Ma gli italiani sono immorali?

All’estero ci si chiede perché gli italiani non reagiscono allo sfacelo morale di un paese che proprio quest’anno festeggia i suoi centocinquanta anni di unità. Proviamo ad azzardare un’ipotesi, che mostra come il male del ‘berlusconismo’ non sia figlio solo di Berlusconi.

“La politica come tutti sanno, ha cessato da molto tempo di essere scienza del buon governo, ed è diventata invece arte della conquista e della conservazione del potere. Così la bontà di un uomo politico non si misura sul bene che egli riesce a fare agli altri, ma sulla rapidità con cui arriva al vertice e sul tempo che vi si mantiene.”
(Luciano Bianciardi – La vita agra, 1962)

E’ fuori di dubbio, diremmo un dato empirico che l’Italia si trovi nel pieno di una crisi anche internazionale gravissima e che l’immobilismo economico, sociale e direi culturale del nostro paese sia divenuto coma. Le vicende boccaccesche di queste ultime settimane contribuiscono al dramma italiano di chi si sente a lottare da solo contro il precariato, la perdita di lavoro, l’impossibilità di avere un futuro sereno, anche se nei palazzi del potere, tra i portaborse e i secondini che lavorano nelle sedi delle istituzioni prevale verso le quotidiane notizie a luci rosse che riguardano il nostro premier, il senso della farsa.
All’estero ci si domanda come e perché gli italiani siano così inattivi e passivi di fronte a tanto sfacelo. Si dubita sulla stessa moralità degli italiani che nei sondaggi sostanzialmente confermano fiducia al cavaliere di Arcore.

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Anche io mi chiedo perché gli italiani, in uno scatto d’orgoglio, non espongano, fuori le loro finestre e i loro balconi, un tricolore, come simbolo e protesta per dimostrare l’attaccamento alla patria, in quest’anno di celebrazione dei 150 anni dell’unità del Paese e contro i continui insulti che ad essa e ai suoi cittadini il governo in particolare e la politica, questa politica, in generale riserba.

Eppure, sembra effettiva la rassegnazione se non una vera e propria indifferenza degli italiani. Proviamo a cercare la soluzione di quest’enigma su cui tutto il mondo si domanda, su cui in New York Times ha aperto un forum seguitissimo nel suo sito online.
L’analisi che qui si tenta di fare ha più valenze: storiche, sociologiche, culturali e certamente politiche.

In primo luogo molti, specie all’estero, devono considerare che l’Italia ha sì una antica storia e un’antica cultura che ancora oggi ci rende orgogliosi. Tuttavia, come entità politica, come idea di Stato e nazione, l’Italia ha solo 150 anni appunto e quindi è un paese giovane.
Un paese giovane, nato su una non chiara forma di organizzazione brigantaggio.jpg
politica. Alcuni hanno rilevato che Cavour propendeva per una forma federale una sorta di ripartizione in tre macro regioni (tema in seguito fatto proprio per qualche tempo dalla Lega Nord) che si possono riassumere in Nord. Sud c Centro. In realtà l’improvvisa dipartita dello statista piemontese poche settimane dopo il conseguimento dell’unità, portò a deragliare da questa idea che era stata coltivata con sfumature diverse anche da Cattaneo. Le difficoltà del sud appena riunito al nord e i preconcetti di molti patrioti nordisti verso il sud e i suoi abitanti, spinsero verso una soluzione centralista e a soprassedere sull’antico progetto, favorendo di fatto la “piemontesizzazione” del nostro meridione con tutti gli effetti che questo ebbe a determinare, in termini di lotta contro il brigantaggio (strumentalmente usato come forza anti Savoia) e di repressione delle spinte autonomiste che dal sud provenivano. Il tutto con una rapida perdita d’illusione a cui non si riuscì mai veramente a porre rimedio.

Tra l’altro la pericolosa miscela tra politica e briganti fu uno dei motivi dello sviluppo di associazioni segrete, presupposto delle odierne Mafie.
La successione degli eventi che ci portano ai nostri giorni non hanno favorito lo svilupparsi nella nostra democrazia di quei contenuti essenziali alla tenuta sociale di una nazione. Il sentirsi consociati è cosa ancora da realizzarsi.

