Un’originale adattamento del “Candelaio” di Giordano Bruno

Il libero avvento di ogni nascita necessaria scriverebbe Pirandello a proposito della commedia “Candelaio” di Giordano Bruno.

Una creazione artistica spontanea, una trasposizione teatrale della sua vita, del suo pensiero, un’immagine di candela che – come scrive nella dedica alla Signora Morgana – «deve illuminare certe ombre delle idee».

Un’immagine di sé e del mondo che si manifesta già nel titolo: “Candelaio, comedia del Bruno nolano, academico di nulla academia, detto il fastidito. In tristitia hilaris, in hilaritate tristis”.

Locandina dello spettacolo di Angela Antonini e Paola Traverso

Angela Antonini e Paola Traverso hanno realizzato un’originale sintesi drammaturgica del Candelaio che vede in scena una sola attrice, Angela Antonini, alle prese con diciannove personaggi dell’opera. La chiave registica dello spettacolo ha un sapore cabarettistico, da vaudeville parigino; una scatola sonora da cui escono fuori i personaggi disegnati dalla fantasia delle due drammaturghe che traducono a loro modo il concetto di trasformismo. L’attrice utilizza la sottolineatura delle accentuazioni e le inflessioni dialettali discoprendo al pubblico le infinite variazioni musicali del testo. Il ritmo incalzante, la successione delle parole, le sinonimiche, la sintassi, si pongono come la partitura di una composizione sinfonica, dove la bravura dell’interprete sta nel tocco della corda o nella pressione dei tasti, talora leggero, talvolta veemente.

La prima volta che abbiamo letto il Candelaio ci siamo trovate davanti ad un drammaturgo di rara foggia, che usa la lingua con una libertà che pochi autori hanno rivendicato così radicalmente. Un fiume in piena che si arricchisce di mille affluenti, dove la particolarità della punteggiatura indica un’autonomia dal linguaggio costituito, il suo «argumentare» è intriso di passione, si percepisce la partecipazione corporea dell’autore nell’atto fisico della scrittura. Hanno bruciato il suo corpo, perché è dal corpo che nasce il pensiero. Senza passionalità, senza «Furore», specifica l’autore, non vi è possibilità di conoscenza, di verità.

La commedia si apre con una serie irresistibile di entrate e uscite, fughe dal palcoscenico, personaggi che non si sentono pronti ad entrare in scena.

Il primo a presentarsi al pubblico è un insolito personaggio Il Libro. Afferma di essere nudo e noi abbiamo pensato alla realtà di un neonato.

Una scena dello spettacolo

Il Capocomico è ubriaco, la Prima Attrice ha il mal di matre e l’attore che recita l’Antiprologo è affamato. Viene letteralmente lanciato in scena dalle quinte il personaggio del Proprologo costretto, nella sua timidezza sconcertante, a presentare l’autore e così il servo di scena, il Bidello, da inizio alla comica rappresentazione.

Il Candelaio è un’opera teatrale scritta presumibilmente di getto in quindici giorni non appena il Filosofo giunse a Parigi, nel 1582 e pubblicata nello stesso anno. Bruno sceglie di scriverla in volgare perché era la lingua viva, più vicina a quelli cui voleva far conoscere il suo pensiero, al mondo, agli uomini, alle donne, agli esclusi dalla cultura, fuori e dentro le accademie, a coloro che per studiare dovevano passare per i Conventi e rinunciare alla vita.

Bruno aveva appena proposto al mondo il De Umbris Idearum, un’opera dell’arte della memoria che racchiude in sé anche i fondamenti teorici della sua nova filosofia e già presentiva le reazioni del mondo culturale ed ecclesiastico.

Accusato di eresia, nel 1576, era stato costretto a lasciare il convento napoletano di S. Domenico e fuggire a Roma, e di lì a poco, dopo aver girovagato nudo come un Bia, aveva lasciato l’Italia passando per Lione, Ginevra alla volta di Tolosa. Approdò finalmente a Parigi, invitato dal re di Francia Enrico III. La tappa parigina rappresenta un apice nella “carriera” di Bruno, il re lo nomina lettore straordinario del prestigioso Collège Royal che accoglieva poeti, filosofi e scienziati, dove si respirava una maggior libertà e una concezione non dogmatica del sapere.

La fuga dalla vita del Convento di S. Domenico, la rivolta radicale alla chiesa cattolica, la denuncia di un mondo capovolto, dell’ipocrisia dei petrarchisti con i loro versi sdolcinati, il rifiuto dello schematismo freddo dei puristi della lingua come il Bembo e lo Speroni, l’intera sua filosofia, sono la materia, l’argumento di questa geniale creazione artistica.

