Campochiaro nel Molise: Il campo dei fiori e dei Tunisini

Dalle coste mediterranee dell’Africa continuano ad arrivare drammaticamente, approdando sulle coste di Lampedusa, ma anche altrove, disperati che fuggono dalla miseria, dalla guerra e dalla fame. Molti ci rimettono la vita, altri ce la fanno. E quando, ancora vivi, finalmente toccano terra li aspetta ancora il burrascoso e infinito mare dell’integrazione. I campi installati per l’accoglienza di emergenza sono il primo passo che i disperati devono affrontare, con tutte le difficoltà che un campo simile porta necessariamente con sé. In questo racconto e nelle foto di Flavio Brunetti si narra di uno dei tanti accampamenti, quello di Campochiaro nel Molise, volando lungo i secoli della storia di quella terra.

IL CAMPO DEI FIORI E DEI TUNISINI

Un racconto di Flavio Brunetti

La Guardia Forestale armata è al controllo del campo, il campo ove una volta, senza le armi, coltivava le piante ed i fiori per adornare la terra e per distribuirli alla gente. Ora lì dentro sono rinchiusi, in attesa del visto di soggiorno, duecento profughi

©Flavio Brunetti

disperati giunti in Italia per mare su qualche galleggiante carriola sgangherata e sfasciata, con niente appresso, e sono vivi per miracolo.

– No!

– Siamo della stampa, vorremmo fare un servizio.

– No! Dovete rivolgervi direttamente alla Prefettura di Campobasso e venire accompagnati da uno della Prefettura. Noi abbiamo l’ordine di non fare entrare nessuno.

– Ma perché? Mica questo è un carcere …

– Questi sono gli ordini. Noi li eseguiamo soltanto.

Roberto comprende la situazione e non consuma altre parole.

– Andiamo, Flavio – mi fa – qui è inutile. Dobbiamo procurarci il permesso.

La borsa delle macchine fotografiche resta lì, nell’automobile, che avevo lasciata nel piccolo spiazzo davanti al cancello sbarrato, al di là della strada, la vecchia statale che, un poco più innanzi, passa sul ponte del torrente Quirino. Al Quirino, quando eravamo ragazzi, venivamo con la bicicletta da Campobasso, lontana venti chilometri, a tuffarci nudi o con le mutande di bianco cotone, d’estate, in una pozza creata da uno stramazzo di cemento; una pozzanghera piena di ragni galleggianti e di zanzare, che a noi, cafoni di terra, sembrava l’azzurro del mare. Ora su quel ponte staziona quasi sempre una puttana, nella sua auto, in attesa di qualche arrapato cliente.

Tratturo di Campochiaro ©Flavio Brunetti

L’ho conosciuto oggi, Roberto, mezz’ora fa. Venendo, qui insieme, mi ha raccontato di sé. Delle sue avventure: Tunisia, Libano, Kossovo, mi ha raccontato che è riuscito ad intervistare un mercenario di queste orribili guerre con le quali, noi, i ricchi del mondo, diciamo di esportare la democrazia.

Roberto è un ragazzo soave. È calmo. La sua voce ha un tono basso. Quando parla sembra riflettere, sembra pensare ad altro, a quello che lui dovrà fare e di cui tu non sai niente. Roberto ha la dolcezza delle persone sicure. Delle persone decise, che non hanno paura. Roberto un po’ mi fa paura. Ho conosciuto in passato persone con la stessa calma, con la stessa delicatezza, persone risolute, senza paura. Le ho piante.

Torniamo. Ci piacciamo. Progettiamo.

– Il manicomio criminale di Aversa, ho dei contatti – mi propone

– Magari! – gli rispondo – io sono prontissimo. Ma se porti avanti la faccenda, di’ che dobbiamo andare più giorni. Con un giorno solo non riusciamo a fare niente. Dobbiamo mischiarci. Dobbiamo diventare due di loro. Di quelli là dentro. Tu raccogli i racconti, i sospiri, i lamenti, io le immagini.

Il campo dei disperati venuti dal mare è di fronte ai luoghi che hanno visto nascere il nostro Molise. Quei luoghi che sui libri di scuola chiamavano “Il passo di Vinchiaturo”, tra gli Appennini Centrali e quelli Meridionali.

Passo di Vinchiaturo ©Flavio Brunetti

Al di là della rete del campo dei disperati, passa il Tratturo che conduceva dal Lazio alle Puglie.