La grande guerra avrebbe dovuto segnare un momento di unione popolare e di legame alle ragioni e ai valori fondanti del paese, invece fu ulteriore motivo di divisione, di contrasto e le conclusioni della guerra contribuirono anche al formarsi di nuove delusioni.

La dittatura fascista certamente ha costituito un’ulteriore battuta d’arresto nel processo di coscienza nazionale degli italiani. Il consenso anche massiccio alla dittatura non coincide con il progresso culturale e la maturazione di un sentimento di appartenenza alla società e alla condivisione delle sue regole. Accettare e non fare propria la dura disciplina, lascia gli italiani bambini.

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Ben altra occasione fu la resistenza.
Passaggio fondamentale per un paese come il nostro che non ha mai fatto una rivoluzione. Quella lotta fu popolare e diffusa aldilà del numero effettivo dei combattenti. Una lotta che ridava dignità ad un paese trascinato in una guerra impossibile ed inutile da un regime poco lungimirante e troppo velleitario. Dalla resistenza, che uni differenti ideologie e forze unite dal sentimento antifascista, nacque una delle cose di cui dovremmo sentirci orgogliosi, la Costituzione repubblicana.
Una Costituzione tra le più democratiche e moderne che il mondo conosca, una costituzione che malgrado i continui attacchi che provengono dagli attuali politici, ancora ci preserva da ulteriori e ancor più tristi sorprese. Una Costituzione che anche gli ignavi italiani, quando l’hanno sentito minacciata hanno saputo difenderla, come in occasione del referendum contro quel pasticcio di riforma perpetrato, si guardi un po’ da un precedente governo Berlusconi.

Tuttavia, dal dopoguerra fino a mani pulite (parliamo del 1992), la divisione in blocchi tra est e ovest, con l’annosa lotta tra comunisti e anticomunisti, ha finito per bloccare la nostra democrazia. Seppure con un sistema politico bloccato e incentrato sulla Democrazia Cristiana, non mancarono occasioni di significativi passi avanti della società italiana. Si pensi al ruolo delle contestazioni nel ’68 e all’autunno caldo del 1969. Due momenti molto significativi e che saranno all’origine di grandi passi della nostra civiltà. Da lì si può capire il formarsi del nuovo statuto di famiglia, la legge sul divorzio e quello sull’aborto una rinnovata visione e partecipazione delle donne. Da lì si può capire le conquiste dei lavoratori: Lo statuto dei lavoratori, il contratto collettivo di lavoro e l’attuazione di auspicati principi costituzionali.

Ma il blocco preclusivo del sistema politico italiano chiuso sul moderatismo democristiano avrebbe potuto rompersi solo all’indomani della caduta del muro di Berlino e la fine dell’avventura comunista, anche in ragione del repulisti fatto dalla magistratura capace, nel più ampio consenso popolare, di far definitivamente schiantare quel sistema politico ormai corrotto e clientelare e che del clientelismo, del privilegio e della corruzione aveva fatto sistema schematizzato nella sigla CAF (Craxi, Andreotti e Forlani) che ormai già stava implodendo di suo, se il suo continuo (seconda repubblica, ma io ci vedo una continuità) con la famosa discesa in campo di Silvio Berlusconi ed il naufragio della gioiosa macchina da guerra dei post-comunisti, non fosse intervenuto in difesa proprio di quel sistema e di quei privilegi.

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Da allora il paese è entrato in letargo chiuso in una nuova disputa questa volta non ideologica ma solo pseudo ideologica tra berlusconiani ed antiberlusconiani.
Una disputa che ha permesso il perpetuarsi di metodologie e privilegi già presenti nella prima repubblica. A ben vedere neanche l’azione dei magistrati che alcuni ricordano, forse erroneamente, come rivoluzione dei magistrati, ha effettivamente mutato lo scenario e i sistemi del potere politico. E’ vero che furono decapitati i principali partiti, e che gli stessi partiti si dissolsero i nuovi soggetti politici, ma è anche vero che i subentranti erano in fondo le seconde file di quelle nomenclature. I vari Berlusconi (amico di Craxi), Casini (ricordato come uomo di Forlani), Rutelli (all’epoca nel partito radicale), Bersani (quadro nel PCI), Fini (già leader di Alleanza Nazionale), e molti degli uomini del premier (ex socialisti, democristiani, finanche comunisti) erano già soggetti più che attivi, pezzi dell’allora potere. Forse fanno eccezione Bossi (Lega Nord) che era castigatore di quel sistema e Di Pietro (Italia dei Valori) che all’epoca fu uno dei magistrati di punta in “Mani pulite”.

