Roma. Un’altra storia.

Il Tevere e il suo rapporto di odio e amore con i romani, il raccordo anulare, un incubo quotidiano, le sue piazze, i suoi angoli, i San Pietrini di Trastevere e, poi campo de Fiori, piazza Farnese dove puoi “pucciare” il cornetto nel cappuccino, le chiese e le parolacce, il libro di Ilaria Beltrami e la Roma della nostra Marina Mancini.

Eccoci di nuovo. Nuova storia. Ancora un giro di Valzer intorno alla libreria Magna Carta.

Di nuovo io e la bambina, questa volta con il gattino raccolto per strada, a farci compagnia.
Estremo ( e disperato ) tentativo di distrazione dell’infante nella speranza che la sua pazienza possa durare il tempo necessario per gustare il fondo del bicchiere. Inteso come: arrivare fino in fondo alla narrazione e al brindisi promesso.

Questa sera non si racconta la storia di un uomo e del suo rinascere, ma la storia di mille umanità, di mille voci, di storie intrecciate e di passioni. Tante, tutte quelle che può raccontare e contenere una città immensa come Roma.
Meravigliosa Roma. Incasinata però, dispettosa, impertinente.

Mai preso il raccordo nell’ora di punta? O la fatidica Tangenziale est? Se riesci ad attraversarle prima delle 8 di mattina sei (forse) un uomo vivo, dopo…. chissà.

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Questa è la mia Roma, purtroppo, quella che vivo in macchina (quasi tutti i giorni) guadagnando i metri al passo di danza di una marmotta ubriaca, lanciando al vicino di vettura occhiate di odio e di ammonimento del tipo: non ti azzardare ad entrare nella mia corsia che ti fulmino! E che mi fa maledire il giorno che ho scelto di fare le assistenze domiciliari. Giro di trottola di casa in casa, tra i quartieri e i rioni.

La sera, di ritorno a casa, mi sembra un miracolo la tranquillità e la noia di Lavinio. E mi gusto il piacere di parcheggiare davanti al mio cancello, inammissibile un centimetro più in là.
Distratta, preoccupata e presa in ostaggio dai dilemmi, con cui mi mettono alla prova i miei pazienti. Amati pazienti romani. Mi perdo il contorno che circonda i loro volti, le loro abitazioni, le loro rispettive sacre e meravigliose umanità.

Io sono così, sfortunatamente. Le opere murarie non mi hanno fatto mai sentire il fuoco nella pancia, non tanto quanto i volti della gente che incontro.

Ma stasera, una meravigliosa, bellissima, giovane e sorridente ragazza mi svela, a me povera ignorante, che anche un obelisco ha un volto, una storia, un’anima.

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E allora, questo fenomeno di vitalità, in questa serata di stelle e vento, mi ha preso per mano e mi ha fatto ballare tra i vicoli del rione Garbatella, con il naso all’insù a spiare e leggere le targhe sparse tra i palazzi a ricordo dei martiri, dei ribelli e dei fatti storici che dovrebbero essere patrimonio comune. .

E mi vergogno un po’ ( anzi parecchio) per quello che non so e che dovrei conoscere e perché, ogni tanto tra i miei giri, quando puntualmente trovo parcheggio a mille miglia dalla meta sospirata, butto un occhio distratto ad una di queste targhe, leggo sbadata l’incisione che ricorda un nome, un volto, un accadimento e la mia reazione è piuttosto simile a quella del mio pesce che contempla un vaso di fiori. Immagino che l’espressione sia proprio quella!
E invece…ragazzi quanta bellezza! Tanta quanta la passione di questa ragazza.

Il Tevere per esempio (ma non era solo un fiume?) la sua storia racconta del rapporto d’amore e di odio, intenso e vibrante tra le sue acque e la gente “romana” che ha cercato nei secoli i modi di resistere alla sua furia durante le inondazioni e, ci dice l’autrice, molte targhe sparse per la città sono testimonianze appassionate di questi eventi.
Acque del fiume che inghiottono la città e poi sfilano via silenziose, lasciando dietro morti e distruzione e i suoi abitanti che si ritrovano, contano i danni e i superstiti e ricostruiscono, con ferocia caparbietà.
Tutta la collera del fiume, domata poi dai Piemontesi e dai muraglioni, progettate da Garibaldi, costruite intorno ai suoi argini, a chiusura del suo percorso naturale.
Una sorta di ammonimento, anche, per i romani disobbedienti e indisciplinati, da domare, come le acque del loro fiume.

