«Ė la mia donna» : sessismo e violenza di genere. Intervista a Chiara Valentini.

In un contesto sociale che ha rivelato una grave battuta d’arresto, se non una vera e propria regressione, nei rapporti tra uomini e donne, Altritaliani invita a riflettere con la giornalista e saggista Chiara Valentini, sul problema delle violenze persecutorie contro le donne – il cosiddetto « stalking » e la sua « mattanza sottotraccia ». Chiara Valentini, coautrice di « Amorosi assassini. Storie di violenza sulle donne » (Laterza 2008), sarà ospitata dall’Istituto italiano di Cultura di Parigi, mercoledi 22 giugno alle 19.00 insieme alla scrittrice Dacia Maraini per presentare il libro « Donne del Risorgimento » (Il Mulino, 2011).

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« Amorosi assassini. Storie di violenze sulle donne » è firmato da tredici giornaliste, scrittrici e saggiste del gruppo Controparola. Tra di loro Dacia Maraini, Chiara Valentini, Paola Gaglianone, Lia Levi.
Quello della violenza contro le donne non è certo un fenomeno marginale. Le cifre sono da mattanza, da vero e proprio « ginocidio »: ogni anno circa un milione e 150 mila donne vengono maltrattate, picchiate, stuprate e uccise, a fronte di poche migliaia di denunce. Le violenze avvengono in contesti poveri e degradati ma anche in ambienti borghesi « insospettabili ». E per lo più si consumano tra le pareti domestiche, per mano di padri, fratelli, mariti, amanti, ex fidanzati.

INTERVISTA A CHIARA VALENTINI

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Francesca Sensini per Altritaliani : « Amorosi assassini » è un libro che nasce dalla constatazione di una realtà persistente, in qualche modo sommersa – « mattanza sottotraccia » – quella del delitto o, più in generale, della violenza di genere, o femminicidio. Può spiegarci meglio cosa indica questo termine e quando è nato?

Chiara Valentini : “Femminicidio” è proprio un termine del linguaggio femminista e connota quel tipo di omicidi che venivano solitamente definiti “delitti passionali”, sottintendo cioè che la ‘passione travolgente’ di certi uomini li spingesse a uccidere le loro compagne… fra l’altro la cosa curiosa che alcuni di noi avevano notato era il fatto che d’estate questi delitti sembravano aumentare; in realtà, la vera ragione era che, mancando le notizie politiche e economiche, i giornali pensavano che le persone in vacanza potessero dilettarsi con queste storie, che poi in molti casi sono dei veri e propri gialli abbastanza intriganti; pensiamo per esempio al delitto di via Poma che tenne banco per anni e di cui conosciamo l’esito processuale soltanto adesso.

F.S. : Cosa vi ha spinte a scegliere il titolo « Amorosi assassini » in cui si intrecciano le nozioni di amore e violenza?

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C.V. : Proprio l’intreccio di amore e violenza è caratteristico di questo tipo di delitti, c’è dietro un qualcosa di unico, una relazione affettiva, sessuale e sentimentale, o tutto questo insieme in molti casi, e un sottofondo di violenza. Questo perché la donna è considerata un oggetto di proprietà maschile: pensiamo all’espressione, che si sente talvolta usare, “è la mia donna”, per esempio: il presupposto di questo tipo di discorso è che sia l’uomo a doversi occupare della donna, proteggerla, sostenerla… ma tutto questo è quanto di più lontano esista da un rapporto paritario tra i sessi. Oggi ci trasciniamo ancora dietro questo retaggio, anche se in forma meno evidente. Gli uomini che sentono di non aver più questa proprietà e di doversi misurare colla parità, col fatto che le donne possono decidere se restare con loro o no, se dire di si a un corteggiatore o respingerlo, sono destabilizzati; tutto questo può scatenare veramente delle violenze che poi vengono in genere classificate come “raptus”; è classico di questi delitti sentire ripetere dai conoscenti dell’assassino frasi come “era cosi un bravo ragazzo”, “era un marito esemplare, dedito solo alla famiglia…”; e allora come mai ha ucciso la sua compagna a martellate? “Gli ha preso un raptus…”

Questa storia del “raptus” nasconde quello che “Amorosi assassini” vuol cercare di dire: la mancanza di analisi delle relazioni un po’ malaticce che ci sono tra i generi, e non solo in Italia, perché questi tipi di delitti o violenze domestiche si trovano ovunque, in Francia, come in nord Europa, in Turchia etc. Sono storie che hanno dinamiche ripetitive.