Quindi si fatica a parlare di una effettiva discontinuità con quell’epoca e quei metodi che in fondo con modalità diverse si vanno a riproporre con il “berlusconismo” quale continuazione del “craxismo”.
Se allora la corruzione e i privilegi erano letteralmente monetizzati con il sistema delle ustarelle o addirittura delle valigette piene di banconote, oggi il sistema monetizza con vantaggi diversi, con prestazioni illecite (vedasi la massaggiatrice di Bertolaso ex capo della protezione civile), con viaggi, case, escort, ed altro. Ma resta un sistema che si fonda su privilegi di caste e vantaggi per singoli potenti, da tutto questo resta escluso il pubblico, i cittadini o meglio i consumatori. Un sistema che diviene la punta di iceberg di una deregulation tutta italiana, che sopperisce alle disfunzioni del “Sistema Paese”, alle carenze di imporre regole e principi in un paese maledettamente disomogeneo. La percezione quindi è che bisogna fare da soli, che difficilmente si può attendere dal paese quel rispetto di quei principi costituzionali che restano bellamente solo sulla carta.

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Recenti statistiche e studi ultimo quello proposto dal politologo Ilvo Diamanti, dimostrano che sebbene il disagio verso la politica e la società italiana sia presso gli italiani e i giovani in particolare altissimo, gli stessi giovani al 92% dichiarano che nella loro sfera privata si sentono felici. Come spiegare questa evidente discrasia tra pubblico e privato?
Decenni di mala politica, di economia ferma, di sfiducia nelle istituzioni (ad eccezione del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, amatissimo e vero ultimo orgoglio per gli italiani), una ancora più forte sfiducia nella regolarità delle condotte delle istituzioni locali come Comuni e Regioni, la disaffezione verso un Parlamento che appare un coacervo di nominati e spesso raccomandati, privi di qualsivoglia senso della responsabilità verso lo Stato, induce i cittadini e i giovani a puntare sulle sole proprie forze consapevoli, tuttavia che in questo paese il merito non premia, come dimostrano le tante elette (vedi Nicole Minetti) che senza nessun curriculum politico o di lavoro vengono imposte in ruoli importanti della società, magari solo per la propria avvenenza fisica.

Il “berlusconismo” come detto ha radici molto più profonde che risalgono al “craxismo” e forse anche prima, nella strategia della tensione, negli anni di piombo che riportarono i cittadini ad abbandonare l’impegno pubblico, politico e sociale e a refluire nel proprio privato.
Forse radici ancora più lontane che risalirebbero alla genesi ottocentesca della nostra nazione.

La morale come da vocabolario riguarda: “La facoltà dell’uomo di poter valutare, individuare e realizzare nella pratica di vita i valori fondamentali dell’esistenza individuale e collettiva”.
Viene da chiedersi se l’attuale classe politica, come del resto le precedenti siano una risposta a questa facoltà, se siano specchio di questa società, se, insomma, siano rappresentativi della nostra società.
Su un punto tutti i sondaggi concordano che se oggi si votasse almeno il 40% degli elettori non voterebbero, c’è da chiedersi tra il 60% di votanti quante sarebbero le schede nulle, le bianche e quanti voterebbero con sincera convinzione.

Evidentemente, l’attuale legge elettorale, che preclude agli elettori la possibilità di scegliere il candidato, non aiuta, ma personalmente credo che il discorso sia più ampio ed attenga alla sfiducia nell’attuale classe politica, sempre più autoreferenziale , sempre meno libera nella sua azione politica costretta da un leaderismo imposto dall’attuale sistema maggioritario retto più da affaristi che da statisti.
La classe politica non solo deve essere espressione del popolo ma anche essere esempio al popolo e su questo punto anche le recenti vicende di cronaca politica, nera e rosa dimostrano che non ci siamo proprio.

