Cinque pensieri sulla responsabilità politica

1. Atterrare a Fiumicino dopo un lungo viaggio è snervante. Magari si è fatto scalo in qualche altro aeroporto europeo, dove, seguendo le indicazioni, ci si è spostati facilmente tra due terminal. A Roma tutto diventa complicato, nonostante la lingua dovrebbe favorire. La situazione diventa ancor peggiore se, subito dopo, si ritira la macchina dal parcheggio “lunga sosta”. Le indicazioni stradali per dirigersi verso la città rispondono alla logica della caccia al tesoro, nel senso che lasciano ampio spazio all’interpretazione. La cosa potrebbe fare sorridere, come la storiella che narra di un mondo in cui l’amante è svizzero e l’organizzatore italiano (raccontata molte volte nell’ultimo anno per le celebrazioni dell’unità, e giunta fino al palco del primo maggio). Non è meglio auto-rappresentarsi come ottimi amanti, piuttosto che come bravi organizzatori? C’è poco da sorridere, però, se si riflette non tanto sulla cattiva organizzazione, quanto sulla cultura del particolare e del privilegio. L’indicazione stradale segnala qualcosa di più di una direzione: è simbolo dell’universalismo, della trasparenza, del pubblico avviso, della legge uguale per tutti, del senso di responsabilità.

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2.Da alcuni anni, il 9 maggio, si ricordano le vittime del terrorismo e delle stragi. La scelta del giorno – anniversario della morte di Aldo Moro – è indicativa. Sarebbe fuori luogo proporre una classifica del dolore. Il rilievo della morte di Moro è un qualcosa di più: lo si può comprendere solo leggendo le lettere di Moro dalla prigionia, dove emerge il senso di responsabilità dello statista e dell’uomo. Alcuni anni fa, Miguel Gotor le ha raccolte e commentate, mostrandone i due livelli: quello politico, dove s’incrociano tutti i misteri di un’Italia attraversata e combattuta dalla guerra fredda; quello umano, di una persona (Moro) che apparteneva a un’altra Repubblica e che si preoccupava delle cose di vita quotidiana (per esempio, ricordarsi di ritirare le camicie dalla lavanderia).

3. Sappiamo che il governo democratico si fonda sull’ideale dell’opinione pubblica e della pubblicità. Mentre in passato il clima d’opinione era ritenuto oppressivo e limitativo della libertà, grazie all’Illuminismo il pubblico è stato considerato razionale, quindi depositario di un ideale della trasparenza indispensabile per meglio far funzionare la cosa pubblica. La democrazia è divenuta, per dirla con Giovanni Sartori, un “governo d’opinioni”. Tuttavia, negli ultimi anni si sta ripresentando un clima di opinione oppressivo, basato sul disprezzo e la gogna pubblica. Questa tendenza può essere imputata ai costumi dei politici della seconda Repubblica, così diversi da quelli di un tempo. Tuttavia, c’è da riflettere sul limite della pubblicità e sullo spazio della riservatezza. La democrazia, regime della trasparenza, ha bisogno di un atto segreto per funzionare (il voto in cabina elettorale). Forse dovrebbe anche basarsi sul principio che nessuno può essere messo alla gogna per voci sul suo privato.

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4. L’azione di un governo deve essere responsabile soprattutto sulle decisioni di guerra. Per la seconda volta dalla fine della prima Repubblica, l’Italia si trova a svolgere una funzione di portaerei del Mediterraneo, scoprendo di essere in guerra senza esserne pienamente consapevole. Come nel caso dei bombardamenti su Belgrado nel 1999, il grado di coinvolgimento nelle operazioni aeree non è stato chiarito dal governo. Questa volta c’è almeno un mandato internazionale, quindi non si disattende la Costituzione; ma l’ambiguità è maggiore di quanta una democrazia possa accettarne. Il punto è che, dopo essere stati una sorta di fronte interno della guerra fredda, siamo oggi in prima linea nelle guerre civili ai confini d’Europa. In gioco è il tema della posizione geopolitica dell’Italia e dell’Europa, non i rapporti tra leader e imprenditori economici.

5. Il privato è politico! si diceva un tempo. È vero, ma esistono il personale e il privato. La responsabilità politica non dovrebbe fare i conti con il personale (soggetto alla gogna), ma con quella cultura del privato (oggetto del privilegio) che danneggia il pubblico, gli affari del governo e la sua politica estera.

Emidio Diodato

Docente di Scienza politica

Università per Stranieri di Perugia

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Emidio Diotato
Professore associato di scienza politica presso l'Università per Stranieri di Perugia