Salviamo l’Italia.

Presentata la prima manovra del governo Monti. Il decreto Salva-Italia : rigore, crescita ed equità. Già finito il clima di consenso e di concordia con il nuovo governo Monti. I soggetti politici si agitano, insorgono categorie e sindacati. Ma il paese come risponderà? Nella nuova manovra vi sono i segni della discontinuità con la cultura politica degli ultimi venti anni. Saranno tecnici ma con il senso dello Stato. Le lacrime della Fornero. Ed infine, è questa la via giusta?

Comunque la pensiate, bisogna partire da una premessa che è ineludibile. La manovra che Berlusconi chiamava di sangue, sudore e lacrime e che più sobriamente Monti ha definito di sacrifici, in un paese normale sarebbe stata fatta dai partiti politici che avrebbero dovuto trovare le motivazioni per allearsi nel nome dell’Italia. Non darei per scontata la sindrome di Pilato rispetto alla responsabilità politica dei partiti. In questo sistema politico che dalla discesa in campo di Berlusconi non ha fatto che inseguire il consenso, attraverso i sondaggi, facendo disorganiche leggi e leggine per favorire ora questa lobby, ora gli amici e gli amici degli amici, il coraggio di tornare a fare politica non si è avuto e si è dato infine mandato a dei tecnici, di fare il lavoro sporco di provvedimenti impopolari che i nostri attuali partiti, già ampiamente delegittimati dai cittadini, non hanno avuto il coraggio di assumere.
Sia altrettanto chiaro che se le misure, come segnalano molti esperti, non sono ancora sufficienti e forse anche perché questo governo tecnico, in solo diciassette giorni, ha dovuto organizzare una serie di misure, tenendo conto dei diktat di questa classe politica di nominati che è padrona ancora del parlamento. Mani libere sì, ma fino ad un certo punto.

Tuttavia, dei segnali di discontinuità si sono avuti, ed è bene ricordare, con il ministro Giarda per i rapporti con il parlamento, che queste sono solo prime misure.
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Anche sul piano comunicativo, a fronte delle compulsive informazioni che sono giunte in questi giorni dai media, il governo ha voluto subito dare un chiaro segnale sui costi della politica (certo non è su questo che si salva il paese, ma aiuta a chi deve prepararsi ai sacrifici), Monti rinuncia al suo stipendio di capo del governo e di ministro dell’economia. I suoi ministri non potranno percepire altro stipendio se non quello di ministro, cosa che nel passato, anche recente, non avveniva. C’è chi come il ministro Passera, per lo sviluppo, ha rinunciato alla carica di dirigenza della Intesa S. Paolo che certamente fruttava stipendi ben più vantaggiosi dell’attuale. Vengono ridimensionate le provincie, per abolirle occorre un iter da legge costituzionale che non può essere risolto con decreto.

L’urgenza infatti delle misure impone l’uso del decreto legge, ed è un bel vedere se si pensa che solo fino a pochi mesi fa si voleva per decreto fare qualsiasi cosa depotenziando il parlamento, finanche in materia d’intercettazioni telefoniche. In questo caso è indiscutibile la necessità e l’urgenza di questi provvedimenti. Si annullano enti inutili spesso legati a compiacenti amici del potere partitico e l’auspicio è che anche il parlamento trovi il tempo, tra un mal di pancia e l’altro, per ulteriori e sostanziosi tagli alla casta della politica. Viene definitivamente cancellata la possibilità di condoni fiscali o edilizi, un esempio di affermazione della legalità in un paese in cui negli ultimi anni la legalità è apparsa alla classe politica in genere al governo in particolare, quasi un fastidioso optional.

Tra le righe, passando un po’ inosservato nella stampa e tra i giornalisti, si è parlato anche di liberalizzazioni (materia di prossimi provvedimenti) degli ordini professionali e forse così finalmente vedremo anche i giovani poter accedere a professioni come quella forense ed altre oggi difese, come sulla linea del Piave, da gerontocrazie e baronati che sembrano inamovibili. Idem per la lobby delle farmacie, che vedono rientrare la competitività di nuovi soggetti che potranno vendere prodotti farmaceutici non prescrivibili e si annunciano una revisione delle concessioni con la possibilità di creare più posti di lavoro, competizione e mercato anche in quel settore.

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Le parole d’ordine sono rigore, crescita ed equità.

