Che fare? Un’alternativa riformista!

Le straripanti vittorie dell’opposizione nelle amministrative e dei cittadini tutti nei recenti referendum, impongono riflessioni, sul passaggio politico e sulle prospettive per il futuro. Ecco l’intervento e l’analisi di Carlo Patrignani che alla luce del pensiero Lombardiano, individua un percorso di pensiero per una possibile alternativa riformista.

Alla luce della straordinaria rivolta pacifica e nonviolenta ‘giallo-blu’ dei referendum, per affluenza – 27 milioni di votanti pari al 58% degli aventi diritto – e l’altissima percentuale dei consensi – mediamente il 95% – ai quattro quesiti, sì all’acqua pubblica, sì all’abrogazione del nucleare e del legittimo impedimento, si può dire che ‘l’alternativa riformista’ al “pensiero unico neoliberista”, e’ ora piu’ possibile in Italia. Il risultato dei referendum e’ stato preceduto dalla inaspettata vittoria ‘arancione’ alle elezioni amministrative con la conquista di 24 su 29 tra province e comuni, in testa Milano e Napoli.

Se spira sull’Italia il ‘vento’ del cambiamento, ciò è certamente frutto della “ribellione” dei precari, delle donne, degli insegnanti, ma è anche merito dell’azione saggia e accorta di un politico della Prima Repubblica, Giorgio Napolitano che non ha mancato mai di far sentire, dal Quirinale, la sua voce autorevole. C’e’ oggi, “un grave impoverimento culturale dei partiti e della loro funzione formativa […] o la sinistra immagina così l’alternativa, credibile, affidabile, praticabile, oppure resterà all’opposizione”, aveva ammonito il 4 maggio il Presidente della Repubblica in occasione di un convegno per ricordare il riformista Antonio Giolitti, ‘liberale’ di formazione, antifascista e partigiano della prima ore, poi comunista quindi socialista dal 1956, per i gravi fatti d’Ungheria e infine eurodeputato dei Ds.

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Un ‘uomo di cultura’, insomma, prestato alla politica. Si e’ tornati a pronunciare la aborrita e bistrattata parola “alternativa” rafforzata dall’aggettivo “riformista” e a restituire ad esse il loro “senso” di cambiamento dello “status quo”, come la intendeva Giolitti.
Prima la vittoria “arancione” alle amministrative poi quella “giallo-blu” dei referendum a difesa dei “beni comuni” hanno impresso una forte accelerata al processo di “alternativa riformista”, fatta propria dal Partito Democratico: “Noi pensiamo di essere il partito riformista del nuovo secolo e che tocchi a noi – ha spiegato Pier Luigi Bersani – la responsabilità di un’alternativa”.
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Dietro la legittima difesa dei “beni comuni” come la disponibilità per tutti
dell’acqua – ieri dell’energia elettrica – del diritto alla salute e il principio costituzionale della “legge uguale per tutti”, c’e’ tantissimo del patrimonio ideale, politico, economico della Prima Repubblica quando vigeva il Primato della Politica sull’Economia e la Finanza. E soprattutto quando la disputa era sulla Egemonia Culturale, sulle idee ed il pensiero che meglio sapessero tener assieme la soddisfazione dei “bisogni materiali”, necessari alla persona per la sopravvivenza (casa, lavoro, salario, pensione, vestiario), con quella insopprimibile, ineludibile dei “bisogni immateriali” indispensabili alla formazione e sviluppo (libertà, conoscenza, sapere, diritti civili, cultura) della propria identità.