Lungo il Tratturo la nostra storia: Bovianum. Qualcuno dice: ”Bovi – anum”, cioè “Culo di bue”. E le mandrie si fermavano proprio lì, alle sorgenti del fiume Biferno, ricche di acqua ed i prati copiosi di tenera erba. Ed i buoi bevevano, mangiavano e dopo cacavano.

Più in alto delle sorgenti, il castello del conte Molisio. Il nostro nome.

Castello del Conte Molisio ©Flavio Brunetti

Poco avanti, verso Roma, l’inespugnabile Rocca Maginulfi, a picco sull’orrido canalone. Lì Tommaso, conte di Celano e di Molise, fratello del Papa Innocenzo III, tentò, nel 1202, la sua ultima resistenza all’ira di Federico II, l’Imperatore che lui aveva tradito schierandosi con Ottone IV; e avrebbe resistito, Tommaso, se Federico non gli avesse catturato la moglie che lui aveva nascosto nel castello di Bovianum, costringendolo così, per amor della moglie, all’esilio. Partito Tommaso l’invincibile “Rocca Maginulfi” fu distrutta per ordine dell’Imperatore che aveva compreso quanto fosse sconsigliabile l’esistenza nel regno di fortezze inespugnabili.

Ora la suggestione di quei ruderi è stata svilita dalla scellerataggine umana degli ignoranti, che li hanno violati innalzando sulla linea armoniosa e aspra dei monti, come forche spaventose in cerca di morte, delle orrende e criminali pale eoliche alte centotrenta metri.

Lungo il Tratturo oltre il filo spinato del campo dei Tunisini, la nostra storia:

I Sanniti, ai piedi del monte: i nostri padri.

Necropoli Longobarda ©Flavio Brunetti

I Longobardi, accampati in tende in questa piana, venuti dal lontano Mar Nero in cerca di spazi nuovi, e i loro morti sepolti proprio qui a due passi dal campo.

Poco più avanti Saepinum, Altilia.

Saepinum : decumano ©Flavio Brunetti

I Sanniti, i Romani, i Longobardi … chissà se qualcuno ha raccontato a quei disperati, in fuga dalla miseria e dalla guerra, dove sono finiti!

Lungo il Tratturo, la nostra storia scellerata di oggi: fabbriche e fabbrichette, cave per l’estrazione del misto, depositi di materiali, aree per lo stazionamento dei tir, orribili cose che, in cambio del vilipendio del luogo, barattano qualche posto di lavoro.

Piana di Campochiaro ©Flavio Brunetti

È qui, a due passi dalla necropoli dei Longobardi, che giacciono, in un minaccioso deposito, come nel cortile di una grande caserma, ansimanti, i soldati drogati, pronti alla morte e alla distruzione, le pale eoliche, i mostri che continuano ad arrivare qui per distruggere questa terra che la Forestale voleva abbellire coltivando le piante ed i fiori nel campo, che oggi è il campo dei disperati.

– Pronto, Flavio sono Roberto.

– Ciao

– Allora tutto a posto! Abbiamo avuto il permesso. Domani mattina alle undici troveremo, là, al campo, anche il Prefetto.

– Ma quando l’hai saputo?

– In questo momento.

– Alle otto di sera?

– Alle otto! Dovevano essere tutti indaffarati in Prefettura perché ci son volute decine di telefonate. Solo ora me lo hanno confermato.

– Va bene, a domani.

La giornata mi aiuta. Il cielo è coperto, fa freddo. Qui da noi le folate di freddo dai Balcani vanno via solo a giugno. Questo tempo mi aiuta.

©Flavio Brunetti

Quando c’è il sole le ombre celano lo sguardo, nascondono le rughe, le bocche, il dolore, l’amore. Questo tempo mi aiuta per raccontare agli altri il dolore, l’amore, la paura dell’avvenire di queste persone che hanno sfidato la potenza, la forza del mare con il loro guscio di carta velina.

Hanno arrestato i due scafisti, ieri. Erano anche loro nel campo dei fiori di Campochiaro. Perciò forse c’era tutto quel trambusto in Prefettura.

Entriamo, Roberto e io, insieme alla troupe della Rai. Ci accompagna un commissario allegro e gentile, che ci è venuto a prendere al cancello dove sta la Guardia Forestale. Arriviamo alla postazione logistica. Ci accoglie la funzionaria della Prefettura. La sua voce dolcissima e familiare sa di antiche chimere, ma deve svolgere il suo ruolo e mi offre il “Lei”:

– Lei non può fotografare senza il loro permesso. Lei non può fotografare … – etc. etc.