Un altro segno di discontinuità è il fatto che si accenni alla possibilità di tassazione sulle transazioni finanziarie, il fatto ha qualcosa di storico, specie se fosse in coordinamento con gli altri paesi europei. si andrebbero a toccare la cosiddetta economia virtuale della borsa.
Anche questa infondo sarebbe una misura sui patrimoni come è la reintroduzione dell’Ici, oggi IMU, che va a riguardare tutti gli immobili, anche le prime case. Si inverte, in senso europeo, la rotta rispetto alle demagogiche ed elettorali iniziative berlusconiane che sempre nel nome della ricerca ossessiva del consenso, avevano avuto un effetto populista e deflagrante specie sugli enti locali, in primis i comuni. Certo andrà poi avviata una profonda revisione degli esimi catastali, altrimenti ci ritroveremo degli immobili di pregio, un tempo ritenute d’edilizia popolare, che pur essendo oggi abitati da ultraricchi vedranno prelievi impositivi ultrapoveri (essendo ancora considerati di edilizia popolare). Peraltro, aldilà delle compulsive informazioni di una stampa, che ancora non ha capito che l’era degli annunci è finita, le imposte sulle transazioni finanziarie, e le previste azioni di alleggerimento sugli ordini professionali, fanno il paio con una riduzione, sia pur troppo piccola, dell’IRAP a vantaggio delle imprese, a condizione che queste favoriscano l’assunzione di giovani e donne. Ed è bene ricordare sul tema dell’equità che un giovane su tre è disoccupato e che quasi il 50% delle donne, specie nel sud, sono fuori dal mercato del lavoro. Ancora va segnalato che non sarà aumentato l’IRPEF, la cosa ha determinato l’insofferenza del centrosinistra (ma non del sindacato) che auspicava un aumento della tassazione sulle persone fisiche in particolare sui redditi più alti.

Va però considerato che una misura sull’IRPEF, in un paese che spende 60 miliardi di euro l’anno in corruzione (fonte Corte dei Conti) e che ha centotrentamiliardi di evasione fiscale annua, richiedere ancora sacrifici a chi bene o male le tasse le paga avrebbe sortito, con buona probabilità, solo l’effetto di comprimere ulteriormente i consumi e depotenziare la già estenuata classe media. Ed infatti, negli analisti economici, suscita qualche timore l’introduzione di un aumento IVA di due punti a partire dal secondo semestre del 2012, con effetti recessivi a piccolo e medio termine, piuttosto pericolosi. Siamo già, se le previsioni sono confermate da un secondo semestre in ribasso, in recessione e questo è veramente pericoloso specie se abbinato ad un processo d’inflazione che può essere determinato dalla mancanza di liquidità bancaria.

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Basti pensare che la crescita italiana nel 1957 era del 5,6% ed oggi le stime più favorevoli ci danno allo 0,2%.
La sinistra, specie quella più estrema, si batte il petto invocando una patrimoniale. Ma detta così non ha senso. Per incidere sui grandi patrimoni, bisogna intanto conoscerli, cosa non semplice anche a causa dei ritardi delle amministrazioni nella conoscenza dell’effettive condizioni patrimoniali dei cittadini. In un paese così sregolato, dove fino a ieri si giustificava, quando non si incitava all’evasione fiscale e alla fuga dei patrimoni all’estero, appare difficile, d’incanto, svelare il volto di questi malfattori, quasi sempre evasori totali. E se è un bene tassare (e forse occorreva tassare anche più del misero 1,5%) nuovamente quei capitali evasi all’estero e rientrati in Italia con poca pena e spesa dall’estero grazie allo scudo fiscale di Tremonti e Berlusconi, certamente appare la tassa sui grandi patrimoni un po’ demagogica ed infruttuosa nel presente, ma interessante in chiave futura. Come un po’ vaga appare l’idea di tassare le barche, le auto di lusso, e simili, anche perché spesso chi n’è proprietario nasconde queste proprietà dietro prestanomi, società straniere o di comodo, ecc. Finendo per rendere vano il tentativo pur nobile di far pagare chi più ha.

Anche Massimo Giannini dalle colonne di “La Repubblica” invoca una tassa sulle grandi rendite come in Francia, ma occore tenere presente che in Francia la cultura del dovere tributario è molto più radicata che in Italia, che gli strumenti di controllo sui patrimoni sono rodati da anni di esperienza e che già la sola idea di ingannare il fisco e di evadere le tasse fa scandalo. In Italia occorre costruire questo senso civico, ma non può essere una misura d’urgenza come richiesta nell’attuale manovra. E’ una strada da perseguire, ma occorre creare meccanismi, strumenti ed affinare e potenziare quegli strumenti d’indagine che possano svelare questo corposo capitolo dell’evasione fiscale. Certamente in Italia bisogna arrivare come in tanti paesi, Francia inclusa, ad una tassa sulle grandi fortune. Una tassa annuale e non certo episodica. Francamente, mi aspettavo di più in tema di tracciabilità. Poter pagare fino a mille euro in contanti è troppo, francamente bisognava tornare alla idea di Bersani di una tracciabilità a partire da 200 euro. Questa anomalia è tutta italiana. Altrove si pagano con carte di credito o assegni finanche i fasci di fiori che si offrono agli amati. Anche qui probabilmente ha agito sul governo il pressing di una politica che non vuole apparire ma vuole contare.