Scritta in un volgare che non nasconde un carattere fortemente popolare, il Bruno attinge direttamente dai molteplici registri dialettali italiani: napoletano, fiorentino, veneziano, espressioni e proverbi di varie regioni settentrionali e meridionali che, verosimilmente, aveva avuto modo di sentire dai suoi giovani compagni di Convento e nel lungo peregrinare.

Non rinunciando alla vivacità del dialetto, tramite un napoletano che non è napoletano, Giordano Bruno dà vita e corpo ad un “italiano” che si oppone a coloro che volevano una lingua «classica e pura» separata dall’uso vivente, «bella ed imbalsamata», «ben rinchiusa e coperchiata nel dizionario della Crusca» e che imposero il Petrarca e il Boccaccio come modelli inviolabili quanto la Bibbia, istituendo un vero e proprio «Concilio di Trento della lingua», come ha messo ben in risalto il De Sanctis nella sua Storia della Letteratura Italiana.

La questione linguistica nasconde una lotta molto aspra, fondamentale per quello che di più profondo rappresenta il linguaggio per gli esseri umani.

La varietà, i colori, le mille sfumature sonore che hanno i dialetti sono libertà espressiva, che permette di comunicare con forza, immediatezza, spontaneità un pensiero. Sottrarre, ridurre, abolire le possibilità espressive conduce a uno svuotamento della lingua quindi dell’espressione poetica, ed impedisce di portare nel linguaggio tutte le sfumature del sentire umano, lasciando l’uomo nell’ignoranza e nell’impossibilità della conoscenza.

Abbiamo trovato conferma delle nostre sensazioni in ciò che sostiene Barberi Squarotti, quando dice che il linguaggio di Bruno «prefigura la materia in movimento infinito», «una concezione plastica della lingua» opposta agli schemi letterari codificati.

«Rappresenta l’avvio necessario a quella assoluta libertà di costruzione della lingua», afferma ancora lo studioso, «costituendo il punto d’arrivo di tutta una serie di tentativi e prove cinquecentesche».

Una scena dello spettacolo Nel Candelaio Bruno riconosce al Berni, all’Aretino e al Folengo, l’azione polemica e burlesca nei riguardi della società letteraria ufficiale attraverso vere e proprie citazioni. Ed è dal Folengo che gli viene la suggestione maggiore per la grottesca lingua creata nel Candelaio per il pedante Manfurio. Attraverso il personaggio del pedagogo Manfurio, che le due autrici hanno reso molto efficacemente attraverso la caricatura vocale di un pontefice, svela che la lingua latina era ormai morta. Una chiara rivolta alla Chiesa cattolica e alla alleanza con il potere culturale vigente.

In un recente articolo sul settimanale Left, scrive in proposito Massimo Fagioli:

«L’altro, Bruno aveva, come dissi mesi fa quando fu recitato Il Candelaio, scritto parole che, rappresentando immagini, diceva esplicitamente che il latino era una lingua morta da tempo, tenuta artificialmente dalla chiesa cattolica. Denunciando l’antica morte disse che, con la scoperta dell’America e Copernico, l’uomo aveva visto il movimento».

Quel movimento infinito che Bruno aveva intuito, tema centrale e fulcro di tutta la sua riflessione filosofica, in continua e netta contrapposizione alla visione tolemaica/aristotelica fissa ed immobile. Un universo infinito e una vita/materia in continua mutazione che implica il movimento continuo della realtà non materiale dell’uomo: il pensiero.

E’ proprio attraverso lo sguardo dell’artista Gioan Bernardo che Bruno da vita, nel Candelaio, ad un particolare processo di svelamento della verità: il teatro, la commedia. Quasi a suggerire che è l’ artista che arriva dritto al cuore della conoscenza e tocca con mano la verità. Possiamo raccogliere dalle parole del Candelaio lo stimolo per una riflessione sul ruolo degli artisti. Non viene riconosciuta né al commediografo, né tantomeno all’attore, la capacità di proporre un pensiero che apra nuove e diverse possibilità di conoscenza ai canonici e consolidati percorsi culturali. Quello dell’attore, del drammaturgo, è un processo di ricerca altrettanto autorevole dove è centrale l’idea della rappresentazione e l’esperienza sensibile con il pubblico. E’ di fatto il pittore Gioan Bernardo che separa il vero dal falso e lo fa per restituire la libertà di amare ed essere amata alla “bella imbalsamata” di nome Carubina.

