Claudio Damiani in Missione Poesia ǀ Il fico sulla fortezza

Claudio Damiani, un autore che sa coniugare chiarezza e semplicità con pensieri e visioni profonde sul mondo e sulle cose. Una poesia che riscuote attenzione e riscontri di grande rilievo critico, riuscendo a coinvolgere pienamente il proprio pubblico. Uno stile di comporre versi in una modalità molto appropriata a un analogo stile di pensiero e di approccio con la vita. “0spite” della nostra rubrica: «Il fico sulla fortezza» (Fazi Editore, 2012).

Claudio Damiani è nato nel 1957 a San Giovanni Rotondo. Vive a Roma dall’infanzia.


NOTA BIBLIOGRAFICA

Claudio Damiani

Ha pubblicato le raccolte poetiche Fraturno (Abete,1987), La mia casa (Pegaso, 1994, Premio Dario Bellezza), La miniera (Fazi, 1997, Premio Metauro), Eroi (Fazi, 2000, Premio Aleramo, Premio Montale, Premio Frascati), Attorno al fuoco (Avagliano, 2006, finalista Premio Viareggio, Premio Mario Luzi, Premio Violani Landi, Premio Unione Lettori), Sognando Li Po (Marietti, 2008, Premio Lerici Pea, Premio Volterra Ultima Frontiera, Premio Borgo di Alberona, Premio Alpi Apuane), Il fico sulla fortezza (Fazi, 2012, Premio Arenzano, Premio Camaiore, Premio Brancati, finalista vincitore Premio Dessì, Premio Elena Violani Landi), Ode al monte Soratte, con nove disegni di Giuseppe Salvatori, Fuorilinea.
 Nel 2010 è uscita un’antologia di poesie curata da Marco Lodoli e comprendente testi scritti dal 1984 al 2010 (Poesie, Fazi, Premio Prata La Poesia in Italia, Premio Laurentum).

Ha pubblicato di teatro: Il Rapimento di Proserpina (Prato Pagano, nn. 4-5, Il Melograno, 1987) e Ninfale (Lepisma, 2013). Ha curato i volumi: Almanacco di Primavera. Arte e poesia (L’Attico Editore, 1992); Orazio, Arte poetica, con interventi di autori contemporanei (Fazi, 1995); Le più belle poesie di Trilussa (Mondadori, 2000). E’ stato tra i fondatori della rivista letteraria Braci (1980-84). Suoi testi sono stati tradotti in diverse lingue (tra cui principalmente inglese, spagnolo, serbo, sloveno, rumeno) e compaiono in molte antologie italiane (anche scolastiche) e straniere.

Di prossima pubblicazione: La difficile facilità. Appunti per un laboratorio di poesia, Lantana Editore; Pascoli e i poeti di oggi, LiberAria.

***

Conosco Claudio Damiani da molti anni, personalmente e per la sua poesia. Di lui mi ha sempre colpito la chiarezza e la semplicità con cui riesce a coniugare pensieri e visioni profonde sul mondo e sulle cose. Non è una dote comune. In molti si sforzano di farlo, o negano che vi sia questa necessità, altri neanche ci provano o proprio non ci riescono. Aldilà del fatto che questo modo di approcciarsi e rendere fruibile la poesia possa, più o meno, piacere – si potrebbe rilevare che certe intuizioni hanno l’aspetto di trovate, magari, ingenue – è indubbio che la poesia di Damiani sia gradita ai più, critici e lettori senza distinzione, e riscuota attenzione e riscontri di grande rilievo critico, riuscendo a coinvolgere pienamente il proprio pubblico. Dal mio punto di vista, trovo che, sicuramente, siamo di fronte a uno stile di comporre versi in una modalità molto appropriata a un analogo stile di pensiero e di approccio con la vita. Non si può comporre in una simile maniera se non si guarda la vita con l’incantamento e la meraviglia dello sguardo infantile che, lungi dal dover essere sottovaluto è, al contrario, capace di apportare quel quid in più che arricchisce la visione.