Basti pensare che fango o no, la questione sembra essere il bunga, bunga di Berlusconi, la casa di Montecarlo e Fini, gli imbrogli denunciati alle primarie del PD a Napoli, tutti esempi comunque di malcostume, di immoralità che screditano ancora di più una politica che è scesa ad infimi livelli di dignità.
Questo pericoloso calderone minaccia di mescolare e rendere indecifrabili gli ingedienti delle diverse corruzioni il peso delle diverse responsabilità, rendendo infine l’insieme un melange insostenibile e inaccettabile.

E’ evidente, noi di Altritaliani lo predichiamo lo si potrebbe dire per statuto, che la vera battaglia politica è la crescita e la maturazione della nostra democrazia.
Per noi l’idea di riformare la politica resta essenziale e per fare ciò occorrerebbe riformare l’intera classe politica, una sorta di rivoluzione (magari incruenta) che liberi l’agone politico da tanta bruttezza e mediocrità.

Ma occorrerebbe anche che la nuova politica, la bella politica s’impegni a destra e a sinistra passando per il centro a riformare anche culturalmente il paese, mostrando appunto una morale chiara che non transige su temi essenziali per le certezze individuali e per il regolare svolgimento della vita di una società.
Su questo punto ci ritorniamo a breve.

Forse è stato un errore parlare, almeno per l’Italia, di nuova forma di dittatura, o di dittatura mediatica e non violenta nel senso classico. A ben pensare anche i peggiori dittatori (Mussolini, Hitler, Pinochet) hanno sempre avuto, pur godendo di privilegi e vantaggi, la convinzione di agire nell’interesse del paese, che fosse necessario mettere ed imporre ordine e disciplina, frenare o impedire la libertà di pensiero, dietro al desiderio di non dare spazio al dissenso, c’era in molti casi anche l’aberrante convinzione di agire nell’interesse dello stato. Comunque l’immagine ipocrita che il dittatore dava era di essere un padre severo di famiglia, un uomo solerte ed impegnato per il bene del proprio paese, intransigente e determinato.

Berlusconi appare più un padrone che un dittatore, uno che ritiene l’Italia la sua azienda che deve operare solo per il suo interesse e al limite per quello dei suoi familiari e cari. In tal senso non solo in Italia non c’è eccesso di disciplina e regole ma ansi si fomenta una sorta di anarchismo in cui ciascuno è invitato, salvo dare fastidio al capo, a fare quel che gli pare tanto alla fine nessuno verrà a punirlo o a contenerlo.
Or bene il modello del craxismo affinato o forse involgarito dal berlusconismo propone l’idea del vincente ad ogni costo, anche evitando di affrontare strade maestre preferendo scorciatoie comode anche se eticamente inaccettabili. Lo stesso Berlusconi è emblema di questa subcultura fatta di apparire e non essere, d’immagine e non di sostanza.

Nell’enorme reality del berlusconismo, la vecchiaia è bandita per cui i capelli vanno trapiantati se ci sono calvizie, e poi tinti e uomini e donne devono farsi trattamenti sempre più estremi per essere giovanili, fino ad arrivare a forme di linguaggio e di vita che esaltino l’eccesso, l’estremo, come le notti di Arcore dimostrano. Così nella politica, la maleducazione è tollerata se serve èer impedire all’avversario l’esposizione d’idee, la vendita del proprio corpo è ammissibile se da ricchezza e vantaggi, l’arrivismo è positivo se premia in carriera, l’ipocrisia è giusta se fa bene ai propri interessi, tutto un sistema di disvalori che escludono la società e che la riducono ad una lotta di tutti contro tutti o al massimo di lobby contro lobby. Si arriva con indifferenza ad eleggere quali eroi esponenti della mafia, a disertare da rappresentanti dello Stato occasioni di ricordo di veri eroi come Falcone, Borsellino; ad invitare a non pagare le tasse oppure a non sostenere con il canone la TV pubblica.

