Italinscena: Conversation avec Tino Caspanello et la compagnie Teatro Pubblico Incanto.

L’actualité de Tino Caspanello est grande au mois de mai :

“Mer”, mis en scène par Jean-Louis Benoît, avec Léa Drucker et Gilles Cohen, au Théâtre de l’Atelier, à Paris, du 14 mai au 23 juillet 2011 et “A l’air libre”, lecture pendant le Festival “Regards croisés” organisé par le Troisième Bureau à Grenoble le 27 mai 2011.

Né en 1960 à Pagliara près de Messine (Sicile), Tino Caspanello est auteur, acteur et metteur en scène pour la compagnie Teatro pubblico Incanto qu’il a créée. Il a écrit une dizaine de pièces dont Mari qui a reçu le prix spécial du jury Premio Riccione en 2003.

“Mer” (Mari), traduit de l’italien par Bruno et Frank La Brasca, est sa première pièce publiée en français (Editions Espaces 34).

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Présentation

A l’occasion de la reprise de ‘Nta ll’aria à Milan, en mars dernier au Teatro Mohole, rencontre avec Tino Caspanello, Cinzia Muscolino et Andrea Trimarchi, de la compagnie Teatro Pubblico Incanto.

Si Tino Caspanello, Emma Dante, Spiro Scimone, Davide Enia, Vincenzo Pirrotta et d’autres encore constituent dans le panorama du théâtre contemporain italien ce que l’on appelle aujourd’hui l’école sicilienne, à l’évocation de ces noms, on note d’emblée que le phénomène est multiforme. On remarque néanmoins chez ces artistes la volonté commune de résister face à une institution qui fait parfois défaut et la nécessité de réaffirmer la figure de l’auteur, en lien direct avec une expérience scénique.
[[À ce sujet consulter l’article de Dario Tomasello, «Sud continentale» e «Scuola siciliana» : tessere per un mosaico, in «Prove di drammaturgia», dir. Gerardo Guccini, Anno XV numero 2, dicembre 2009, p. 20-33.]]

Dans ce paysage théâtral sicilien et italien, la dramaturgie de Tino Caspanello est une dramaturgie du non-lieu. Ses textes se structurent autour de lieux non-lieux, autrement dit de frontières, comme celle entre l’eau et le sable pour Mari, l’intérieur et le dehors pour ‘Nta ll’aria, le familier et l’inconnu pour Malastrada. Sa langue est le dialecte de la région de Messine et elle est en ce sens une langue du non-lieu (le détroit étant ressenti tant comme un lieu de passage que comme un seuil éternel) créant des vides linguistiques que le public est amené à combler grâce à son imagination. L’écriture de Caspanello est marquée par une forte présence des éléments (respectivement l’eau, l’air, le feu et la terre – pour Rosa -) si bien que Dario Tomasello a parlé d’une tétralogie des éléments, à laquelle peut s’ajouter depuis février 2011, un lieu intérieur, un lieu de l’âme, avec Interno, la dernière création de la compagnie.


Conversation en italien

Julie Quénehen: Sono passati due anni dall’ultima replica di ‘Nta ll’aria: come avete lavorato alla ripresa dello spettacolo?

