Letture dall’Egitto 4: L’ombra dell’Alessandria passata

Quarta puntata delle “Letture dall’Egitto” del « viaggiatore-professore » Giovanni Capecchi, dedicato alla città di Alessandria, crocevia del pensiero letterario tra ‘800 e ‘900, con Marinetti, Pea, Ungaretti, Durell, Kavafis, ed altri, per raccontare di una città che oggi sembra vivere più al passato che al presente.

È stata, Alessandria, una città letteraria. Non solo perché luogo natale di Filippo Tommaso Marinetti, di Giuseppe Ungaretti e di Costantino Kavafis; o perché vi hanno trascorso una importante stagione della propria vita Enrico Pea, una scrittrice quasi dimenticata come Fausta Cialente e gli inglesi Lawrence Durrell (che ha scritto quattro romanzi noti con il titolo complessivo di Alessandria Quartet, editi tra il 1957 e il 1960) e Edward Morgan Forster (l’autore di Camera con vista e di Passaggio in India, ma anche di un assai meno conosciuto Alessandria d’Egitto. Storia e guida, stampato nel 1922) ; o perché città natale dello scrittore egiziano Edward al-Kharrat e luogo di vacanze estive per Nagib Mahfuz, Premio Nobel per la letteratura nel 1988.

Alessandria è stata una città letteraria soprattutto perché – con il suo mare e le sue strade, i caffè internazionali e gli eleganti alberghi, con il porto che, ad occidente, si conclude con il Forte di Qaitbey, con la sua Babele di voci e di culture – si è ancorata nell’esistenza di tanti scrittori come luogo delle proprie radici o come stazione fondamentale nel viaggio di una vita ed è entrata – dettagliatamente descritta o appena accennata, con i suoi monumenti e con la sua umanità – in testi poetici, in romanzi, in pagine memoriali.

Forte di Qaitbey

«Ti vidi, Alessandria, / Friabile sulle tue basi spettrali / Diventarmi ricordo / In un abbraccio sospeso di lumi»: è così che Ungaretti salutava la città dove era nato nel 1888 quando, nel 1931, tornava ad avvistarla dalla nave, con le braccia del porto illuminato pronte ad accoglierlo, con una storia gloriosa fatta di tracce scomparse e sotterrate, con il suo carico di ricordi. Gli anni trascorsi in Egitto hanno segnato la poesia di Ungaretti, con il suo senso di sete, di aridità, di miraggio; con lo sconfinato deserto (ben presto divenuto paesaggio interiore: «E già sono deserto») e le rare oasi; con Alessandria, raccontata con un sentimento al tempo stesso di appartenenza e di estraneità, di legame (per esserci nato) e di esilio (perché comunque figlio dell’Italia). Una estranea città natale, che non si può neppure perdere al momento di partire per l’Europa nel 1912: «Sono d’un altro sangue e non ti persi, / Ma in quella solitudine di nave / Più dell’usato tornò malinconia / La delusione che tu sia, straniera, / La mia città natale».

Alessandria tornava a riafferrare, nei primi anni Trenta, anche l’incendiario Marinetti, «tentacolato dai ricordi» nel momento in cui giungeva nella città dove era nato dodici anni prima di Ungaretti, figlio di un avvocato celebre e benestante. L’Alessandria di Marinetti è il semicerchio del Porto Antico, percorso al tramonto cercando di armonizzare i suoi passi di sedicenne sognante con quelli decisi e frettolosi della madre. È la città della balia sudanese alla quale il fondatore del Futurismo tentava di attribuire un ruolo nella formazione del suo carattere e della sua ideologia: «Cominciai in rosa e nero; pupo fiorente e sano fra le braccia e le mammelle color carbone coke della mia nutrice sudanese. Ciò spiega forse la mia concezione un po’ negra dell’amore e la mia franca antipatia per le politiche e le diplomazie al lattemiele». Nel suo mare Marinetti imparava a nuotare e nelle sue strade compiva i primi gesti di bambino ribelle.

Collegio

Nelle aule del collegio dei gesuiti francesi “Saint François Xavier” – dal quale sarebbe stato espulso – iniziava la sua formazione, organizzatore culturale e militante fin dalla fondazione, in Egitto, della rivista «Le Papyrus». E quella che per gli arabi è ancora oggi “la perla del Mediterraneo” era per Marinetti la città in cui si poteva andare a far visita a Costantino Kavafis, al quale sono dedicate alcune pagine del libro Il fascino dell’Egitto (1933): quel Kavafis che aveva scelto di tornare a vivere nella città in cui era nato da genitori greci, che aveva fatto di Alessandria la «tana» per il rapido passaggio sulla terra, divenendo anche, come avrebbe scritto Durrel in Alexandria Quartet, il «poeta della città»: «Né terre nuove troverai, né nuovi mari. / Ti verrà dietro la città. Per le vie girerai: / Le stesse. E negli stessi quartieri invecchierai, / Ti farai bianco nelle stesse mura».