Con uguale indifferenza si tollera la casa in omaggio al ministro o alla escort e a ritenere giusto e salvifico per gli operai negare dieci minuti di riposo nel turno di chi lavora alla catena di montaggio.
Il tutto è urlato e sostenuto e rinfacciato in arene televisive e politiche che ci parlano di un mondo che non è il nostro, che non è dei tanti moderati italiani (gran parte degli astensionisti al voto) che in questo estremismo senza ideologie non riescono più a ritrovarsi.

La vera rivoluzione sarebbe la normalizzazione di questo paese, arrivare ad un paese che abbia un senso civico, dopo chi sbaglia paga e chi si comporta bene vive serenamente, dove chi merita va avanti senza scorciatoie, dove gli anziani facciano un passo indietro e si punti in politica e non solo sui giovani, dando spazio e mezzi per la nostra rinascita.

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Ma come si fa se l’opposizione dimostra tutta la sua fragilità se al suo interno è inquinato da quegli stessi disvalori per cui ora rischia di finire anche l’edificante pagina delle primarie, dopo episodi avvilenti come Napoli. Oppure come si fa a chiedere alla gente senso civico e ordine nel depositare i propri rifiuti favorendo la differenziata se le autorità, le scaricavano nelle parti peggiori, nel golfo di Napoli? Oppure con gli imprenditori del nord-est che ricorrevano alla camorra per far scaricare a cielo aperto in Campania i propri rifiuti tossici e radioattivi?
Il sostegno a Berlusconi e a questa politica può venire solo da quella consistente fetta di popolazione che non è cresciuta in senso civico, che vuole le scorciatoie, che nel suo piccolissimo si accontenta di qualche privilegio anche infimo, più che di un impegnativo sistema di regole.

Il 70% d’italiani evade le tasse, in pratica solo quelli del pubblico impiego no, ma non possono tecnicamente, gran parte delle piccole e medie aziende, specie nel sud, hanno lavoratori in nero, sottopagati e che lavorano spesso in condizioni molto pericolose, perché i datori di lavoro vogliono risparmiare sulla sicurezza (la media di più quattro morti al giorno sul lavoro è la più alta d’Europa); Gli abusivismi edilizi sono tali che nel nord-est appare difficile comprendere dove finisce una città ed incomincia un’altra. Il continuum di cementificazione sta annientando le risorse paesaggistiche e naturali del nostro paese, ma chiusi nel proprio egoismo molti italiani aiutati dalle corruttele locali costruiscono senza pudore. Le collusioni tra politica, amministratori delle città e la malavita organizzata, sono innumerevoli, spesso gli assunti non lavorano ma sono egualmente stipendiati. Gli sprechi delle risorse economiche sono state denunciate (vanamente) in numerosissimi saggi, libri e reportage televisivi.

L’Italia, più che un paese fondato sul lavoro, sembra fondata sui privilegi, a questi nessuno sembra voler rinunciare.
E’ del tutto evidente che la questione morale di questo paese sia trasversale e nessuno può ergersi a maestro e che occorrerebbe veramente un nuovo governo di emergenze e di unità nazionale per liberarci questa volta non dal fascismo ma da questo sistema che toglie speranze che annienta ogni residuo senso civico e di convivenza civile. Ma occorre prima liberare il paese da questa negletta classe politica e naturalmente da Berlusconi che forse non è la causa di questo male della società italiana ma certamente n’è sintomo e soprattutto simbolo.

E’ evidente che la classe politica non vuole l’elezioni, ad eccezione forse della Lega Nord ed Italia dei Valori, non è un caso che si tratti delle due forze effettivamente svincolate dalla prima repubblica, non le vuole perché nella sua malafede sa quale sarebbe il responso delle urne.
E’ evidente che chi ha votato l’attuale maggioranza e l’attuale premier non si scomponga più di tanto per le spaventose vicende che coinvolgono il cavaliere, ma qualcuno ha misurato il grado di nausea a cui sono giunti quegli elettori che non votano più e non voteranno più (in gran parte moderati), elettori che con il loro 40% sono di gran lunga il partito di maggioranza? Già immagino le consuete ipocrisie (l’ipocrisia è uno dei disvalori del berlusconismo) con cui si ricorderà che nelle moderne democrazie non votano in molti, tutte parole che servono a nascondere un malessere quello di chi sognava un’Italia migliore, diversa, più giusta e serena.

