Napoli, nucleare, Val Susa: un’Italia vivibile, respirabile?

Innovazione voleva dire, in passato, quanto di più avanzato vi potesse essere nei settori della scienza e della tecnica.
Oggi c’è qualcosa di nuovo, quello che Bruno Latour ha chiamato il paradosso dell’innovazione precauzionale, cautelativa: bisogna essere innovatori, innovare massimamente, ma con cautela.

Come è possibile innovare con precauzione? I due termini non sono in contraddizione? No, non lo sono. Perché l’innovazione può diventare modificazione nel dettaglio, non rivoluzionaria. La trasformazione mentale è molto profonda e investe direttamente la politica. Eravamo abituati a dei processi rivoluzionari, che volevano modificare lo stato delle cose. Ora questo va fatto nel dettaglio, modificando ogni elemento, ogni fase di come si producono oggetti, si costruiscono case, ci si sposta, si gestiscono i rifiuti, si accumula energia. Non è più l’innovazione così come la pensavamo negli anni 60, nell’era della modernizzazione, nell’assenza di controllo.

Raccolta_differenziata.jpgIl caso dei rifiuti di Napoli ha molti aspetti. Ma nel senso più profondo non riguarda solo Napoli, investe tutta la penisola. Siamo di fronte a una minaccia ambientale che non possiamo affrontare in modo massimale, ma facendolo nel dettaglio. Quello che abbiamo di fronte è una sfida che prevede un approccio diversificato, pensando la complessità, luogo per luogo. È questo il senso più profondo della raccolta differenziata dei rifiuti, in opposizione alla scorciatoia degli inceneritori di ultima generazione, massimamente innovativi, forse, ma comunque in un senso passato. Perché solo diversificando la raccolta dei rifiuti, gli inceneritori potranno essere trasformarsi in termovalorizzatori. Non si tratta di essere massimalisti: una volta che si è “fatta la differenziata”, come si dice, si potranno valorizzare alcuni rifiuti trasformandoli in energia, aumentando così la differenziazione nella produzione energetica dopo la rinuncia alla scorciatoia nucleare.

©Eric Valmir

Il successo del referendum del 12 e 13 giugno contro il nucleare è stato un’affermazione di un cambiamento mentale, non una vittoria della paura. Si è detto che senza il disastro in Giappone il quorum non sarebbe stato raggiunto, chissà? Di certo nel voto è emersa la consapevolezza della fragilità italiana di fronte al massimalismo rivoluzionario, quello dei pasdaran modernizzatori o dei fondamentalisti dell’innovazione. Perché la cautela consiglia, in questo caso, di accettare che si continui a importare energia nucleare dalla Francia, senza compromettere ulteriormente la sicurezza del Mediterraneo. Probabilmente ha contato anche il clima generale di sfiducia verso il governo, quindi il senso diffuso della fine di un ciclo politico. Ma non è stata l’affermazione dell’indignazione, semmai di un senso del giusto e della misura.

Anche l’opposizione alla realizzazione di un tratto della rete ferroviaria europea nella Val Susa merita una riflessione più attenta, direi sul merito della questione. È fuor di dubbio che il sogno europeo di un grande spazio – organizzato in modo non gerarchico e non imperiale – passi attraverso la costruzione di reti. La cosiddetta “Europa delle reti” include sia le relazioni politiche e sociali, sia la costruzione d’infrastrutture nei settori della comunicazione, dell’energia e dei trasporti. Quali altre vie consentono di unire l’Europa? Ma attenzione: soltanto una religione del progresso senza limiti fa bollare come eretico chi si oppone al progetto della Tav.

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Se c’è un filo rosso che collega questi tre casi, si tratta di un diffuso desiderio di abitare un paese più vivibile e respirabile. Quest’anno l’Italia non ha bisogno di andare in vacanza, ma di cambiare un po’ d’aria.

Sarebbe il modo migliore per festeggiare i suoi 150 anni, ricordando queste parole:

Non popolo arabo, non popolo balcanico, non popolo antico

ma nazione vivente, ma nazione europea:

e cosa sei? Terra di infanti, affamati, corrotti,

governanti impiegati di agrari, prefetti codini,

avvocatucci unti di brillantina e i piedi sporchi,

funzionari liberali carogne come gli zii bigotti,

una caserma, un seminario, una spiaggia libera, un casino!

Milioni di piccoli borghesi come milioni di porci

pascolano sospingendosi sotto gli illesi palazzotti,

tra case coloniali scrostate ormai come chiese.

Proprio perché tu sei esistita, ora non esisti,

proprio perché fosti cosciente, sei incosciente.

E solo perché sei cattolica, non puoi pensare

che il tuo male è tutto male: colpa di ogni male.

Sprofonda in questo tuo bel mare, libera il mondo.

Pier Paolo Pasolini

Emidio Diodato

Politologo – Università per stranieri di Perugia

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Emidio Diotato
Professore associato di scienza politica presso l'Università per Stranieri di Perugia