Commuoviti pure ma correggimi se sbaglio.
Francamente non condivido l’ironia di certa destra e di certa sinistra sulle lacrime della Fornero, ministro del lavoro e della previdenza. Nell’illustrare la riforma delle pensioni il ministro Elsa Fornero, giunta a dover chiedere sacrifici ai redditi pensionistici superiori ai 490 euro ed inferiori ai mille, alla parola sacrifici, dopo aver segnalato la fatica anche psicologica per accettare d’imporre questi sacrifici, è crollata in un commovente pianto. Sono d’accordo con Roberto Benigli che ha trovato autentico e commovente l’episodio. Bisogna considerare che la Fornero non è un politico, non deve fare colpo sugli elettori, finito il suo mandato tornerà ad essere una studiosa, ma avverte il dramma che per tante famiglie questo rigore imporrà. La sua emozione lascerà un segno nella storia di questa conferenza stampa e di questo consiglio dei ministri che svela la strategia, si spera valida, per uscire da questa drammatica crisi. E’ un altro segnale di discontinuità con l’ultimo governo. Si è passati dai ministri di plastica a ministri magari meno « riusciti » sul piano estetico ma evidentemente più umani.

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Provata, la Fornero si arresta. Riprende, allora, la parola Monti per continuare il discorso del suo ministro del lavoro e nel rassicurarla sul fatto che l’indicizzazione anche per quei redditi sarà garantita grazie alle imposte di bollo sulle transazioni finanziarie le dice paternamente, temendo di essere inesatto in alcune informazioni: “Commuoviti pure ma correggimi se sbaglio”. Anche questo episodio è un piccolo tratto di umanità che, ancora una volta, segna la faglia che c’è tra l’antipolitica spettacolare e grossolana del berlusconismo e il senso dello Stato dell’attuale governo.

Il vero problema è, però, che non usufruiranno di adeguamento per due anni, le pensioni appena superiori ai mille euro, e che per quelle inferiori l’adeguamento inflazionistico ci sarà. Solo che, l’indicizzazione programmatica attuale è dell’1,4% a fronte di una inflazione reale che allo stato è del 3,6%. Insomma chi vive di quelle pensioni davvero rischia di non sopravvivere, in mancanza di ulteriori sostegni sociali.
E’ dura la critica dei sindacati dei pensionati ed in generale della CGIL, CISL e UIL (vi ricordo sul sito a tal proposito il puntuale intervento di Italo Stellon per approfondire), anche perché la magica soglia contributiva dei quaranta anni si è spostata a quarantuno anni per le donne e quarantadue per gli uomini. E non si può andare in pensione prima dei 62 anni per le donne e 65 per gli uomini ma dal 2016 tutti andranno in pensione a 65 anni con incentivi per chi vorrà andare in pensione a settanta anni. Disincentivi e penali anche se non elevate per chi vorrà andare in pensione prima. Finisce, ma era una prerogativa anche in questo caso solo italiana, l’era delle pensioni retributive e si va alle pensioni contributive, dove chi andrà in pensione ci andrà in virtù di quanto effettivamente versato alla previdenza. In realtà c’era qualcosa di premiale nella vecchia formulazione a cui si aggiungeva il TFR (che ad esempio in Francia non esiste) con un piccolo capitale che veniva dato a chi andava in pensione. Ma decisamente il vecchio sistema determinava diverse sperequazioni e favoriva i privilegi di alcune categorie.

Con il vecchio metodo la pensione era indicizzata sulla base dell’ultimo stipendio, determinando specie per chi lavorava con ruoli dirigenziali in imprese e società, un vertiginoso aumento a fine carriera per ottenere poi vertiginose pensioni. Certo è che questa misura abolendo le giungle di finestre mobili di uscita dal lavoro semplifica e in molti casi purtroppo riduce le aspettative pensionistiche specie nel pubblico impiego. Ma va considerato che questa riforma, odiata dai più e che in effetti va a colpire le pensioni cosiddette di anzianità, avrà un’efficacia per i futuri pensionati senza nulla togliere a chi in pensione già c’è. E del resto l’aumento degli anni contributivi è anche in sintonia con l’elevato, per fortuna, aumento di aspettativa di vita. Toccare le pensioni d’anzianità smuove le ire della Lega Nord (le pensioni di anzianità sono soprattutto nel nord Italia) che già aveva impedito all’alleato Berlusconi di muoversi in questo senso, malgrado le sollecitazioni europee. Ma va detto che le stesse pensioni di anzianità sono una figura del tutto originale ed esclusiva nel mondo della previdenza, e pressoché ignota in Europa.