Ma quello che ci distingue dagli altri è che, almeno fino in tempi molto recenti, c’era una scarsissima conoscenza di questi meccanismi da parte di chi dovrebbe tutelare le persone minacciate. Basta ripercorrere le storie delle donne del nostro libro; sono tutte storie molto esemplari, non sono affatto vicende originali; si ripetono molte volte secondo modalità tragicamente identiche. Per esempio, è assai facile trovare in queste storie un poliziotto o un carabiniere, cui la donna si rivolge, dicendosi minacciata, picchiata, oggetto di persecuzione etc, che dice frasi del tipo “ma no, non ci faccia caso, è per troppo amore, vedrà che se ha un po’ di pazienza tutto torna nei limiti, nella normalità…”. Insomma, è ricorrente questo non capire il pericolo che si nasconde anche dietro le prime manifestazioni, i primi sintomi di questa aggressività latente che diventerà poi, disgraziatamente, aggressività in atto.

F.S. : Qualcosa è cambiato nei dati e nelle dinamiche relative agli episodi di violenza contro le donne rispetto al passato?


C.V. : C’è stato un aumento di questi omicidi se si guarda ai numeri: 120, 130, persino 150 casi in certi anni, perché appunto oggi le donne sono molto più coscienti di quanto non lo fossero in passato. Ci sono poi alcune costanti nelle dinamiche; per esempio, per gli uomini che, per ragioni di lavoro, possono accedere al porto d’armi – un militare, una guardia giurata etc. – il passaggio all’atto delittuoso diventa più facile e rapido. Poi però ci sono altri aspetti. C’è chi vi arriva attraverso la strada più tortuosa della violenza psicologica: recentemente la televisione italiana ha ricostruito la storia di una ragazza che era stata ridotta all’anoressia dal suo fidanzato. Quest’ultimo aveva una specie di mania per le donne anoressiche ma la magrezza della sua compagna non gli bastava mai; lei era ridotta a non mangiare più niente e lui, sadicamente, la portava anche al ristorante e mangiava di fronte a lei piatti succulenti. Quando poi il gioco è andato avanti oltre i limiti della sopravvivenza e lei si è ribellata non osservando più i divieti che le venivano imposti, è stata ammazzata a coltellate secondo una modalità frequente in questo tipo di delitti.

F.S. : Quali sono le risposte della legislazione italiana al problema?

C.V. : Dopo grandi tira e molla e anche pressioni da parte donne è stata approvata l’anno scorso una legge sullo “stalking”, termine che definisce le violenze persecutorie e che spesso, anzi molto spesso, sono il segnale che qualcosa si è rotto nell’equilibrio della coppia. Poter denunciare un uomo per “stalking” può essere molto utile, a patto però che la denuncia non resti sulla carta e che ci siano operatori sociali, polizia, e anche magistrati pronti a capire il pericolo e ad agire in modo molto veloce. Per esempio, prendiamo la stessa storia che io racconto nel libro – la vicenda di una ragazza di Parma, Silvia Mantonvani, perseguitata da un ex fidanzato. Una volta accortasi che era un uomo violento, Silvia lo aveva lasciato e da lì erano cominciate le molestie persecutorie, che lei aveva denunciato più volte; ma erano molestie per modo dire; si trattava di violenze inaudite, che le impedivano di vivere, non è uno scherzo lo “stalking”, è qualcosa di terribile : il suo ex stazionava sotto la porta di casa sua, la seguiva ossessivamente, faceva cento telefonate al giorno, importunava amici e parenti. Silvia aveva vissuto un anno barricata in casa e quando era andata a denunciarlo, aveva trovato un muro; al massimo di tutte le denunce fatte, lui era stato richiamato solo una volta dalla polizia locale perché aveva fatto irruzione in una loro casa di campagna portando via anche qualche oggetto, in una forma di feticismo, io credo. Quindi solo questo attentato alla proprietà aveva fatto scattare un ammonimento, o addirittura una citazione, che poi è finita in nulla. E la conclusione, invece, sono state 25 coltellate con cui l’ha colpita, uccidendola, ovviamente, una sera mentre Silvia usciva dal suo posto di lavoro. Le forze dell’ordine, di fatto, non sono intervenute; si sono limitate ad andare a raccogliere il cadavere di Silvia.