Vedremo di elaborare meglio questo concetto nell’esame del libro che sarà “ospite” della nostra rubrica: Il fico sulla fortezza (Fazi Editore, 2012).

IL FICO SULLA FORTEZZA

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Il Fico sulla fortezza si compone di otto sezioni ognuna contenente al suo interno una sorta di piccolo mondo antico – quasi fogazzariano nell’incisività data alla geografia poetica dei luoghi, che diventano non tanto contesti, ma protagonisti e simboli di un circuito che si apre e chiude all’insegna del destino del singolo che diventa collettivo, in specie, nel racconto di un’esperienza che nei suoi passaggi, da un luogo all’altro, è capace di accompagnare il rimpianto per quel che lascia e l’interesse, o meglio, il nuovo innamoramento per quel che trova e ancora si ritrova, nei vari passaggi -.

E’ così che si compie il percorso intrapreso dall’autore: dai luoghi dell’infanzia, ovvero nel villaggio minerario abbandonato, ai piedi del Gargano, a una decina di chilometri da San Giovanni Rotondo, luogo che lo stesso Damiani definisce “indubbiamente magico e mistico, duro anche e aspro, drammatico, piatto e spietatamente sotto il sole e sotto il cielo, ma per me è soprattutto luogo della mia infanzia”; ai luoghi che furono dei nonni paterni in quell’Isola d’Elba dove il ritornare non significa solo il percorrere un itinerario turistico, ma il ritrovare luoghi affettivi, sentiti come propri e per i quali si rinnova l’affezione, come per il bar del Grigolo del quale il poeta dice: Torno ancora qui, bar del Grigolo/ e mi siedo sulle stesse sedie, / il mare vibra e il caro odore dell’aria/ mi raggiunge […]; all’ascesa al Monte Soratte, ai piedi di Roma, alle pendici del quale Damiani abita attualmente, e della quale egli narra la passeggiata col figlio Antonio, il loro godersi lo spazio aperto e la natura che diventa al tempo stesso un momento di contemplazione e di riflessione sull’arte, sentendosi il poeta: […] come il bambino attaccato alla poppa,/ della Madonna Litta nel quadro di Leonardo.

Ma, nel cuore di questi piccoli mondi, uniti proprio dal fil rouge dell’esperienza e del ricordo, stanno i problemi del mondo intero, la necessità di una salvezza, la ricerca della verità e il rispetto della natura: tutte tematiche care all’autore che attraverso una fitta rete di trame, tra dialoghi, soliloqui, feedback e reportage finiscono per travolgere il lettore, in una sorta di fiume in piena della parola e del suo valore di senso.

Ora, se dalle stesse parole dall’autore, tramite alcune interviste rilasciate, è possibile intravedere qual è la visione che lo accompagna, specie in relazione al rapporto tra l’uomo e le sue fragilità, legate alla dimensione della natura che gli dà la vita, lo accoglie, lo nutre e della quale si dovrebbe certo avere più rispetto è vero comunque che già alla lettura di molti dei suoi testi la considerazione, l’impegno per il rispetto ambientale, l’umiltà con cui ci si dovrebbe rivolgere alla “madre” natura sono del tutto palesi e ben chiari, come in una sorta di dichiarazione di poetica, dove il messaggio si manifesta nella necessità di ascolto: “…sì, sì, lo so, siamo i signori/ della natura, ma adesso vorrei soltanto/ sedermi su un banco e imparare./ Non dovere pensare a niente, soltanto/ stare zitto, stare buono, e imparare”.