Tino Caspanello: Il problema è anzitutto di cercare di ricuperare le atmosfere che si respirano nello spettacolo, a parte il problema tecnico della memoria, dei tempi, che con le prove riesci a ricuperare. Il lavoro più difficile è ricuperare il climax che uno spettacolo costruisce, perché non è solo quello interno allo spettacolo, ma è anche quello che si crea con il rapporto con il pubblico. Quindi bisogna chiedersi dove andrà lo spettacolo, in quale posto. L’ultima volta, l’abbiamo fatto in una piazza all’isola eolia, a Salina, dove c’era anche un problema di atmosfera, perché l’abbiamo fatto in un balcone, non in un teatro, ed eravamo lontani dal pubblico. E quindi il rapporto con il pubblico era ancora più difficile, perché c’era una distanza fisica tra scena e platea. Lì, dovevi amplificare tutto, giocare più sui tempi, sui ritmi. Dovevi fare in modo che il pubblico non si perdesse, con tutte le distrazioni della piazza. Poi quando si tratta di riproporlo in un teatro, allora è più facile attirare il pubblico in una situazione. La difficoltà è poi quella di andare sempre oltre. Per l’ennesima replica, non puoi fermarti al risultato raggiunto, devi sempre aggiungere qualcosa di nuovo. Anche perché l’attore matura, cambia dentro di sé, cambia il suo modo di percepire il testo, di relazionarsi con gli altri. Cambiano tanti aspetti. Cambia il tuo modo di sentire, di vivere. È ovvio che poi tutto questo confluisce nella riproposizione di un testo che comunque conosci. Sai che tipo di umore ci metti dentro. Però sai anche che è cambiato il tuo modo di vivere, anche da un giorno all’altro, anche da una replica all’altra. Questo confluisce poi nell’essere in scena, nel dire le cose. Lo vediamo anche con Mari. Dopo sette anni di repliche, sappiamo che cambia e cambierà ancora. Non siamo mai uguali. Questa volta con ‘Nta ll’aria, abbiamo pensato che potevamo giocare sul registro più tragico. Qui, abbiamo cambiato il modo di recitare il pezzo del personaggio femminile che va in crisi. Era più giocoso all’inizio. Adesso abbiamo una gamma un poco più seria. Sta quasi vivendo una sorta di flash back che la riporta in un tempo in cui lei è stata sicuramente dentro una cella, è stata sicuramente violata dalla medicina, dalla malattia… Quindi abbiamo trovato un registro un po’ più tragico che dà una tessera in più per disegnare il modo di essere di questo personaggio già molto sfaccettato.

‘Nta ll’aria

Cinzia Muscolino: Ogni sera ho un approccio nuovo rispetto allo spettacolo. Non mi piace essere totalmente sempre identica. Mi piace essere sempre un po’ creativa, anche nelle piccolissime cose che sono magari delle cose che percepisco più io che il pubblico. Tino ha questa capacità di darti delle indicazioni che sono anche molto precise. Però, tu attore, dentro quello spazio, riesci anche a muoverti. A me piace sentirmi anche libera di cambiare delle piccole cose ogni sera, anche perché, appunto, ogni giorno siamo sempre diversi e mi piace rispettare questo modo. L’attore non è lì per rimanere fermo, per fare la stessa cosa, per avere sempre la stessa identica intonazione. L’importante è mantenere quale è l’idea, infatti noi facciamo un lavoro al tavolino molto lungo, per interiorizzare il testo. Solo quando è chiara l’idea dell’intenzione di ogni personaggio, possiamo cominciare a muoverci in libertà.

Per Tino e per tutti noi, è importante la concezione di cosa siamo noi fuori dalla scena: c’è un’intesa fra noi, scherziamo. Quindi in scena ci sentiamo, sappiamo come sentirci, perché siamo fuori anche così. C’è una parte importante che sta fuori dalla scena, che è nel quotidiano, che è nel pranzare insieme, nel chiacchierare d’altro. È un modo per cominciare a capirsi. Per Tino, l’attore deve diventare anche l’amico.

JQ: Si vede benissimo come la ripresa di uno spettacolo comprenda anche sempre una parte di ri-creazione. Invece, Interno, il vostro ultimo spettacolo creato a Messina lo scorso febbraio, sembra molto diverso da Mari e da ‘Nta ll’aria. Infatti questa storia è nata in italiano e non in dialetto siciliano, perché?

TC: È la sua lingua; è nato così, non sarebbe nato in dialetto. Non poteva nascere in un’altra lingua, forse anche per l’argomento che è il tema portante del testo, cioè l’omosessualità; ma non è il solo tema, né, credo, il principale. Quello che mi interessava, che mi interessa, è offrire degli spunti di riflessione sul rapporto con la malattia, il dolore, l’assenza, l’abbandono, tutti temi privati, che ognuno di noi vive ed elabora nel privato, sui quali a volte pesano ancora tabù e pregiudizi.

Per quanto riguarda invece le possibilità espressive del dialetto, trovo che esso, restringendo molto il numero dei termini, i tempi verbali, la sintassi (rispetto all’italiano o a una lingua analitica), ti costringe da un lato a uno sforzo maggiore per cercare di dire cose che non si possono dire per mancanza di termini, dall’altro ti aiuta a lavorare meglio sulle assenze, sulle pause, sul gesto, insomma su tutti quei segni non verbali, attraverso i quali passa molto senso della nostra comunicazione.