F.S. : Non esistono solo le violenze fisiche, ma anche quelle psicologiche che preludono e si accompagnano a quelle fisiche. Attualmente, una donna oggetto di violenze psicologiche da parte del proprio compagno, quali soluzioni pratiche e quale protezione può trovare in caso di denuncia? Non bisogna più aspettare che « succeda qualcosa » perché si intervenga, come nel caso di Silvia?

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C.V. : Non sarei cosi’ ottimista: quando una donna o magari sua madre o sua sorella vanno a denunciare lo “stalking”, possono, se sono fortunate, trovare un magistrato che ha capito di cosa si tratta o un poliziotto, o una poliziotta, che ha seguito un corso; perché alcuni corsi, per la verità, vengono fatti per spiegare quello di cui stiamo parlando; può trovare un’ avvocata delle donne che sia in grado di consigliarla e sostenerla. In effetti, uno dei rischi che si presentano a una donna che sporge denuncia, soprattutto se è sposata e poi è costretta a tornare a casa, è che la violenza si scateni contro di lei, quando l’uomo viene a sapere di esser stato denunciato; è il momento più pericoloso, e quindi ci vogliono delle case protette, dei luoghi, dei centri antiviolenze dove queste donne, magari coi bambini, possano andare a vivere per un certo tempo. Questo tipo di centri esistono in Italia ma sono molto meno di quanto servirebbe. In seguito ai tagli selvaggi di bilancio che stiamo vivendo in questi ultimi anni, anche i fondi per i centri antiviolenze, che poi spesso sono semi-privati, portati avanti dal lavoro volentario di gruppi femminili, diminuiscono sempre di più.

F.S. : Quali sono i paesi più all’avanguardia nella lotta alla violenza contro le donne?

Senza dubbio la Spagna: la prima legge del governo Zapatero, ormai 8/10 anni fa, ha previsto l’istituzione di tribunali di genere per giudicare questo tipo di reati. A questi tribunali era collegato un sistema di magistrati specializzati, di centri antiviolenze, di percorsi lavorativi a cui avviare queste donne che, molto spesso, perdendo il marito o il compagno, non sono più in grado di mantenersi e mantenere i bambini. Quindi si tratta di un meccanismo molto ben pensato e molto ben congegnato, ripreso dagli scritti e dalle esperienze del movimento delle donne spagnolo. E tutto questo fu appunto dedicato ad una donna spagnola, Anna Orantes, che, dopo aver denunciato per televisione le violenze di cui era oggetto dal marito – si trattava fra l’altro di una donna di più di 60 anni, picchiata e umiliata da una vita – fu da lui uccisa: il marito le gettò addosso una tanica di benzina e le diede fuoco. E questa è stata proprio la spinta finale per la promulgazione di questa legge, di cui Anna Orantes è rimasta il simbolo.

F.S. : In “Parola di donna” [[« Parola di donna. Le 100 parole che hanno cambiato il mondo raccontate da 100 protagoniste di eccezione » (Ponte delle Grazie, 2011),]] ha curato la voce « sessismo ». Quali sono, a suo avviso, le manifestazioni più flagranti di sessismo in Italia? Qual’è il rapporto tra sessismo e comportamenti violenti degli uomini contro le donne?