Della natura Damiani, quindi, coglie lo spirito, essenziale di maestra di vita, come lo sono i suoi elementi primari: gli alberi che diventano creature che non hanno bisogno di esseri viventi per nutrirsi, gli uccelli il cui canto è sempre ascoltato dall’uomo, perfino le lucertole che possono risvegliare profondi sentimenti e visioni antropologiche sugli animali scomparsi. Della natura Damiani racconta il suo essere promulgatrice di essenze liberatorie e salvifiche, che permettono anche all’albero di fico che, nella staticità della sua posizione, conosce la sua sorte nell’imminenza di una fine ormai certa, di regalare a chi riesce a guardare con gli occhi del poeta, la bellezza che lo contiene e la serenità nell’affrontare la morte stessa, sapendo che i suoi semi saranno portati nel mondo dagli uccelli e che egli quindi rinascerà: una bellezza che, per dirla con Montale, sembra venir fuori, liberarsi quando le condizioni della vita sono disperate, anche se, in Damiani, questo valore di una bellezza che deve uscire allo scoperto nella vita, forse, rappresenta proprio una condizione primaria della sua poesia, riscontrabile in ogni circostanza.

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Questi sono solo alcuni degli spunti di riflessione, che nascono dalla lettura di un libro che si avvale di uno stile minimale, quasi il testo fosse dettato da uno sguardo e da una mano infantile, considerazione non certo intesa in senso riduttivo ma, al contrario, indicativa del grado di sapienziale esperienza dell’autore capace, come detto in apertura, di coniugare complessità a semplicità. Molti dialoghi, molte descrizioni, molti versi escono dal testo come spumeggianti note di voci bambine, capaci di cogliere l’incanto, il meraviglioso, il magico e quindi l’essenza completa, delle cose. Guardare il mondo con gli occhi dell’infanzia, avvalersi coscientemente di quell’animo di fanciullino pascoliano che, sono certa, Damiani frequenta costantemente nelle sue letture, è senz’altro una possibilità data al poeta di rapportarsi con quanto lo circonda per farne poesia, anzi forse proprio per crearsi, analogamente a quanto fece lo stesso Pascoli, una sorta di via di fuga dalla vita troppo moderna, trovata nel proprio mondo d’origine, mondo che costituì il grande tema della sua produzione letteraria, una sorta di microcosmo quasi da difendere, una misura del mondo (come osserverà Mario Luzi).

Del resto, è nell’infanzia che buona parte della poesia novecentesca affonda le sue radici, individuandola come fonte di esperienza che, come sottolineato anche da Giorgio Agamben, rappresenta il modo specifico della conoscenza del bambino, laddove “l’esperienza è la semplice differenza fra umano e linguistico. Che l’uomo non sia sempre già parlante, che egli sia stato e sia tuttora infante, questo è l’esperienza”. E lo troviamo in autori come Bertolucci, Saba e Cesare Pavese con la cui riflessione mi piace concludere questo articolo ricordando che per l’autore “L’arte moderna è un continuo ritorno all’infanzia. Suo motivo perenne è la scoperta delle cose, scoperta che può avvenire, nella sua forma più pura, soltanto nel ricordo dell’infanzia. E in arte si esprime bene soltanto ciò che fu assorbito ingenuamente. Non resta agli artisti che rivolgersi e ispirarsi all’epoca in cui non erano artisti, e questa è l’infanzia”.

Il fico sulla fortezza : alcuni testi.

Così la strada va, una volta,

e ancora andrà, per sempre.

In alcuni punti è franata, non importa,

si crea un sentiero più piccolo

che ricollega i punti.

Così la strada va fra le pietre, sola,

e sembra quasi scolpita

da uno scalpello attento,

e come una statua sta ferma

e ti guarda stupita.

E prima di una curva ha un’espressione

e dopo la curva un’altra.

*****

Il fico sulla fortezza


ha vita molto precaria


perché quando faranno i restauri


sarà certamente tagliato.


Però sta tranquillo sotto la luce del sole


distendendo il suo ampio mantello


disuguale, incurante dell’estetica,


se ne frega di stare così in alto


non soffre di vertigini


si lascia accarezzare
dalla luce e dalle brezze tiepide


sente la nebbia, sente gli uccelli


che parlottano tra i suoi rami.