Mi impartisce le avvertenze di rito che nacquero con l’allestimento dei campi del terremoto dell’Aquila. Da allora, quelle avvertenze a chi entra nei campi della Protezione Civile, sono rimaste sempre le stesse.

La voce dolcissima e familiare cerca, con scarso successo, l’autorevolezza della circostanza e dei ruoli, ma poco alla volta, tra di noi, il “lei” si confonde prima col “voi” e poi finisce sul “tu” e così mi viene in mente Lulù quando racconta Papino che si rivolge, in Italiano da avvocati, al carrozziere che gli aveva piegato l’antenna della sua automobile: “Ma lei! … Lei, me lo dovete dire a me! … Ma chi te l’eva ditto a te che tu m’iva chieca’ l’antenna a me?

Sapendo dell’arresto dei due scafisti chiedo alla comandante della Polizia:

– Sono stati raccolti per barconi? Cioè, quelli degli stessi barconi sono stati messi tutti insieme?

– Questo noi non lo sappiamo. Lo dovete chiedere alla centrale operativa nazionale.

Eccoli. Sono infreddoliti.
 ©Flavio Brunetti

Chiedono sigarette. I piedi in ciabatte di plastica, quasi tutti senza calzini. Non parliamo la stessa lingua, ma ci capiamo. Chiedono sigarette. Non ne ho. Tra loro e me, pochi scatti e c’è sincerità, c’è reciproca fiducia. Sorridono e, nelle mie foto, glielo lascio quel sorriso. È giusto che sia così. Che rimanga su quei volti. Mi aprono le tende, mi portano dentro, si fanno fotografare lì tra le coperte, le brande, gli asciugamani e i pantaloni appesi. Lo cercano, non si nascondono. Chiedono sigarette, ma non ne ho, mica sono un contrabbandiere. Fa freddo. Nelle tende c’è un stufetta alla quale si aggrappano con le mani e le gambe gelate. Negli occhi, quei ragazzi, portano il mare.

 ©Flavio Brunetti

Il mare che li ha sbarcati a Lampedusa. Il mare che loro hanno vinto. Sono tutti giovanissimi. Negli occhi portano la tristezza d’aver lasciato le madri e i padri. Sono attaccati ai telefonini, l’unico filo che li lega alla terra che hanno lasciato. Li hanno fotografati, uno ad uno, nel campo. Li hanno elencati, nome e cognome. Il permesso dura solo sei mesi. Bisognerà controllarli.

Oggi pomeriggio saranno liberi. Ma su quei volti la tristezza non svanisce. È la tinta di fondo, che appare chiara sotto i sorrisi, che lascio nelle loro immagini.

I ragazzi venuti dal mare, tra qualche ora, andranno via da Campochiaro. Chissà dove andranno! Chissà se un giorno qualcuno racconterà loro il nostro Molise.

Saepinum teatro ©Flavio Brunetti

Chissà se una volta una voce dirà a qualcuno di loro, a qualcuno di quei ragazzi, i Longobardi del Sud del mondo del XXI secolo, coraggiosi, infreddoliti, spaventati e decisi, cosa c’era oltre i cancelli e la rete alta e spinata del campo dei fiori.

Il PORTFOLIO DEL REPORTAGE FOTOGRAFICO

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Flavio Brunetti
Flavio Brunetti vive a Campobasso nel Molise. Vince, come cantautore, l’edizione del ‘93 del Premio Città Di Recanati con la sua canzone Bambuascé, e incide negli anni successivi gli album TU TU TTÙ TU e FALLO A VAPORE (ediz. BMG – Musicultura – CNI) delle sue canzoni. Scrive, dirige e interpreta numerose opere teatrali e musicali tra le quali Storia del Clandestino, L’angelo mancino, Frusta là, Lullettino e Lull’amore. I suoi reportage fotografici hanno meritato esposizioni in Italia, negli Stati Uniti, in Brasile e in Ungheria. Ultime sue pubblicazioni editoriali sono: “Non aprire che all’oscuro”, racconto e catalogo dell’omonima mostra. "Il tempo delle tagliole", romanzo che narra della vita in seminario negli anni ’60.