JQ: La lingua è dunque il primo elemento di una storia giusta?

TC: Quando arriva la storia giusta, arriva tutto insieme, dall’inizio fino alla fine. Io percepisco tutto, anche la fine, so esattamente come deve finire, con quale suono, con quale parola. Solo quando sento in pancia l’idea, comincio a lavorare la storia, so che probabilmente è la strada giusta. Sento la storia, come la musica, negli organi cavi. Quando percepisco una storia, qualcosa da raccontare, ciò non avviene attraverso le parole, ma, principalmente, attraverso una serie di sensazioni emotive che avverto, ovviamente, così come si avverte la musica, con il cuore, lo stomaco. Le emozioni stanno prima delle parole, a monte, ed esse hanno la potenza di far vibrare l’anima, come le note. So che quelle animeranno i miei testi e su quelle lavoro, successivamente, per inventare una forma linguistica.

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JQ: Dal dialetto all’italiano, e adesso al francese… Mari (« Mer » nella traduzione di Bruno e Frank La Brasca, pubblicata da Espaces 34), sarà messo in scena a maggio a Parigi, al Théâtre de l’Atelier, da Jean-Louis Benoît. ‘Nta ll’aria (A l’air libre, che ho tradotto con il sostegno della Maison Antoine Vitez) verrà letto a fine maggio a Grenoble durante il festival Regards Croisés, per il quale sarai presente in quanto autore e parteciperai alla cooperativa di scrittura. Come percepisci il passaggio del tuo testo in francese?

TC: Avevo seguito la traduzione, grazie agli scambi con Frank e Bruno La Brasca, dunque fino a quando il testo restava sulla pagina non avevo avuto coscienza delle differenze; poi, a Marsiglia, lo sentii per la prima volta, letto durante “Parole in anteprima” a cura di Antonella Amirante. Certamente era diverso, “suonava” in modo diverso, strano a volte, ma il senso non era cambiato, la traduzione non aveva alterato la profondità che il testo trascina e nasconde dietro la sua lingua originale.

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Traduction française de la conversation

Julie Quénehen : Deux ans ont passé depuis la dernière représentation de ‘Nta ll’aria : comment avez-vous travaillé pour reprendre le spectacle ?

Tino Caspanello : Il s’agit tout d’abord de réussir à récupérer les atmosphères que l’on respire dans le spectacle, au-delà de l’aspect technique de la mémoire, des temps, que l’on retrouve grâce aux répétitions. Le travail le plus difficile consiste à récupérer l’acmé d’un spectacle, qui n’est pas seulement interne au spectacle mais qui se crée également dans le rapport avec le public. Donc il faut se demander où va aller le spectacle, dans quel lieu. La dernière fois, nous l’avons joué sur une place, à Saline, une des îles éoliennes, et il y avait un problème d’atmosphère, car nous l’avons joué sur un balcon, pas dans un théâtre, et nous étions donc loin du public. En cela, le rapport avec le public était encore plus difficile, car il y avait une distance physique entre la scène et le parterre. On devait tout amplifier, jouer davantage sur les temps, sur les rythmes. Il fallait faire en sorte que le public ne se perde pas, avec toutes les distractions de la place. Quand il s’agit alors de le reprendre dans un théâtre, ça semble plus facile d’attirer l’attention du public dans une situation donnée. Mais une autre difficulté est d’aller toujours plus loin. A l’occasion d’une énième représentation, on ne peut pas se contenter du résultat obtenu, il faut sans cesse ajouter quelque chose de nouveau. Car le comédien mûrit aussi, il change en lui-même, sa façon de percevoir le texte change ainsi que sa relation aux autres. Beaucoup de choses changent. Notre façon de sentir, de vivre change. Et c’est évident que tout ça influence la manière de représenter à nouveau un texte que l’on connaît déjà. On sait quel genre d’humeur on y met. Mais on sait aussi que notre façon de vivre a changé, ne serait-ce que d’un jour à l’autre, d’une réplique à l’autre. Et cela influence la façon d’être sur scène, de dire les choses. On le voit bien avec Mari. Après sept ans de tournée, on sait que le spectacle change et changera encore. Nous ne sommes jamais pareils. Cette fois-ci, avec ‘Nta ll’aria, nous avons pensé que nous pouvions insister davantage sur le registre tragique. Nous avons changé la façon de jouer le moment où le personnage féminin déraille. Au début, ce passage était plus gai et maintenant nous jouons sur une gamme un peu plus sérieuse. C’est comme si elle vivait un flash back qui la ramenait à un temps où elle a sûrement été enfermée dans une cellule, où elle a sûrement été violée par la médecine, par la maladie… Nous avons donc opté pour un ton un peu plus tragique qui donne une carte supplémentaire pour comprendre la façon d’être de ce personnage aux mille facettes.

