la vittoria dovrebbe toccare alla destra, che in queste ore ha visto coalizzarsi Forza Italia (con Berlusconi in fremente attesa del giudizio della Corte Europea per poter essere rieleggibile), la rampante Lega (non più Nord) di Salvini, Fratelli d’Italia della Meloni e con la quarta gamba, la new entry (ma solo di nome), “Noi con l’Italia” che comprende gli ever green Fitto, Lupi e Cesa, fra gli altri.
Aritmeticamente si tratta di una forza che potrebbe raggiungere e superare il 40% dei voti, facendo scattare cosi quel premio di maggioranza che darebbe al paese la sospirata governabilità. Questo è sicuramente un pro per votare a destra. Solo che poi, nei fatti questa coalizione faticherà molto ad essere coerente ed omogenea. Già le premesse sono complesse. La Lega in Europa è alleata alla Le Pen della estrema destra francese ed è antieuropeista e convintamente contro l’Euro. Forza Italia, invece, fa parte del PPE e dunque convintamente europeista. Inoltre, già in queste prime giornate di campagna elettorale sono sorte tensioni in quel raggruppamento. Salvini vuole abolire l’obbligatorietà dei vaccini, voluta dal governo Gentiloni, in questo apparendo molto vicina al M5S di Grillo, Forza Italia ha già detto che in caso di vittoria manterrà quella legge che peraltro ha votato in Parlamento. Salvini vuole abolire la legge Fornero cosa che non convince per nulla il cavaliere. Salvini si candida come premier della coalizione ma è contraddetto sia dalla Meloni che da un furibondo Berlusconi.
Insomma, il rischio è che i sogni di governo della destra muoiano all’alba, dimostrando da subito l’impraticabilità di un programma comune (che di fatto ancora oggi non c’è) e, come nel ventennio berlusconiano già vissuto, dovremmo riabituarci ad un Paese bloccato, incapace di fare riforme, con una nuova stagnazione sociale ed economica che farebbe ricadere di nuovo nel baratro l’Italia che appena ora è riemersa da una delle più pesanti crisi economiche mondiali degli ultimi secoli.
Tutti i dati indicano che l’Italia è in netta ripresa da ultima anche l’agenzia di rating internazionale Standard & Poor’s ha certificato che ormai il Paese è in linea con le maggiori economie europee. Prima di lei le stesse cose sono state sostenute dagli inconfutabili dati riportati dall’ISTAT e dal CENSIS, dall’OCSE, dalla BCE e della FMI. Questo costituisce un contro a quel voto che potrebbe non garantire nei fatti proprio quell’aritmetica maggioranza di governo. Un paese in ripresa, l’ultima cosa che deve fare e bloccare la crescita nel nome di giochini politici e di potere.
M5S – Possibili primi nei sondaggi.
Di Maio sarà il candidato leader dei grillini, eletto con delle primarie (molto discusse, non aveva di fatto concorrenti). Fortemente voluto da Grillo che lo ha incoronato suo delfino, il campano ex Steward di stadi calcistici e webmaster, sta girando in lungo e in largo il paese.
Certamente il pro è che si tratta di una forza nuova, ma difficilmente potrà raggiungere da sola il 40% dei voti, non si è coalizzata con alcun altro partito, ma ove ci riuscisse (cosa non semplice), potrebbe imporre tutta la sua novità e il suo entusiasmo. Il problema è che non appare ancora molto chiaro il suo programma.
Di Maio è partito con la promessa di un referendum sull’Euro, una sorta di brexit all’italiana, salvo poi accorgersi che la promessa era incostituzionale e quindi ha fatto una precipitosa marcia indietro sostenendo che “non si tratta di una priorità”. Per la verità ancora non appare chiara la linea guida del programma, il progetto.
Si è aperta per gli iscritti la possibilità, sulla piattaforma Rousseau, di indicare le leggi da togliere (l’iniziativa si chiama: Abolisci una legge ») e naturalmente arrivano tante proposte di abolizioni per tutte quelle leggi scomode ma a volte necessarie per la tenuta economica del Paese. Inevitabilmente questi suggerimenti, in mancanza di un’idea chiara sul futuro del paese, finiscono per determinare effetti contraddittori e paradossali.
Grillo ha cambiato di nuovo le regole, aprendo la candidatura anche ai non iscritti, già alcuni si sono proposti tra cui il giornalista, ex Lega Nord, Gianluigi Paragone.
Il contro al voto al movimento di Grillo e della Casaleggio Associati è proprio nell’inesperienza del loro delfino, che fatica a mostrare una personalità che possa contare nel paese e nel mondo. Vi è troppa improvvisazione, il programma è ignoto e quando è noto si presenta con proposte prive di copertura economica (come il famoso reddito di cittadinanza che è apparso ai più come la chimera del nuovo millennio). Del resto la loro scarsa cultura politica si è evidenziata nella gestione della cosa pubblica come a Roma, dove l’osannata (in un primo momento) Raggi, palesa una tale incapacità da indurla a dire che che sarebbe per lei una fortuna se riuscisse a concludere il mandato viva.