Non come oggi, in epoca di Primato dell’Economia e della Finanza sulla Politica, dove il neo-capitalismo finanziario, liberista, mediatico mette in atto lo scontro tra le sue lobby, quella populista e qualunquista di Berlusconi dedita agli affari che annovera nelle sue fila l’Eni di Paolo Scaroni e quella tecnocratica di De Benedetti-Scalfari cui guarda con favore la Fiat, sul puro controllo e gestione delle risorse pubbliche e dei flussi finanziari per meglio fare e garantirsi profitti e rendite, al di fuori e al di sopra di ogni vincolo e di ogni regola.
“I referendum sono stati una rivoluzione culturale: protagonisti tantissimi giovani e un buon 10% della sinistra sociale che non votava da molto tempo. Ben 27 milioni di italiani hanno detto che il ‘bene umano comune’ per eccellenza, l’acqua, atto fondativo della vita, non va privatizzato e quindi non può esser soggetto a profitto”, osserva Vincenzo Miliucci del Comitato Promotore del referendum sull’acqua pubblica. “Ci sono beni universali, l’acqua oggi, ieri l’energia elettrica, la scuola e la sanità per tutti, le libertà sindacali e politiche, indisponibili al profitto come ci ha a suo tempo insegnato Riccardo Lombardi che – precisa Miliucci – in questa rivoluzione culturale di oggi sarebbe stato certamente parte attiva: la sua intelligenza, le sue idee e proposte sono state sempre dirette al sovvertimento dello status quo come fece negli anni ’60 e ‘70.

Noi, possiamo dirlo, siamo un po’ figli di quella nazionalizzazione che con la scuola dell’obbligo, la sanità per tutti, lo statuto dei lavoratori, la riforma dell’urbanistica che non si fece, cambiò nel profondo il Paese. Quell’esperienza si esaurì presto, ma e’ ritornata prepotentemente fuori oggi”.

Gli anni che vanno dal dopoguerra ai primi anni ’70 furono contrassegnati, nella sinistra, da tre opzioni: il compromesso storico basato sul ‘consociativismo’ (Togliatti e Berlinguer) e l’alleanza organica (Nenni e Craxi) basata sulla ‘lottizzazione’ del Potere, con la Democrazia Cristiana ed il capitalismo per accedere alla ‘stanza dei bottoni’; “il riformismo rivoluzionario” (di Lombardi e Giolitti, Trentin e Foa) che mirava, invece, con ‘le riforme di struttura’ a cambiare radicalmente la struttura capitalistica della società e l’assetto dello Stato stesso e una terza “anti-istituzionale” e “libertaria” teorizzata dai ‘maitre a penser’ del Mai 68, Jean Paul Sartre, Michel Foucault, Gilles Deleuze, che puntava alla “via rivoluzionaria” (il ’68) poi degenerata nella ‘lotta armata’.

La storia dice che delle tre opzioni, la seconda e’ quella che meglio ha retto nel tempo: le altre due sono fallite, morte e sepolte, la prima, sotto le macerie del Muro di Berlino e di Tangentopoli, la terza nella droga, nella conversione alle sette religiose, compresa quella cattolica e nelle braccia dell’odiato Padrone.
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Proprio perché l’opzione ‘riformista’, o meglio “riformatrice” si e’ rivelata
la più credibile, attendibile e praticabile, e’ ritornata d’attualità, risvegliando da una lunga obnubilazione “la memoria individuale e collettiva” verso uno dei suoi principali ideatori, Lombardi, “le reformiste d’antan”, figura eretica e sfuggente a qualsiasi classificazione, del socialismo italiano e europeo. Con lui altri grandi “eretici” della sinistra italiana, Antonio Giolitti, Bruno Trentin, Vittorio Foa, dalla comune matrice “azionista e giellista” e Pietro Ingrao. “Il suo riformismo mirava ad un vero cambiamento della società in una ottica socialista ma anche nel quadro del mondo moderno”, rimarcava Gilles Martinet, l’intellettuale francese fondatore del ‘Nouvel Observateur’ e autore nel 1969 de ‘La conquista dei poteri’ dove si soffermava sul ‘riformismo rivoluzionario’, proposta originale ed innovativa per “la démocratie socialiste à inventer”.