Oggi la protesta non può che essere spontanea, non ci sono partiti dell’opposizione capaci di canalizzare e guidare questa protesta che esiste ma che non ha sufficiente voce. Ecco perché l’impatto mediatico suggerisce sdegno in chi all’estero ci giudica, la realtà è che il disgusto, lo sgomento di cui ha parlato la Chiesa e il nostro Presidente della Repubblica sono reali, veri, palpabili, ma secretati da un sistema informativo comandato dall’attuale leader Berlusconi e dove le poche voci di dissenso finiscono per fare eco e rumore in terribili polemiche ed invettive che non guardano alla realtà italiana ma solo e sempre alla lotta di potere tra il padrone Berlusconi e chi lo vorrebbe, pur senza leader, idee e progetti, scalzarlo. Una lotta irreale, impari, che non coinvolge un paese stremato, paralizzato economicamente e socialmente, reso catatonico culturalmente in definitiva un paese che come ha detto di recente Paolo Mieli è impazzito.

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Lo scrittore Aldo Busi ha commentato sostenendo che forse Berlusconi è finito (noi lo sosteniamo già da qualche tempo) ma per pulirci dal berlusconismo ci vorranno decine di anni. Potrebbe essere un’ipotesi ottimistica.

(Nelle illustrazioni in ordine dall’alto in basso: Craxi e Berlusconi, il brigantaggio, la resistenza, il ’68 in Italia, Palazzo Chigi sege del governo, manifesto delle primarie del PD a Milano nel 2010, la strega di Walt Disney)

Nicola Guarino

n.guarino(at)altritaliani.net

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.

4 Commentaires

  1. Ma gli italiani sono immorali?
    Si , sono immorale ,perché ogni giorno aprendo il mio computer sulle notizie italiane sogno che finiro’ per leggere che Berlusconi se ne é andato, perché l’inferno si é aperto sotto suoi piedi, perché la pila del suo pacemaker si é scaricata o perché una kamikaze travestita da prostituta minorenne si é fatta esplodere con lui durante un bunga bunga.
    Sono immorale,perché sogno di una morale da inventare, di un paese che rinasca dopo aver toccato il fondo.Un paese di cui non ci si debba piu’ vergognare e che si ricordi, infine, di quello che é stato e di quello che potrebbe essere.Un paese come gli altri .
    Il pensiero piu’ immorale del mondo..

  2. Ma gli italiani sono immorali?
    Signor Guarino,

    Complimenti per l’analisi che condivido.

    Ha solo un difetto, se ne è accorto un pò tardi.

    Sono anni che a RADICI lanciamo l’allarme e l’indignazione di fronte a tutto ciò…

    Comunque c’è un’italia migliore di questa che forse dobbiamo avere il coraggio di riscoprire e saper mettere in luce… ma non è facile

    Cordialmente

    Rocco FEMIA

    Direction éditoriale

    RADICI

    10, rue Espinasse

    31000 TOULOUSE

    Tél. 00 33 (0)5 62175037

  3. Ma gli italiani sono immorali?
    analisi quasi pienamente condivisibile, ma già letta e riletta più volte nel corso degli ultimi anni. inoltre, l’articolo è a mio avviso intriso di una pesante retorica patriottarda: l’italia è definita una « nazione » (usando un termine degno dell’Ottocento), si parla aprioristicamente dell’amore verso Napolitano quando questo è tutto da accertare, si cita il giudizio morale della Chiesa cattolica (che è l’ultima istituzione a potersene permettere), si propone di esporre la bandiera italiana e di celebrare i 150 anni dello stato italiano, dimenticando i soprusi compiuti in nome di quella bandiera nel corso della conquista del sud da parte del piemontesi (perché si tratta di conquista, non di « riunificazione », come si sostiene nell’articolo).

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