Mari

Cinzia Muscolino : Chaque soir, j’ai une nouvelle approche par rapport au spectacle. Je n’aime pas être toujours totalement identique. J’aime être toujours un peu créative, même dans les petites choses, que je perçois peut-être davantage que le public. Tino a cette capacité de donner des indications très précises. Ce qui n’empêche pas le comédien de réussir à bouger à l’intérieur de cet espace. J’aime aussi me sentir libre de changer des petites choses chaque soir, car justement, chaque soir nous sommes toujours différents et j’aime respecter ça. Le comédien n’est pas là pour rester sans bouger, pour faire toujours la même chose, pour avoir toujours la même intonation. L’important est de se souvenir de l’idée… nous faisons en effet un travail à la table très long, pour intérioriser le texte. Et c’est seulement lorsque l’idée de l’intention qu’il y a derrière chaque personnage est claire que nous pouvons commencer à bouger en toute liberté.
Pour Tino et pour chacun de nous, la conception de ce que nous sommes en dehors de la scène est très importante : il existe une belle entente entre nous, on plaisante. Et donc, sur scène, on s’écoute, on sait comme s’écouter, car en dehors, on est pareils. Il y a une part importante du travail qui s’effectue en dehors de la scène, dans le quotidien, dans le fait de manger ensemble, de parler d’autre chose. C’est une façon de commencer à se comprendre. Pour Tino, l’acteur doit aussi devenir un ami.

JQ : On voit bien comment la reprise comporte toujours une part de re-création. Interno, le dernier spectacle que vous avez créé à Messine au mois de février dernier, semble très différent de Mari et de ’Nta ll’aria. En effet, cette histoire est née en italien et non en dialecte sicilien : pourquoi ?

TC : C’est sa langue… il est né comme ça, il ne serait pas né en dialecte. Il ne pouvait pas naître dans une autre langue, peut-être aussi à cause du sujet, du thème porteur, qui est celui de l’homosexualité ; mais ce n’est pas le seul thème et ce n’est pas non plus, je crois, le thème principal. Ce qui m’intéressait et ce qui m’intéresse, c’est d’offrir des point de départ de réflexion sur le rapport que l’on a avec la maladie, la douleur, l’absence, l’abandon… ce sont des thèmes qui appartiennent à la sphère privée, que nous vivons et abordons tous en privé, et sur lesquels pèsent encore des tabous et des préjugés.

En ce qui concerne en revanche les possibilités expressives du dialecte, je trouve qu’en réduisant considérablement le nombre des mots et temps verbaux, en resserrant la syntaxe (par rapport à l’italien ou à une langue analytique), le dialecte demande à l’auteur un plus grand effort pour réussir à dire ce qui est difficile à exprimer du fait du manque de mots, mais l’aide aussi à mieux travailler sur les absences, les pauses, les gestes, bref sur tous ces signes non verbaux, à travers lesquels passe une grande partie du sens présent dans la communication.

JQ : La langue est donc le premier élément qui fait une bonne histoire ?