Ci si chiede allora se convenga agli italiani, che finalmente vedono chiari segni di ripresa, dare i bottoni del comando ad un movimento che ha dimostrato molta efficacia in sede di contestazione, ma ben poca esperienza e capacità al momento del governo, sia pure di città, figurarsi il governo dell’intero paese.
E’ probabile infine (forse i grillini in cuor loro lo auspicano finanche), che i 5 Stelle riescano anche ad affermarsi come primo partito, ma non avendo alleati sarebbero costretti a rinunciare al governo. In realtà l’estrema sinistra (si fa per dire con Bersani e D’Alema) di Liberi & Uguali, non ha escluso, per bocca del loro Speranza, la possibilità di un appoggio ad un governo di Di Maio, ma la cosa è controversa e non sicura. Dunque, per la company di Grillo si prospetta una vittoria che al più definiremmo platonica se non di Pirro.
I limiti del PD.
La strategia del PD è di contrapporre i fatti alle promesse e con orgoglio puo’ affermare che, nel corso dei suoi ultimi governi, ha ottenuto più di un milione di occupati con il 53% a tempo indeterminato, la dove un tempo c’era chi prometteva un milione di posti lavoro per poi finire la legislatura con 750.000 disoccupati in più.
Dopo la débâcle del referendum costituzionale, che ha bloccato il « progressismo » italiano, riaprendo le porte finanche al ritorno di Berlusconi (aimé la memoria non è per noi italiani), il PD ha traversato un via crucis di polemiche interne conclusasi con la scissione della componente più ortodossa che è confluita con altri gruppi e gruppetti della estrema sinistra, dando vita a Liberi e Uguali con leader Grasso.
E’ innegabile che i tre anni di governo Renzi e poi Gentiloni abbiano dato al Paese significative, per quante discusse, riforme: come lo Jobs Act, le famose 80 euro per i ceti medi (tanto contestate da tutti, anche se ora nessuno vuole abolirle), il bonus di 500 euro per i diciottenni da spendere in cultura (misura che ora Macron in Francia vuole imitare), una controversa riforma della scuola che ha finalmente permesso l’assunzione di 61mila nuovi insegnanti, tagli contributivi a sostegno delle assunzioni e detassazioni che hanno favorito la ripresa economica. Una cosa che i precedenti governi, bloccati sull’effimero tema del berlusconismo e antiberlusconismo, non avevano saputo garantire.
Non è propaganda dire che il PD e i suoi alleati hanno salvato il paese e non solo, hanno fatto significative cose sul piano dei diritti civili (unioni civili, divorzio breve, testamento biologico, fra gli altri) toppando per poco la legge sullo Ius Soli. I dati economici sono obbiettivamente a favore del PD e dei suoi alleati. Questo è un pro. Eppure resta, come registrato dalla recente relazione del Censis, che a questi dati che hanno portato ad un boom dell’export ad un consistente aumento dei consumi e finanche al ritorno dell’inflazione (tanto auspicato negli scorsi anni), negli italiani una consistente quantità di rancorosi, di persone che non percepiscono o non percepiscono ancora questi successi, e che avvertono un’imbarazzante sensazione di diseguaglianza economica come, ancora una volta fra il nord e il sud (con tutto che il maggiore sviluppo del paese si è registrato proprio nel mezzogiorno).
Questo costituisce un pesante contro a cui va aggiunto un inquietante dato statistico: dalla seconda repubblica, i nostri concittadini non hanno mai votato per la stabilità, non hanno mai confermato nel voto i partiti che erano stati al governo.
Gli alleati del PD sono nella lista gentilmente offerta da Tabacci, Centro democratico, cattolico e riformista che ha offerto il suo tetto a quelli di + Europa che comprende i Radicali e i Verdi, insieme nella convinta battaglia europeista, per l’ambiente e per i diritti, che fieramente si contrappongono all’antieuropeismo di Salvini e Grillo e alle tentazioni neo trumpiste di Berlusconi.
Altra alleata del PD è la lista “Civica e Popolare” che orfana di Alfano, che si è ritirato dalla scena politica, è guidata da Beatrice Lorenzin, orgogliosa ministro della sanità con Renzi e Gentiloni, che si fa leader di un partito che francamente non sembra avere molte speranze di arrivare in parlamento. Staremo a vedere.
La « Sinistra sinistra » cosa fa?
Un grosso punto interrogativo è costituito dal partito Liberi e Uguali affidato, almeno all’apparenza, a Grasso, già magistrato antimafia e presidente del Senato. Questo gruppo nasce dalla scissione dell’ala più ortodossa del PD (D’Alema e Bersani) e comprende una costellazione di partitini e gruppi della estrema sinistra difficilmente elencabile e che ha provenienze culturali le più varie ed eterogenee. Da Possibile di Pippo Civati, avversario acerrimo di D’Alema, a quelli di Fratojanni di Sinistra Italiana.