L’autore del Candelaio è indubbiamente un grande artista, drammaturgo geniale quanto il filosofo. Lo sostengono con forza anche illustri studiosi come lo Spampanato, Giorgio Lafaye e Terenzio Mamiani: «Bruno è un perfetto autore comico che non aveva rivali al suo tempo». Il Candelaio rappresentò un’opera chiave per la successiva scena teatrale europea, preludio alle opere dei più grandi commediografi come Shakespeare, Molière, Goldoni, Rostand e persino al radicale sperimentalismo linguistico di Gadda e Joyce.

Firma autografa di Giordano Bruno del 1588

Eppure il Carducci definì il Candelaio una commedia «volgarmente sconcia e noiosa sia pur di Giordano Bruno» e da molti viene considerata un’opera inferiore, grezza, ingenua, grossolana, provinciale e rozza – questi sono i termini! Strana coincidenza, anche il fiorentino Poliziano nel 1476 definiva con gli stessi termini la meravigliosa poesia della Scuola siciliana. Perché? Per un difetto di razza forse? O di…purezza della razza? L’eterno conflitto con il Sud? La profondità che contraddistingue gli scrittori meridionali, che non escludono dalle origini della nostra lingua, i mille suoni che ci sono giunti dal mondo arabo? E se ci fosse anche l’intenzione dell’autore di restituire la commedia al teatro popolare dopo l’ “appropriazione indebita” della più che religiosa Comedia…Divina?

In occasione della lettura del Candelaio nella libreria romana Amore e Psiche, lo scorso 19 febbraio, così chiude l’incontro lo psichiatra Massimo Fagioli: «A monte ci sarebbe il filosofo, con questa storia dell’infinito, di aver portato l’apeiron al mondo invece che alla trascendenza».

Leda di Paolo, Paola Traverso e Angela Antonini

Bibliografia

Giordano Bruno

Candelaio a cura di Vincenzo Spampanato, Laterza, Bari, 1909

Opere italiane, voll. 1 e 2, testi critici di G. Aquilecchia, coordinamento di Nuccio Ordine, Utet, Torino 2006

Gli anni napoletani e la ‘peregrinatio’ europea, Immagini- Testi – Documenti, a cura di Eugenio Canone, «Seminario di Studi su Fonti e motivi dell’opera di Giordano Bruno» Università degli Studi, Cassino, 1992

Giorgio Barberi Squarotti,

Bruno e Folengo in,«Giornale storico della Letteratura Italiana», 1958, CXXXV, pp. 51-60

Per una descrizione e interrpretazione della poetica di Giordano Bruno, in «Studi Secenteschi», I, 1960, pp.39-59

Nino Borsellino, Rozzi e Intronati, esperienze e forme di teatro dal Decameron al Candelaio, Bulzoni, Roma, 1974

Michele Ciliberto,

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Giordano Bruno. Il Teatro della vita, Mondadori, Milano 2007

La ruota del tempo, interpretazione di Giordano Bruno, Editori Riuniti, Roma, 2000

Giovanni Aquilecchia, «L’adozione del volgare nei dialoghi londinesi di Giordano Bruno», in «Cultura neolatina»,XIII, 1953, pp. 165-89

Francesco De Sanctis, Storia della letteratura Italiana, Torino, BUR, 2009

Massimo Fagioli,

L’oscurità e il nero, in «Left», n.27 8 luglio 2011

Venti secondi in «Left» n° 13, 1 aprile 2011

L’Ombra di Bruno: l’uomo tra finito e infinito – incontro con Michele Ciliberto – Roma, libreria Amore e Psiche, in «Il sogno della Farfalla, rivista di psichiatria e psicoterapia», n.2, 2008, pp.10-38

-Lettura del Candelaio di Giordano Bruno – Roma, Libreria Amore e Psiche, 19 Febbraio 2011 – riprese prodotte da Associazione culturale Amore e Psiche – realizzazione tecnica Mawivideo www.mawivideo.it

Nuccio Ordine,

La soglia dell’ombra. Letteratura, filosofia e pittura in Giordano Bruno, Marsilio Ed., Venezia, 2003

Anna Laura Puliafito Bleuel, Comica pazzia, Vicissitudine e destini umani nel Candelaio di Giordano Bruno, Olschki Ed. ,Firenze, 2007

Pasquale Sabbatino, A l’Infinito m’Ergo Giordano Bruno e il volo del moderno Ulisse, Olschki Ed., Firenze, 2003

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