TC : Quand une bonne histoire arrive, tout arrive en même temps, du début jusqu’à la fin. Je perçois tout, même la fin, je sais exactement comment ça doit finir, avec quel son, avec quel mot. C’est seulement quand je sens que l’idée est dans mon ventre que je commence à travailler l’histoire, alors je sais que je suis probablement sur la bonne voie. Je sens l’histoire, comme la musique, dans les organes creux. Quand je perçois une histoire, quelque chose à raconter, ça n’arrive pas à travers les mots, mais principalement à travers une série de sensations émotives que je ressens, évidemment, comme on ressent la musique, avec le cœur, l’estomac. Les émotions sont avant les mots, en amont, et elles ont le pouvoir de faire vibrer l’âme, comme les notes. Je sais que ce sont elles qui animeront mes textes et je travaille sur elles par la suite, pour inventer une forme linguistique.

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JQ : Du dialecte à l’italien, et maintenant au français… Mari (Mer dans la traduction française de Bruno et Frank La Brasca, publiée aux Editions Espaces 34) est en effet monté à Paris au Théâtre de l’Atelier par Jean-Louis Benoît. ‘Nta ll’aria, (A l’air libre, que j’ai traduit avec le soutien de la Maison Antoine Vitez) va être lu fin mai à Grenoble pendant le festival Regards Croisés auquel tu seras présent en tant qu’auteur pour participer à la coopérative d’écriture : comment appréhendes-tu ce passage de ton texte au français ?

TC : J’avais suivi la traduction, grâce aux échanges avec Frank et Bruno La Brasca, et donc, tant que le texte restait sur la page, je n’avais pas pris conscience des différences ; et puis à Marseille, je l’ai entendu pour la première fois, lu à l’occasion de la manifestation “Parole in anteprima” organisée par Antonella Amirante. C’était bien sûr différent, ça «sonnait» différent, étrange parfois, mais le sens n’avait pas changé, la traduction n’avait pas altéré la profondeur que le texte porte et cache derrière sa langue originale.

Julie Quénehen, mai 2011

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Tino Caspanello et la Compagnie Teatro Pubblico Incanto

Né en 1960 à Pagliara près de Messine (Sicile), Tino Caspanello est auteur, acteur, scénographe et metteur en scène pour la compagnie Teatro Pubblico Incanto qu’il a créée en 1993. Il est diplômé de l’Académie des Beaux-Arts de Pérouse en 1983, avant de soutenir une thèse en section scénographie sur le théâtre de l’absurde et une autre en histoire de l’art sur les concepts de temps et d’espace dans l’expression artistique. Il enseigne le théâtre à l’Université et au Théâtre Vittorio Emanuele de Messine. Comme scénographe et metteur en scène, il travaille autant avec des compagnies que des institutions et s’attache à des matériaux très divers, adaptant des textes de Plaute comme de William Shakespeare, de Pirandello, d’Herman Melville, d’Italo Calvino. Tino Caspanello a écrit une dizaine de pièces dont Mari, qui a reçu en 2003 le Prix spécial du jury Premio Riccione, et Malastrada, qui a été sélectionnée par le Prix Tuttoteatro.com – Dante Cappelletti et a reçu le Prix de Legambiente pour son engagement civil. Le Prix de l’Association nationale des critiques de théâtre lui a été décerné en 2008 pour son activité d’auteur et de metteur en scène. Son travail tente de reconstruire, dans une vision métaphysique, fragments de vie, petites fulgurances quotidiennes que, trop souvent, on a du mal à percevoir. Sa pièce Mer (Mari) est éditée chez Espaces 34 (2010) et a été le coup de cœur des comités de lecture du Troisième Bureau (Grenoble) et du Théâtre de la Tête Noire (Saran).

Présentation des pièces citées

Mari [Mer]

Un homme et une femme, la mer ; une langue, le sicilien, qui ne permet pas d’exprimer toutes les profondeurs d’un ressenti, une langue faite des nécessités quotidiennes, qui n’a que le présent, un présent dilué sur la ligne qui sépare terre et mer. Mari est une partition musicale, un duo rythmé par la lenteur et le calme de la mer la nuit. Lui est assis au bord de l’eau. Elle, au lieu de rentrer à la maison, se met à parler, alors qu’ils ne le font presque jamais. C’est alors qu’ils se surprennent à dire ce qu’ils ne se sont jamais dit et à dénouer les nœuds qu’aucune langue ne pourra jamais dénouer, avec des mots qu’aucun son ne pourra jamais restituer.