*****

Cara poesia, se tu vuoi venire vieni,

se non vuoi venire non vieni,

fa’ come fossi a casa tua,

con me devi fare così;

solo, non posso io non venire qui

monte, e non posso non ammirare le tue spalle

e non posso non respirare, qui, la tua aria

che mi nutre e senza la quale

non potrei vivere,

non posso non respirare i tuoi colori

che ti circondano, come vestiti

sempre diversi,

e sentire l’odore delle tue piante, e della tua terra,

e con la mano sentire calda

la tua pietra, come testa d’un bimbo.

*****

Bisogna avere un cuore di ferro

come Ulisse, per vivere.

Penelope è davanti a noi e piange

e noi dobbiamo tacere, non possiamo dire niente,

non possiamo commuoverci.

È tutto così chiaro

eppure non possiamo rivelarci.

*****

La citazione

«Dal mio piccolo punto di vista

vedo l’universo. Un rettangolino.

Il mio terrazzo. È la notte di maggio calda

e fresca, una brezza mite spira

che mi rinfresca dalla giornata afosa.

L’universo non credo sia tanto diverso

dal nostro mondo: dopo tanto pensare,

tanto meditare sono convinto non solo

che quel che sta sulla terra sia un po’ dovunque nel cielo

ma anche che quello che sta nel cielo

sta un po’ qua e là sulla terra.

Allora dico: non ci immaginiamo cose tanto strane

ma guardiamo quello che ci sta vicino,

lasciamoci ferire dalla sua bellezza

e nella sua sapienza riposiamo il cuore».

Cinzia Demi

Bologna, febbraio 2016

Il sito di CLAUDIO DAMIANI

IL SITO DI FAZI EDITORE

*****

P.S.:
_cidpetit_2db8fc4034a725bd5b7594d6e8e98e000a09c538_zimbra.jpg“MISSIONE POESIE” è una rubrica culturale di poesia italiana contemporanea, curata da Cinzia Demi, per il nostro sito Altritaliani.
Per scoprire i contributi già pubblicati:

http://www.altritaliani.net/spip.php?page=rubrique&id_rubrique=58.

Chiunque volesse intervenire con domande, apprezzamenti, curiosità può farlo tramite il sito cliccando sotto su “rispondere all’articolo” o scrivendo direttamente alla curatrice stessa all’indirizzo di posta elettronica: cinzia.demi@fastwebnet.it

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Cinzia Demi
Cinzia Demi (Piombino - LI), lavora e vive a Bologna, dove ha conseguito la Laurea Magistrale in Italianistica. E’ operatrice culturale, poeta, scrittrice e saggista. Dirige insieme a Giancarlo Pontiggia la Collana di poesia under 40 Kleide per le Edizioni Minerva (Bologna). Cura per Altritaliani la rubrica “Missione poesia”. Tra le pubblicazioni: Incontriamoci all’Inferno. Parodia di fatti e personaggi della Divina Commedia di Dante Alighieri (Pendragon, 2007); Il tratto che ci unisce (Prova d’Autore, 2009); Incontri e Incantamenti (Raffaelli, 2012); Ero Maddalena e Maria e Gabriele. L’accoglienza delle madri (Puntoacapo , 2013 e 2015); Nel nome del mare (Carteggi Letterari, 2017). Ha curato diverse antologie, tra cui “Ritratti di Poeta” con oltre ottanta articoli di saggistica sulla poesia contemporanea (Puntooacapo, 2019). Suoi testi sono stati tradotti in inglese, rumeno, francese. E’ caporedattore della Rivista Trimestale Menabò (Terra d’Ulivi Edizioni). Tra gli artisti con cui ha lavorato figurano: Raoul Grassilli, Ivano Marescotti, Diego Bragonzi Bignami, Daniele Marchesini. E’ curatrice di eventi culturali, il più noto è “Un thè con la poesia”, ciclo di incontri con autori di poesia contemporanea, presso il Grand Hotel Majestic di Bologna.

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