La Fabbrica dove nascono gli angeli dei Fratelli Lebro a Napoli

Nella storica via San Gregorio Armeno a Napoli, nella discrezione del cortile di un palazzo settecentesco, i fratelli Lebro perpetuano la nobile arte del presepe e del restauro di statue sacre, tramandata in famiglia da quattro generazioni. Scultori talentuosi e maestri nella loro arte, Antonio e Rosario, due deliziosi settantenni, hanno all’attivo la salvaguardia di importantissimi pezzi del XVII secolo, da Napoli (Museo di San Martino, chiesa Santa Maria in Portico…) fino a Rouen in Normandia. Racconto di un mestiere in via d’estinzione.

p006_0_00_01.jpgLungo i decumani in uno dei cardines più significativo di
Neapolis, nascono gli angeli. In uno dei palazzi settecenteschi, scendendo sulla destra di Via San Gregorio Armeno, nel regno dei pastori, l’epigrafe « Domus Januaria » per ricordare che in quel luogo è nato San Gennaro, vescovo di Napoli e dal 1825 la felice idea di Antonio Lebro di aprire in fondo al cortile, una bottega per il restauro e la modellatura di statue sacre.

A indicare il laboratorio degli attuali titolari Antonio e
Rosario Lebro, come la « Fabbrica dove nascono gli angeli » fu la Settimana Incom, intorno agli anni ’50, in seguito alla realizzazione dei quattro maestosi angeli e delle quattro cariatidi scolpiti per l’Abbazia di Montecassino.

Per i turisti che affollano le stradine del centro antico le sorprese non finiscono qui, nella stessa via di San Gregorio Armeno la chiesa di San Gennaro all’Olmo, San Biagio Maggiore, la casa dove visse G. Battista Vico, figlio di libraio e a poca distanza il Foro di Napoli, gli scavi di San Lorenzo Maggiore con un edificio alto medioevale, il tempio dei Dioscuri, il teatro di Nerone nella città sotterranea.

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Ritornando alla Clinica dei santi citata nella « Guida-almanacco di Napoli e dintorni », della casa editrice Vallardi del 1875, s’intravedono, stipati in un piccolo spazio statue e gruppi scultorei del Seicento e del Settecento. Figure a mezzo busto, a grandezza naturale, in legno e terracotta, vestite di broccati e sete preziose.
In lavorazione un altorilievo in legno per una chiesa di Carini in provincia di Palermo. Ogni pezzo attende di tornare al luogo del culto e con pazienza è curato, rivestito, ridipinto, riparato dei danni provocati dal tempo e dall’incuria. Sono opere di grandi artisti, più spesso immagini semplici di devozione popolare. « Nel nostro laboratorio – dice uno dei fratelli Lebro, diplomato all’Accademia di Belle Arti – eseguiamo accurate dorature di piramidi per processioni e troni in oro fino e modelli persesecuzioni di marmo e bronzo ».

Capostipite della nobile arte, Antonio, diventato famoso per la « Madonna con il bambino », realizzata per la chiesa del Divino Amore, seguirono il figlio Salvatore, scultore di legno morto giovanissimo, poi Luigi, specialista in ceroplastica. Il tempo di un altro Antonio, padre di Antonio e Rosario che, in oltre cinquant’anni realizzò una serie di opere di grande pregio, come il corpo reliquario di Santa Patrizia, la statua di Santa Trofimena per una chiesa di Brooklyn.
Le cronache del dopoguerra raccontano che l’opera arrivata nel porto americano alla dogana di fronte alla bellezza della statua e in segno di devozioni per la Santa, i portuali vollero loro offrire i trecento dollari per lo sdoganamento. La madonna è esposta nella chiesa di San Giuseppe nella Little Italy dove accorrono schiera di nostri connazionali.
Particolare del presepe di Santa Maria in Portico

Fra le tante opere restaurate nel laboratorio Lebro va ricordato il presepio Cuciniello di San Martino, e lo splendido presepio settecentesco della collezione della duchessa Orsini, esposto ogni anno nella chiesa di Santa Maria in Portico. Si trattava di resuscitare venticinque statuine lignee attribuite a Giuseppe Picasso Ceraso e Jacopo Colombo, insigni maestri che operarono nella città partenopea tra il Seicento e il Settecento. « I pastori del XVIII sec. hanno la testa di terracotta -racconta Antonio Lebro – gli occhi di vetro soffiato e sono dipinti a mano sul retro, mani e piedi in legno di tiglio. Il manichino appare poi strutturato da una ossatura in filo di ferro ricoperta di canapa ed infine rivestita di stoffa ».
In pochi giorni i due figli di Antonio dovettero rifare venti gambe, centotrenta dita, una decina di occhi, e orecchie, nasi, capelli, oltre al ritocco pittorico di ogni pezzo.

Coadiuvati dalle mogli e dalla sorella, rivestirono i pastori attenendosi con scrupolo ai modelli dell’epoca, usando raso in seta antico, ermesino, braccato, lamè e centinaia di metri di galloni d’oro, bottoni e gioielli in rame, argento.

« Il cuore antico di Napoli era il centro artistico culturale – aggiunge Rosario – ove erano fiorenti nel passato le botteghe di artisti, pittori, scultori, argentieri, intagliatori, doratori che con la loro sapiente arte hanno reso famosi chiese e palazzi che ancora oggi ammiriamo ».

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Purtroppo questa nobile arte di scultori e restauratori non ha continuatori. I figli dei due maestri, laureati, hanno preso strade diverse. Dopo i Lebro chi ridarà vita agli angeli e restituirà all’originale splendore le opere d’arte offese dal tempo e dall’incuria? Un angolo di storia che se ne va.

Mario Carillo

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Mario Carillo
Mario Carillo, iscritto all’ordine dei giornalisti della Campania. Prime esperienze alla Redazione napoletana del Giornale d’Italia di Roma, Agenzia Radiostampa, Agenzia NEA, collaboratore fisso da Napoli per il Secolo XIX di Genova, collaboratore del giornale Il Roma di Napoli, Il Gazzettino, Il Brigante, Albatros magazine, Altritaliani.net di Parigi, responsabile napolinews.org, socio Giornalisti Europei, Argacampania (giornalisti esperti agroalimentare).