‘Nta ll’aria [A l’air libre]

Deux ouvriers, un balcon à peindre, des mots sans poids pour faire passer le temps. Cela pourrait être l’éternité, ainsi, pour toujours, avec sa logique, ses certitudes, la soif, la faim et la solitude. Il pourrait en être ainsi, pour toujours, si quelqu’un n’arrivait pas, quelqu’un hors de tout cadre, hors de toute perfection, sans horizon (car trouver sa place dans un cœur est désormais presque impossible). Quelqu’un qui pourtant a beaucoup à offrir, entre deux cafés, entre un verre de vin et un rêve volé à l’imagination. Quelqu’un qui regarde encore le monde et qui l’écoute, au-delà de ses bruits, au-delà du son de ses mots, pour en découvrir les secrets qui voyagent sous sa peau.

Malastrada

Il existe un lieu en Sicile, son cap nord est, qui devrait être le décor d’une intervention qui a occupé et qui continue à le faire, les esprits des politiques, des ingénieurs, de nombreuses sociétés et des gens. Il s’agit du projet du pont sur le détroit de Messine. Une famille (un père, une mère et un fils) est en voyage vers la «route» qui relie l’île au continent : un pèlerinage à travers des sentiers désormais effacés, dans le noir, sans même une lampe électrique. La traversée, objectif final du voyage, déclenche le conflit, l’écroulement définitif de la communication, et entraîne les trois personnages dans une violence qui se trouve en embuscade dans leurs non-dits et met à nu la misère du chantage affectif.

Interno

Deux hommes, liés l’un à l’autre, l’un des deux est atteint par un mal incurable qui le contraint à l’immobilité et au silence. Se font alors sentir la nécessité de réinventer les mots, l’urgence de se remettre à écouter le son de la voix, d’une voix qui ne possède plus aucun son. Ce dialogue à une voix parvient à illuminer les étapes de deux existences. Il y a une urgence dans l’écriture, une urgence focalisée sur des réflexions qui sont encore au centre d’un conflit politique, culturel, social et anthropologique, et qui peuvent encore malheureusement être résumées par un seul mot : la «diversité». Un texte ouvre souvent des blessures que nous ne voudrions ni voir ni entendre. Mais un Théâtre «indolore» ne sert à personne.


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‘Nta ll’aria

Site et actualités de la Compagnie Teatro Pubblico Incanto

http://www.teatropubblicoincanto.it/
http://www.theatre-atelier.com/spectacle-mer-72.htm
http://www.troisiemebureau.com//images/les-auteurs-du-festival-4/
http://teatro.mohole.it/nta-llaria/
http://www.teatrodimessina.it/htmver/opera.asp?idopera=371
www.dramma.it

Les Editions Espaces 34
www.editions-espaces34.fr

À noter : Mer est le texte « coup de cœur » du comité de lecture du Troisième bureau (Grenoble) et de celui du Théâtre de la Tête Noire (Saran).

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Italinscena est un rendez-vous d’exploration critique des nouvelles écritures théâtrales italiennes proposé par les lecteurs et traducteurs du Comité italien de la Maison Antoine Vitez en partenariat avec ALTRITALIANI.NET
Il se poursuivra régulièrement tout au long de la saison sur notre site Altritaliani.

Maison Antoine Vitez
Centre International de la Traduction Théâtrale
134, rue Legendre – 75017 Paris
Téléphone : 01 42 63 44 50 / Fax : 01 42 63 44 51
http://www.maisonantoinevitez.fr/

Membres du comité italien: Antonella Amirante (metteuse en scène), Sylvia Bagli (comédienne, traductrice), Angela de Lorenzis (dramaturge), Eve Duca (enseignante, traductrice), Olivier Favier (traducteur), Juliette Gheerbrant (traductrice), Hervé Guerrisi (comédien, traducteur, metteur en scène), Giampaolo Gotti (metteur en scène), Federica Martucci (comédienne, traductrice), Maria Cristina Mastrangeli (metteuse en scène, comédienne, traductrice), Amandine Mélan (traductrice), Caroline Michel (comédienne, traductrice), Antonia Proto Pisani (dramaturge), Julie Quénehen (enseignante, traductrice), Paola Ranzini (enseignante).

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