In vano, l’ex sindaco di Milano, Pisapia, che poi ha rinunciato a candidarsi, ha cercato, nei mesi scorsi, di riunire tutta la sinistra per fare fronte al rischio populista (Grillo e Salvini) o a quello conservatore di (Berlusconi). Il suo tentativo si è andato ad infrangere contro l’ostinazione della “nuova cosa” rossa che vede come vero nemico, più che il ritorno del cavaliere o l’incognita della deriva populista, l’affermazione dei democratici (a guida Renzi), arrivando a sentenziare (non senza superbia) che il PD non è più un partito di sinistra.
Tre cose, colpiscono di questo nuovo tentativo a sinistra. Il primo è che dopo aver lasciato il PD e Renzi sostenendo che fossero dei rinnegati della sinistra, il nuovo partito non ha avuto neanche il coraggio di inserire nel suo scarno simbolo la parolina magica “sinistra”, anzi vi ha posto un “Liberi” che richiama più il liberalismo che il socialismo; La seconda è che alla testa sia stato posto Grasso, che in magistratura era un conservatore, avversario di « Magistratura democratica », molti ricordano addirittura la sua ammirazione per Berlusconi: « Meriterebbe il Nobel per la lotta alla mafia » disse di lui. Infine curiosa è la prima proposta programmatica presentata: L’abolizione delle tasse universitarie. Una cosa bizzarra se si considera che già i redditi più bassi, non pagano le tasse e abolirle a tutti indubbiamente favorirebbe solo le famiglie dei più ricchi, indebolendo al contempo le Università stesse.
Nemmeno le elezioni regionali (con l’appello all’unità proposto dai democratici Veltroni e Prodi) in occasione dell’election day del 4 Marzo ha indotto LeU a posizioni più convergenti e tra frizioni e minacce di nuovi scissioni, la « Sinistra sinistra » ha deciso di correre da sola anche in Lombardia e quasi sicuramente nel Lazio (si decide in queste ore). Pertanto, alle regionali come alle nazionali, specie nei collegi con il maggioritario il rischio e che la destra faccia man bassa di eletti, al punto che il Giornale di Berlusconi, con perfidia, ha intitolato a tutta pagina: « Grazie Grasso ». Ma su questo la « Sinistra sinistra » è recidiva (vero Bertinotti?).
Il pro è che certamente i nostalgici della sinistra novecentesca potranno aver trovato finalmente casa, anche se il rischio di nuove scissioni sembra sempre alle porte.
Il contro è presto detto. LeU non ha chance di entrare al governo a meno che non venga a Canossa, in caso di vittoria PD (difficile) o non sia pronto ad un nuovo umiliante streaming di Bersani con i grillini, finendo per sostenere, malvoluti, Di Maio. Il quale ha già chiarito che loro non chiederanno alleanze e che accetteranno solo coloro che vorranno sostenere il loro programma (altra cosa poi sarà conoscerlo). Quindi è da ritenere che il voto a Grasso e soci potrà avere solo l’effetto di favorire un successo della destra, ma ben poco potrà incidere sul futuro del PD dove, come hanno dimostrato le ultime primarie a segretario, Renzi gode di un più che mai consistente consenso.
Questo voto sarà anche una prova della tenuta democratica del paese, si andrà a verificare se ancora una volta come il 4 dicembre 2016 per gli italiani conterà di più lo stomaco o il cervello.
La democrazia, seppure in crisi come in questo nuovo millennio, è una gran bella cosa, ma richiede senso della società e della responsabilità, per il resto il popolo è sovrano e il popolo decide con il voto.
Nicola Guarino
4 Marzo al voto! Istruzioni per l’uso.
Grazie, Nicola! Un ‘riassunto intelligente’ ma ormai il linguaggio politico e’ deviato, Grasso fa inorridire, m5s preoccupa, destra….hai detto tutto. E Renzi per vincere ha solo una possibilita’: presentare i conti al Paese e dire chiaramente quello che la politica puo’ fare e quello che e’ chimera elettorale. Per il resto, il suo progetto politico per il Paese e’ l’unico e e’ dignitoso ma deve fare quello che fece Churchill… Grazie, Anna
4 Marzo al voto! Istruzioni per l’uso.
Cara Anna,
sono assolutamente d’accordo con te. Personalmente credo che la battaglia debba essere tra chi propone sogni realizzabili e chi di continuare un percorso che ha fatto uscire l’Italia dalla crisi avviandola alla crescita.
Il punto è che la democrazia richiede un popolo razionale e maturo (che abbia senso della società, responsabilità), la cosa non mi sembra facile. Tuttavia, mi chiedo se si è coscienti del fatto che le due alternative sono Berlusconi che quando ha governato ha paralizzato il Paese in 20 anni di stagnazione e Grillo e i suoi dilettanti? E’ il caso in una fase cosi delicata, di affidare il paese a M5S che non ha un programma organico e che è composto da persone che nella migliore delle ipotesi non hanno esperienza?
Un Caro Saluto e grazie.
Nicola
Pienamente condivisibile l’analisi sulle prospettive del voto prosssimo.
Condivido l’analisi di Nicola Guarino.