Non rammentava invece né Marinetti né Kavafis il toscano Enrico Pea, nato a Seravezza nel 1881 e vissuto ad Alessandria tra il 1896 e il 1914. Pea, in uno dei romanzi che hanno per protagonista Moscardino ma, soprattutto, in Vita in Egitto (1949), preferiva concentrare l’attenzione sui personaggi che popolavano la “Baracca Rossa” – luogo di ritrovo di anarchici provenienti da tutto il mondo – da lui fondata al piano superiore della sua abitazione, in Via Hamman el-Zahab. L’Alessandria di Pea è una città cosmopolita, «un’arca di Noè di popoli», un luogo dove continuano ad ardere i tizzoni della rivoluzione; è un’Alessandria fatta di pochi elementi esteriori (il quartiere popolare di Moharram Bey, dove Pea viveva; il Mex) e di molte storie umane: storie di girovaghi per le strade del mondo che inseguivano il sogno di una società più giusta e avversavano ogni potere costituito, capaci di furibonde risse ideali e di profonde relazioni umane.

Strada del quartiere di Moharram Bey

Uomini per lo più anonimi e sconosciuti, con l’eccezione dei fratelli Thuil (il romanziere Giovanni Leone e il poeta Enrico) e di Ungaretti, giovane imberbe che frequentava la “Baracca Rossa”, che tentava di accordare il suo strumento poetico, che viveva – come Pea – nel quartiere popolare di Moharram Bey dove la madre aveva un forno per il pane, che collaborava con fogli anarchici e giornali egiziani scritti in italiano. Un ragazzo incontrato dall’autore del Romanzo di Moscardino sul terreno della letteratura e dell’umanità prima ancora che su quello della politica: «Fu la poesia e la pazza bontà a farmelo distinguere in mezzo a quella ciurma internazionale».

Ungaretti diveniva per Pea il compagno ideale per andare a far visita ai fratelli Thuil, in una casa al Mex che proprio il poeta di Sentimento del tempo avrebbe immortalato in alcuni versi: «Casa a tentoni / Da una parte troppo mare / Troppo deserto dall’altra / Troppe stelle visibili». È in questa casa che i due amici italiani venivano a sapere la storia di un porto sepolto sotto il mare che fronteggia Alessandria: un luogo che Ungaretti non avrebbe dimenticato, tanto da intitolargli una poesia nel suo libro d’esordio. Nell’Allegria, infatti, non solo avrebbe cantato, tra i fiumi della sua vita, anche il Nilo; non solo avrebbe dedicato a Mohammed Sceab, «discendente / di emiri nomadi», conosciuto in Egitto e morto suicida e solo a Parigi, una poesia-epitaffio capace di strappare l’amico all’oblio; ma avrebbe anche utilizzato la storia che aveva ascoltato a casa Thuil come metafora dell’attività del poeta, che esplora gli abissi (e il porto sepolto) prima di riemergere e intonare i suoi canti: «Vi arriva il poeta / e poi torna alla luce con i suoi canti / e li disperde».

Oggi non resta molto dell’Alessandria passata. Di quella antica – la città di Alessandro Magno e di Cleopatra, della più importante biblioteca del mondo, del grande faro eretto nel porto per celebrare la sua forza economica e la sua importanza nel Mediterraneo – rimangono sparute rovine e alcune testimonianze scritte.

Ma è tramontata anche l’Alessandria della prima metà del ‘900, quella città internazionale e aperta alle diverse culture dove è nato (nel 1926) e dove ha vissuto gli anni dell’adolescenza Edward al-Kharrat, autore, tra l’altro, di Le ragazze di Alessandria (1990), frammentario libro di ricordi, tra sperimentalismo linguistico e tradizionale nostalgia, tra amori e amicizie, in una Alessandria attraversata dalla guerra e dalle spinte rivoluzionarie, occupata dagli inglesi e poi libera di una troppo stretta libertà, splendida solo se lo sguardo riesce a volgersi dal presente verso il passato.

Sono ormai edifici senza luce, anche se portano le tracce dei fasti passati, i luoghi dei quali parla Mahfuz nel romanzo Miramar, che ruota attorno a Midan Saad Zaghlul, tra il caffè Trianon e gli alberghi Windsor e Cecil.

