Il popolo invisibile. Giornata della memoria delle « Foibe ».

Uscire dall’oblio del massacro delle foibe è la precisa richiesta del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Anche in questo caso come in altri, gli storici e la politica hanno per troppo tempo taciuto. Tra equivoci e controversie la tragedia degli italiani di Istria, Fiume e Dalmazia (i giuliano-dalmati), sterminati e scacciati dalle truppe di Tito, attende ancora un effettivo riconoscimento ed una precisa ricostruzione storica. Ancora oggi sei italiani su dieci non sanno cosa accadde nelle Foibe. In attesa di uscire dall’omertà, ecco una riflessione appassionata di un figlio di profughi, che risiede in Canada.

Il 10 febbraio si celebra il giorno del ricordo, in coincidenza con
l’anniversario di quel trattato di pace punitivo (Parigi, 10 febbraio
1947) che comportò la perdita delle terre dell’Adriatico Orientale e l’esodo di più di 300.000 Istriani, Fiumani e Dalmati.

Noi venimmo via per sfuggire al regime comunista jugoslavo e alla sua
politica di sopraffazione e di denazionalizzazione, vera e propria pulizia
etnica condotta ai nostri danni tra episodi di una grande ferocia.

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In Italia, dopo più di mezzo secolo d’ignoranza, d’insensibilità e
d’indifferenza, sono intervenuti dei cambiamenti. Accogliendo un augurio espresso anni
prima da Montanelli, il 10 febbraio 2003, il Governo dell’epoca, per bocca di
Gianfranco Fini, vicepremier, chiese ufficialmente scusa ai profughi
giuliano-dalmati e ai loro discendenti per la maniera in cui l’Italia li aveva per tanti anni
trattati: « Il governo italiano vi chiede ufficialmente scusa per tutto ciò che è accaduto e
per tutto ciò che colpevolmente i libri di scuola non hanno raccontato e
insegnato ». Alcune piazze e alcune strade sono state intitolate alle vittime degli eccidi commessi dai partigiani di Tito. È stato emesso un francobollo per commemorare il nostro esodo. Uno anche per ricordare il liceo ginnasio « G. R. Carli » di Pisino d’Istria.

Ma laposta con questi nuovi francobolli è giunta troppo tardi per i miei genitori e per tanti altri, che si sono spenti lontani dalle amate terre lasciando ai
superstiti un lutto perenne per quel mondo distrutto.

Il monumento nazionale all'ingresso della

« Finalmente, mi sono comunque detto, finalmente un popolo esce dall’ombra. » Un popolo che ha dovuto un’infinità di volte sorbirsi l’attributo di ‘slavo’, mentre tenaci i mass media italiani hanno sempre usato il nome slavo – Pula, Rijeka,
Pazin… – per le nostre località di nascita dall’antico nome italiano. Il non
riconoscimento – ad un individuo, ad un gruppo, ad un popolo – del suo passato
e della sua identità è un grave diniego che fa tremendamente male.

I giuliano-dalmati e i loro figli si sono inseriti pacificamente e
silenziosamente nei nuovi approdi. Noi esuli non abbiamo espresso violenze,
terrorismo e neppure un revanscismo urlante. Nella mite Italia è
fiorito invece il terrorismo delle Brigate Rosse; rosse come la stella-emblema dei nostri
carnefici.

I Giuliano-Dalmati hanno avuto diritto,
in Italia, per tanti anni, alla celebrazione di Tito e del suo magnifico
mosaico di popoli. Alla fine però il laboratorio jugoslavo, edificato
anche sui nostri morti, è esploso nel sangue. Il « nuovo uomo socialista », esperto in
autogestione e campione d’antifascismo, acclamato nei consessi internazionali
ed oggetto di forti invidie in Italia, ha così potuto riproporre ai suoi vicini
di casa la pulizia etnica e gli antichi metodi di morte. Questa volta, però,
sotto i riflettori dei mass media.

In Italia, paese dall’antipatriottismo viscerale, l’apertura agli esuli trova i
suoi accaniti resistenti. Per certuni di Rifondazione comunista, sui morti della foiba di
Basovizza « non c’è nulla di dimostrato ». A Marghera, per l’intitolazione di una
piazza ai trucidati delle foibe, un commando di estrema sinistra
sferrò un attacco violento contro i partecipanti. Diverse targhe
ricordo sono state nel corso degli anni vandalizzate.
Anche quest’anno, apprendiamo dai giornali: « Foibe: sfregio alla targa
commemorativa »,  » Bandiere comuniste e jugoslave nel corteo dei
centri sociali contro le foibe. » Per la sindaca di Genova Vincenzi le
foibe vanno ricondotte al fascismo: « Le foibe vanno ricordate nel contesto
del fascismo. » Non solo: un sondaggio choc rivela che ben 6 italiani su 10 non sanno cosa siano le foibe. »

Ma ormai qualcuno parla, comunque, di
noi: noi, il popolo che non esisteva. Al di là delle ideologie, dei
discorsi di parte e di partito, dei distinguo e delle insinuazioni, e al di là della vera
commozione, o anche dei clichés retorici rarissimi in verità, che si riconosca
infine che quel trattato di pace sancì la sconfitta dell’Italia, con una resa
incondizionata, e con la mutilazione del territorio nazionale, e con
l’esodo di una popolazione inerme che ha vissuto delle tremende pagine di storia e che
reca ancora oggi nel cuore un incancellabile fardello di memorie.

Claudio Antonelli (Montréal)

Una foiba

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Claudio Antonelli
Claudio Antonelli (cognome originario: Antonaz) è nato a Pisino (Istria), ha trascorso la giovinezza a Napoli, oggi vive a Montréal (Québec, Canada). Bibliotecario, docente, ricercatore, giornalista-scrittore, è in possesso di diverse lauree in Italia e in Canada. Osservatore attento e appassionato dei legami che intercorrono tra la terra di appartenenza e l’identità dell’individuo e dei gruppi, è autore di innumerevoli articoli e di diversi libri sulle comunità di espatriati, sul multiculturalismo, sul mosaico canadese, sul mito dell’America, su Elio Vittorini, sulla lingua italiana, sulla fedeltà alle origini e la realtà dei Giuliano-Dalmati in Canada, sull’identità e l’appartenenza...