Profeticamente Martinet osservava, “ Diventerà un riferimento insostituibile quando dopo la sua recente disfatta la sinistra italiana intraprenderà il processo del suo rinnovamento, della sua rinascita”.
Costruire una ‘alternativa riformista’ o meglio ‘riformatrice’ comporta una radicale e profonda correzione del neo-capitalismo finanziario, liberista e mediatico,fondato sul massimo profitto e la cancellazione di ogni diritto; sul controllo massiccio dell’informazione e sull’assunto “consumo ergo sum”.

A tale modello se ne può contrapporre un altro ritagliato sull’intuizione lombardiana di “una società più ricca perché diversamente ricca” dove il profitto non prevarichi mai i diritti e dove i consumi non sono aboliti, anzi sono molti di più ma “qualitativamente diversi”. Superando in tal modo la falsa promessa del benessere dato alla disponibilità continua di prodotti da consumare ed usare: per incamminarsi sulla strada del benessere connesso alla possibilità di poter sviluppare, attraverso l’accesso alla conoscenza ed ai saperi, quindi alla cultura, avendo più tempo per sé e per le relazioni interumane, la propria identità e personalità.

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In fondo persone come Lombardi, Giolitti, Trentin, Foa, sono stati nelle idee e nei comportamenti molto più “rivoluzionari” non solo dei tanti ‘maitre a penser’ (Sartre, Foucault) di quella “sinistra sessantottina” rivelatasi inconcludente, e anche oggi lo sono di tanti odierni “capi-popolo” ed intellettuali per auto-acclamazione che usano l’antipolitica e l’antipartitismo come clava contro ogni serio tentativo di “alternativa riformista e di governo”.

Mai come nella Seconda Repubblica, dominata dall’Antipolitica, l’agenda politica è stata dettata dalle lobby del neo-capitalismo finanziario, liberista e mediatico: quella populista-qualunquista berlusconiana e quella tecnocratica del ‘partito editoriale’ Espresso-Repubblica, entrambe ostili ad progetto riformatore in senso socialista della società. La prima più rozza e volgare elimina ogni orpello che si frappone al pieno dispiegarsi del profitto, della carriera, dell’affare. La seconda, l’ideologia “scalfariana”, punta al bipartitismo contro il pluralismo; blandisce ogni forma di intervento pubblico in economia e sponsorizza privatizzazioni e liberalizzazioni indiscriminate.

E’ del tutto evidente che una “alternativa riformista” per essere “credibile, affidabile, praticabile”, come la intendevano Lombardi, Giolitti, Trentin, Foa, comporta la radicale messa in discussione del neo capitalismo finanziario liberista mediatico e lo stesso paradigma “scalfariano” impastato di qualunquismo, giustizialismo e liberismo seppur “illuminato”.
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Del resto, vale tuttora il monito di Lombardi: “Non pensate che il
fascismo non sia una tentazione permanente nelle contraddizioni di una società ingiusta perché sperequata – disse agli studenti in un incontro alla Statale di Milano nel 1975 – C’e’ una radice fascista che può, in circostanze favorevoli, venire alla luce, diventare pericolosa. Non pensate che il fascismo sia, secondo una debole e meschina interpretazione che in passato gli fu data, soltanto violenza […] il fascismo e’ anche violenza […] ma finalizzata alla conservazione di certi poteri e di certi privilegi. E’ questo un giudizio essenziale per poter comprendere il fascismo di ieri ed efficacemente combattere il ben più pericoloso fascismo di oggi”.

(nelle foto dall’alto in basso: Antonio Giolitti, Jean Paul Sartre, Vittorio Foa).

Carlo Patrignani

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Carlo Patrignani
Carlo Patrignani vive a Roma. Laureato in Scienze Politiche con una tesi in Diritto del Lavoro, giornalista professionista (18.61987) presso l'Agi (Agenzia Giornalistica Italia) di Roma e collaboratore con riviste (Lavoro e Informazione di Gino Giugni), quotidiani (l'Avanti!) e settimanali (Rassegna Sindacale della Cgil). Autore di due libri 'Lombardi e il fenicottero' - L'Asino d'oro edizioni 2010 - e 'Diversamente ricchi' - Castelvecchi editore 2012. Oggi in proprio, freelance.