Monti ha concluso con uno scatto di orgoglio sostenendo che non si fa questa manovra perché lo chiede l’Europa, la si fa perché l’Italia se non ha il coraggio d’iniziare (e ripeto iniziare) a fare qualcosa per colpire il suo debito pubblico (è bene ripetere suo e non dell’Europa) si arriverà a Febbraio alla bancarotta, quando non si potranno più acquistare titoli di stato e alle aste di Febbraio la mancanza di liquidità ci potrebbe portare ad un effetto Argentina. Per questo ritengo che le misure avrebbero dovuto essere più consistenti e coraggiose. Certamente è un passo importante ma, bisognerà mettere in ordine l’apparato dello Stato specie per avviare una concreta azione contro l’evasione fiscale e per incidere effettivamente e di più su quel semiocculto 10% d’italiani che gestiscono quasi il 50% di tutta la ricchezza del paese. Probabilmente bisognava avere il coraggio d’incidere profondamente nello sconto IRAP per favorire l’accesso di giovani e donne nel lavoro ed incidere ben più dell’1,5% sui soldi rientrati con lo scudo fiscale.

Presto bisognerà attaccare i costi della politica e dello Stato in profondità, abolire gli ordini professionali, riformare il lavoro, certamente non per favorire i licenziamenti ma per limitare gli effetti deleteri del precariato. C’è molto da fare, ma va detto che in tanto l’Italia sta riacquistando credibilità e peso nel mondo e in Europa, che lo spread, sarà un caso? scende a 370 e le nostre finanze respirano, le borse sembrano dare fiducia a Monti e al suo governo. Tutto questo mentre c’è chi come la Fiat cerca di speculare sul dramma italiano per avanzare l’idea di lasciare il paese, e l’estrema sinistra e ora anche l’Italia dei Valori, sparano a zero come la Lega contro Monti; un rigurgito di populismo, un mix demagogico tra leghisti che invocano improbabili referendum sulle pensioni e chi cerca di strappare un po’ di trippa al PD.

I sindacati sembrano ancora disuniti per ora, scioperi in ordine sparso e la FIOM, principale sindacato metalmeccanico, che invoca lo sciopero generale. Personalmente credo sarebbe un grosso errore tornare a dividere il paese che sembra più cosciente delle sue rappresentanze (anche politiche) sulla necessità di vincere questa guerra oscura contro un nemico che sta divorando paesi interi e la stessa Europa e che minaccia l’intero occidente. Certo se si esce dall’emergenza, bisognerà poi riflettere, e noi lo faremo, su questa Europa, su un’economia tutta chiusa sull’idea dei consumi, che ha abbandonato la produzione reale e che vive di servizi, sul modello di vita e di società che si prospetta per il futuro.

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Tuttavia, aldilà del battersi il petto e di facili demagogie, resta che tutto questo avrebbe dovuto farlo la politica e non dei tecnici, e francamente non condivido gli apprezzamenti di chi dice che Monti è il miglior politico italiano, questo è un ulteriore modo per deresponsabilizzare la classe politica. La realtà è che il PIL attuale è esploso negli anni del craxismo e che malgrado Le manovre che nel corso del tempo, specie con Amato e Prodi, avevano riportato ordine nei conti pubblici, il sostanziale dolce far niente delle politiche economiche degli ultimi venti anni, l’assenza di politiche industriali, l’azzeramento della ricerca scientifica ed industriale hanno determinato disastri che neanchè l’anno sabbatico della politica e l’avvento di Monti possono risolvere in toto.

C’è da riformare la macchina dello Stato, per effettive e utili caccie all’evasione fiscale e al lavoro nero, con tutta l’evasione contributiva che questo determina. Da riformare la politica e lo dico sempre, affinché possa riavanzare un senso civico nel paese che anni di antipolitica hanno ridimensionato fortemente. C’è da ricostruire un paese che non solo e a pezzi economicamente, ma lo è anche moralmente e fisicamente, basti pensare a cosa avviene alle prime piogge autunnali, o del nostro patrimonio d’arte e archeologia.
Una cosa è certa, se Monti riuscirà di tutto questo potremo parlare tornando a dividerci sulle idee e le strategie, se dovesse fallire, la strada del futuro diventerà davvero pericolosa ed imprevedibile.

(nelle foto dall’alto in basso: Napolitano e Monti, il governo durante il dibattito alla Camera, Il ministro Fornero durante la conferenza stampa, Umberto Bossi leader della Lega Nord).

Nicola Guarino

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.