E li vedi e li annusi questa sera, i vicoli di Roma, intorno all’isola tiberina, alle spalle del fiume entrando a Trastevere. Camminando sui San Pietrini con i tacchi a spillo.

E poi dall’altra parte, proprio di fronte, l’altra sponda, tra i profumi del ghetto e le meraviglie dei Palazzi che una volta, racconta l’autrice, prima ancora che addomesticassero il fiume e la città, cadevano a strapiombo nelle acque, una sorta di Venezia “ de noantri”.

rigatoni alla pajata E poi, ancora piazza della Minerva, il Pantheon e dietro al Pantheon la fontana a tre canne, una delle ultime tre rimaste a Roma eredità del 1870, che l’autrice ci invita a scoprire ed ad utilizzare bevendo dal suo nasone. Va fatto, va fatto, bisogna farla questa esperienza.
Non basta una sera per scoprire e scovare i segreti di questa città, l’autrice è come il suo Tevere, un fiume in piena di parole, di emozione nel raccontare i piccoli angoli rumorosi e trasudanti umanità
della bella Roma.

Forse c’è da piangere nel sentirla parlare della latteria in vicolo del Gallo, tra campo de’ Fiori e piazza Farnese, ultima superstite di una tradizione di botteghe, dove il cappuccino è servito nelle ciotole e dove, senza vergogna, si può “pucciare” il cornetto direttamente nella tazza.
Una bottega di cent’anni e cent’anni avranno più o meno, le suppellettili, acquaio in marmo, i tavoli, le sedie e la signora che la gestisce.

Il libro è una mappa, una guida tra i ricordi, un compromesso tra la descrizione di un cammino per strade e vicoli e un racconto di storie di uomini ma, soprattutto, un racconto d’amore per una città, struggente e appassionato, come un libro Armoni, nella migliore tradizione, non sa fare.

101cose_da_fare_a_roma_intro.jpg Il libro è “101 cose da fare a Roma almeno una volta nella vita” scritto da questa meraviglia di ragazza che si chiama Ilaria Beltramme, dice di se nel risvolto della copertina:” …nata a Roma nel 1973 e spera di morirci vecchia e felice il più tardi possibile. Appassionata della sua città e di storia dell’arte…..E’ ancora convinta che il Tevere sia una divinità….”
E ancora, spulciando nella pancia del libro, i titoli che appaiono ti sorprendono e ti commuovono, per esempio: “ Conoscere le storie del fiume e della sua isola; Innamorarsi davanti al sarcofago degli sposi nel Museo Etrusco di Villa Giulia; Fare il giro dei caffè più buoni della città; Infarinarsi con la pizza bianca; Dire le parolacce nella Basilica di San clemente; Rivivere il più famoso complotto politico della storia insieme ai gatti dell’Area Sacra; Fare la spesa al Mercato Testaccio”…..Come fai a non innamorarti?

Una cosa l’ho fatta (ma forse anche qualcosa in più) delle 101 cose da fare a Roma: capitolo 69, pag 216 “Assaggiare i rigatoni con la pajata”. Fatto, pagato pegno, mi rimangono solo altre 100 cose da fare.

Prima o poi, butto la macchina nel parcheggio della stazione, bimba in una mano, libro nell’altra, prendo il treno e vado a Termini, la mia stazione e da li parto per questo itinerario nuovo, affascinante, coinvolgente.

(nella prima foto il Tevere, la terza i rigatoni con la pajata)

Marina Mancini

 

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2 Commentaires

  1. Roma. Un’altra storia.
    M’è piaciuto l’articolo che fa riferimento ad un libro sulle cose da fare a Roma. Io non sono del luogo ,ma sono una sua innamorata. Pensa che l’anno scorso ho scritto un breve racconto sulla città eterna e sulle sue meraviglie che è stato premiato al Caffè letterario Mangiaparole nel concorso Roma per Roma: La luce siamo noi. M’è venuto facile e naturale.Trovo ,anche se non vi abito ,che c’è un’atmosfera speciale e romantica che si perpetua nel tempo . Complimenti per la bella idea molto condivisibile!

    • Roma. Un’altra storia.
      Grazie.
      Roma, come sento, è stata fonte di ispirazione per molte persone. E’ una città impegnativa ma questo non le toglie il suo millenario fascino.

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