Cecil Hotel

Del resto, quando Mahfuz pubblicava il romanzo, nel 1967, la fine di quel mondo si era già consumata, con la fuga dalla città degli stranieri dopo la rivoluzione del 1952: non a caso Miramar è un romanzo ambientato in un piovosissimo autunno ed è la storia dell’autunno di una città e di una esistenza, quella di Amer Wagdi, che è stato un giornalista di successo e che decide di tornare a vivere gli ultimi suoi giorni nel luogo in cui ottant’anni prima era nato.
E forse è soltanto un inutile esercizio nostalgico andare a ricercare gli irrintracciabili segni della “Baracca Rossa” o della casa natale di Ungaretti, in un Moharram Bey che resta un reticolo di strade dove regna la miseria; andare a visitare la scuola “Don Bosco” frequentata dal poeta dell’Allegria (che poi si iscriveva alla École Suisse Jacot, oggi distrutta) o andare a vedere il collegio “Xavier” dove studiava Marinetti;
guardare il muro del cimitero civile dove venivano sepolti gli anarchici di Pea; voler vedere la Villa Ambron dove scriveva Durrell, edificio ormai in avanzato stato di degrado e ricettacolo di spazzatura.

Villa Ambron (ingresso)

Meglio visitare le stanze della casa di Kavafis, divenuta museo in una strada che prima si chiamava Rue Lepsis e che oggi è intitolata al “suo” poeta.

Casa-museo di Kavafis

O passeggiare lungo il mare, quel mare che non invecchia e che è divenuto protagonista anche di Cortile a Cleopatra, pubblicato da Fausta Cialente nel 1936, primo romanzo ambientato ad Alessandria dalla scrittrice che viveva in questa città tra il 1921 e l’immediato secondo dopoguerra: un romanzo che racconta la vita quotidiana in un cortile nel quartiere Cleopatra, ma che fa riferimento anche a sogni di evasione e di viaggi nell’Egitto misterioso e affascinante e che lancia continui sguardi verso l’onnipresente mare.

Meglio, forse, fare i conti con il tempo che passa e che trasforma, inevitabilmente, anche i luoghi, e concentrare l’attenzione su ciò che rappresenta, per la cultura, un impegno nel presente e una scommessa sul futuro. C’è un edificio-simbolo, che cerca di gettare un ponte tra la città del passato e quella del futuro: è la nuova grande biblioteca – splendido corpo, in cerca di una sua più consistente anima di libri.

Nuova biblioteca esterno

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Nuova biblioteca interno

Ma ci sono anche persone che continuano un instancabile lavoro di ricerca, di documentazione e di valorizzazione della storia passata di Alessandria: con particolare riferimento alla presenza italiana in questa città, non è possibile non ricordare, a questo proposito, Franco Greco, presidente dell’Associazione Nazionale Pro Italiani in Egitto, che ad Alessandria è nato e che in questa città è tornato a vivere stabilmente, profondo conoscitore, ma anche testimone, dell’Alessandria internazionale della prima metà del ‘900, dove la numerosa comunità italiana (che contava 15.000 presenze nel 1906 e superava le 25.000 negli anni Venti) progettava per esempio, con i suoi architetti e i suoi ingegneri, molti dei più significativi edifici della città.

Eppure, nonostante gli sforzi per osservare la città attuale – tra caoticità, disordine e potenzialità –, appare inevitabile farsi prendere dal desiderio e dal bisogno di rimettere insieme i tasselli di una città scomparsa, sepolta come il suo leggendario porto. Perché Alessandria vive più del suo passato che del suo presente. Ed i libri – poesie, romanzi, volumi memoriali – possono allora aiutare a ritrovare una città che non esiste più, un’Alessandria che è, oggi, l’ombra di quello che è stata.

Giovanni Capecchi
Docente di Letteratura italiana
all’Università per Stranieri di Perugia

Foto inedite ©Giovanni Capecchi
(Gennaio 2011)

Altre letture dall’Egitto dello stesso autore:

Letture dall’Egitto 1:Nelle strade e tra le storie di Nagib Mahfuz”,
un omaggio al più grande scrittore egiziano e arabo del ‘900, Premio Nobel per la letteratura nel 1988.

Letture dall’Egitto 2: « Quando Marinetti non uccideva il chiaro di luna »
una puntata sull’infanzia e il viaggio in Egitto nella maturità di Filippo Tommaso Marinetti, l’inventore del Futurismo.

Letture dall’Egitto 3: « La dignità di ‘Ala Al-Aswani »
un articolo dedicato a ’Ala Al-Aswani, lo scrittore più conosciuto dell’Egitto contemporaneo, autore del famoso romanzo « Palazzo Yacoubian », e noto intellettuale politicamente impegnato.

Letture dall’Egitto 5 : L’Egitto in letteratura con d’Annunzio, Marinetti, Pea, Salgari ed altri fino a piazza Tahrir nel 2013.

Il lungomare

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Giovanni Capecchi
Giovanni Capecchi è nato e vive a Pistoia (Toscana). E’ professore associato di Letteratura italiana all’Università per Stranieri di Perugia. Ha dedicato i suoi studi soprattutto all’Ottocento e al Novecento, seguendo alcuni filoni di ricerca: l’opera di Giovanni Pascoli, la letteratura e il Risorgimento, la letteratura della grande guerra, il romanzo nel Novecento.

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