C.V. : Non c’è che l’imbarazzo della scelta in Italia, purtroppo… In Italia, poi, c’è qualcosa di più: questi anni di berlusconismo hanno favorito il consolidarsi – e non ne avevamo certo bisogno – di una cultura sessista già eredità del ventennio fascista. Io ho sempre pensato e sempre scritto, in tutti i miei articoli e libri, che l’influenza di quei vent’anni ha inciso pesantemente sugli sviluppi successivi. Tanti stereotipi che faticosamente erano superati, o si cercava di superare, nel rapporto tra uomini e donne son tornati fortemente alla luce ma in un epoca del tutto diversa, in una specie di epoca di postmodernità, e quindi per la verità, anche in forme più selvagge e umilianti di quello che si sarebbe potuto immaginare, come l’uso e l’abuso del corpo femminile, cominciato con la televisione commerciale fine degli anni Ottanta e poi travasato anche nella televisione pubblica; una vera e propria umiliazione dell’immagine femminile su cui per fortuna sono usciti ottimi libri, come quello di Lorella Zanardo ma anche di altri, che hanno mostrato e analizzato il non rispetto del corpo femminile e delle donne stesse, che poi può finire per tradursi anche in violenza, ma anche, più comunemente, in assenza di considerazione delle donne e nella loro marginalizzazione. Assistiamo a un contrattacco fortissimo nell’Italia di oggi; contrattacco al mondo femminile che si è allargato anche all’ambito del lavoro: le italiane fanno molto più fatica a trovare buoni posti rispetto ai coetanei maschi, a parte il fatto che ormai anche loro trovano lavoro con difficoltà…Comunque, qualunque situazione si analizzi, si constata come le ragazze siano più svantaggiate dei ragazzi; se aspettano un figlio rischiano di essere mobizzate, perché considerate peso morto per l’azienda o il negozio in cui lavorano, per esempio. Insomma, brutti tempi per le ragazze italiane.

F.S. : I fatti che coinvolgono il Presidente del Consiglio italiano, coi loro risvolti penali e le ricadute sulla vita pubblica del paese confermano alcuni penosi stereotipi legati non solo all’immagine dell’uomo italiano – particolarmente vivi all’estero – ma anche, più in generale, al rapporto di potere tra i generi. In che misura tutta questa vicenda è rappresentativa della società italiana e del ruolo che in essa è attribuito alle donne?

C.V. : Secondo me, accanto a queste vicende di Berlusconi, e mi riferisco ai bunga bunga ma non solo – perché il bunga bunga, in fondo, è un po’ l’estremo, si tratta di attività sessuali che non sono poi così comuni, credo io, nella forma in cui si sarebbero declinate ad Arcore – quello che contribuisce ogni giorno di più a imbarbarire la nostra società italiana e anche i rapporti tra uomini e donne, tra i generi, è l’assuefazione che si riesce a creare intorno a cose che prima lasciavano per lo meno sbalorditi, fino alla negazione addirittura palese del buon senso e del senso comune.

Prendiamo per esempio il caso di Ruby, quando si dice e si pretende e si fa votare a un parlamento che Ruby è stata difesa perché il nostro premier era convinto che fosse la nipote di Mubarak, e si arriva, da parte della maggioranza di governo, a un voto compatto che avvalora una cosa completamente e palesamente assurda e priva di senso comune. Tanto che poi, pochi giorni dopo, lo stesso premier racconta, sempre pubblicamente, che lui ha fatto solo un opera buona nei confronti di una prostituta che voleva aiutare. Ma allora Ruby era un a prostituta o la nipote di Mubarak? Neppure la logica più elementare viene rispettata; c’è soltanto la parola di questo premier e di chi gli sta intorno, di questo ceto dirigente che ci ha trascinato e ci sta trascinando in una situazione di paronoia. Anche il fatto che ora lui venga a raccontare tutte queste vicende in un clima da barzelletta, da pochade, contribuisce a imbarbarire il paese, perché in qualche modo è come dire agli italiani che son tutte cose normali, che lo perseguitano per delle sciocchezze che, in fondo, fanno tutti. Da qui la banalizzazione assoluta di fatti che dovrebbero essere oggetto di indignazione. E questa è la china discendente su cui siamo avviati e che ci preoccupa molto.

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Per fortuna c’è stata la risposta del movimento delle donne, di un milione di donne, anche se in realtà erano molte di più di un milione; si è trattata di un’iniziativa molto importante e interessante. Ero a Napoli tempo fa per lavoro e un sindacalista mi diceva che a Napoli non si vedeva una manifestazione di questo genere da trent’anni; non una manifestazione di donne, ma una manifestazione in assoluto, dotata di questa vivacità, di questa capacità di esprimere una soggettività. Io ho visto quella di Roma e posso dire, non forse che da trent’anni non ce n’era una così, perché a Roma ce ne sono state moltissime, ma di certo che quello che ho visto è stato incredibile: un corteo quasi tutto di donne, e di tutte le generazioni. Questo mi ha molto colpito: per la prima volta donne di tutte le generazioni e di tutti i ceti sociali, direi anche, insieme.

F.S. : Quale può essere il ruolo dell’educazione di bambini nella prevenzione della violenza di genere? Qual’è la sfida dei genitori di oggi in questo senso?

C.V. : Il ruolo dell’educazione è molto importante. Io stessa vado spesso nelle scuole proprio in seguito a “Amorosi assassisini” e ad altri libri che ho scritto, e devo dire che ho sempre trovato molto interesse, specie se gli insegnanti ne avevano parlato un po’ prima, facendo girare del materiale. Questo interesse è espresso soprattutto da parte delle ragazze, ma anche dei maschi, anche se sono le ragazze che partecipano di più a queste iniziative; si avverte proprio che si tratta di un problema che vivono nel quotidiano, anche se forse non sempre ne hanno discusso o lo hanno analizzato. Ma quello che è certo è che hanno una gran voglia di discuterne. Nel nostro libro, per esempio, Cristiana di Sammarzano ha ricostituito il caso di una ragazzina di 13 anni mobizzata da compagni di classe, una specie di branco, costretta a atti sessuali poi i ragazzi hanno registrato sui telefoni e mandato in giro. La ragazzina è stata persino costretta a cambiare città perché i genitori di quei ragazzi si erano schierati a loro difesa; insomma si tratta di storie che si ripetono in altre circostanze e questo interessa moltissimo ai ragazzi e ragazze. L’8 marzo scorso, per esempio, ci sono state delle scuole di Lucca che l’hanno sceneggiata la vicenda e rappresentata davanti ai loro coetanei.

In ogni modo, per prevenire questo tipo di violenze, i genitori devono parlare, parlare coi propri figli. In particolare, le madri dei maschi hanno un grande ruolo in questo, devono cercare di spiegare cosa vuol dire il non rispetto delle persone, fare capire che non si può costruire una vita equilibrata senza il rispetto dei propri simili, e che tra i propri simili una parte importante è occupata dal genere femminile. Anche alle ragazze, poi, è fondamentale insegnare che non bisogna vergognarsi se si è vittime di violenze, di mobbing; molto spesso le ragazze tardano a denunciare perché temono la riprovazione sociale; bisogna spiegare loro che assolutamente non è così, che si è pronti ad aiutarle.

Intervista di Francesca SENSINI



Rencontre sur le thème : Donne del Risorgimento /Femmes du Risorgimento all’IIC di Parigi

mercredi 22 juin à 19h

Donne_3.jpgPour questionner une histoire officielle du Risorgimento écrite exclusivement au masculin, un groupe d’historiennes et écrivaines a rédigé l’ouvrage «Donne del Risorgimento» (Il Mulino, 2011). Elles y retracent les vies et les oeuvres des femmes qui ont été les protagonistes du processus unitaire italien : da Georgina Saffi à Giara Maffei, de Sara Nathan à Anita Garibaldi, de Cristina di Belgioioso à Teresa « Tête de laine ». L’écrivaine Dacia Maraini et l’essayiste Chiara Valentini, qui ont contribué à la réalisation du volume, présenteront ce texte.

En collaboration avec la Società Dante Alighieri – Comité de Paris et avec le soutien de Alitalia, Monte Paschi Banque, Enel France.

Istituto Italiano di Cultura
73, rue de Grenelle – 75007 Paris
Réservations: 01 44 39 49 39

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Francesca Sensini
Francesca Irene Sensini è professoressa associata di Italianistica presso la Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Università Nice Sophia Antipolis, dottoressa di ricerca dell’Università Paris IV Sorbonne e dell’Università degli Studi di Genova. Comparatista di formazione, dedica le sue ricerche alle riletture e all’ermeneutica dell’antichità classica tra il XVIII e l’inizio del XX secolo in Italia e in Europa, nonché alle rappresentazioni letterarie e più generalmente culturali legate al genere.