Enrico Palandri: Boccalone – Storia vera piena di bugie.

Sono di quel maggio in cui m’innamorai. Anna con la sua salopette bianca. A volte. Parlo di me. Io. Sempre. In continuazione. Scrivo fuori dallo scrivere. Lo scrittore che non voglio essere. L’etichetta, la fuggo. La definizione del romanzo intellettuale, pure. Giugno e luglio sfilano veloci e insieme a loro, gli altri mesi. Romanzo. Cos’è? Io, cos’è?

Dentro gli occhi miei e la vita a prendere vita per inciderla su frasi connesse alla volontà di dirmi. Mi preoccupo dell’interesse che s’insinua, sempre più profondo, per il mio me. L’unico (e la sua proprietà : sussurato). E lo fuggo. Di nuovo. Tout est affaire de décor/ changer de lit, changer de corps…/à quoi bon puisque c’est encore moi/qui moi-même me trahis,/moi qui me traîne et m’éparpille/et mon ombre se déshabille/dans les bras semblables des filles/où j’ai cru trouver un pays… Louis Aragon. Pagina centotrentuno.

E se questo me fosse qualcos’altro rispetto alla proiezione che ne faccio mentre scrivo, credendo di aver trovato il mio vero me? Inseguo una definizione di me. Mi descrivo per come sono ora e poi non mi riconosco più nelle righe che ho scritto qualche giorno fa. Come faccio a resistere? Inseguo una fissità. Una morte… Vedete,/ sulla carta sono trafitto con chiodi di parole… Il flauto di vertebre, Vladimir Majakovskij. Ora che non ho un letto, che ogni pasto è un problema, che ogni spostamento mi sconvolge, sento le trasformazioni correre sotto la pelle; non sono più lo stesso di una volta, cambio continuamente faccia, non so più chi sono. Pagina cinquanta.

Fate una pausa. [Cercate tra i vostri cd quello di Dylan. Ce l’avete senz’altro]. Selezionate Like a rollin’ stone. E ascoltatela tutta.

Cammino per la città con ali nuove. Voglio la libertà! Voglio l’amore!

Dove trovare un’amata uguale a me?, All’amato me stesso, Vladimir Majakoskij. Ancora lui. L’arcobaleno azzurrissimo! Il desiderio di togliersi le camicie per scoprire finalmente che anche noi abbiamo LE ALI! Si! le ali. Siamo volpi (porci) con le ali. Attenti a schivare trappole: i cacciatori ne inventano sempre una per impossessarsi della mia pelliccia… Non mi lascio prendere! Piuttosto fuggo tutta la vita, ma non lascio che mi rinchiudano in un lavoro, con una moglie e dei figli …. Pagina sessantadue-sessantatre.

Quando bologna è tutta uguale. venezia cola. La politica si sfa. I compagni si Sfanno pure loro. Arrestare. Poco a poco. Ho paura… che la politica rovini l’amore…paura e polizia sono onnipresenti… anna comincia a coprire tutti i miei desideri, è la sola persona che cerco, l’unico momento di tregua in un campo di battaglia in cui metà dei guerrieri sono stati feriti o catturati… Pagina cinquantatre-cinquantaquattro. Allora, la voglia di fuggire via dall’italia mi porta davvero via. In spagna con anna… Per me la spagna è hemingway, pagina cinquantanove. Il viaggio salvifico. Si, il viaggio. Bruciamo chilometri e pensieri malsani. Nella macchina, in viaggio.

Siamo nel 1977. Questa come tutte le storie d’amore è una storia sessuale, pagina sessantacinque. A Bologna si forma spontaneamente il Movimento . Unico nel suo genere, diverso rispetto alle forme tradizionali di contestazione eppure in linea con la parte più radicale del’68. Esso nasce, infatti, non solo con intenti critici nei confronti del lavoro, ma di rigetto categorico di quest’ultimo in quanto vera causa di ogni alienazione umana. È proprio su questo esatto punto che si fonda Boccalone. Ma al di là del suo significato ideologico, dei suoi limiti stilistici, è indubbia la sua valenza storico-letteraria e documentaria: per i suoi slanci libertari inoculati dal movimento femminista e dalla rivista A/traverso in cui convergevano e passavano e si esprimevano nuove tendenze. La vicinanza ai gruppi di antipsichiatria. L’influenza di Celati.

a5cb96f77802f64478f3f196ebc341f0.jpgNon solo. In Boccalone udiamo le voci d’ennesime identità giovanili terrorizzate dal presente. Ciononostante, ancora capaci di delineare profili netti di contestazione. Di parola, seppur tacciata talvolta di sproloquio. In quell’accumulo di urla e pianti, entusiasmi e slanci poetici è leggibile e palpabile il dissenso insieme all’umanità. Quel dissenso che oggi leggiamo dappertutto non solo nei giornali ma soprattutto nelle espressioni della gente. In quelle facce slabbrate, tirate, accigliate, freddate dal lavoro, dall’economia a tutti i costi e del consumismo purtroppo non ancora consunto ma che piuttosto consuma chi consuma e spesso, ancor peggio, chi non consuma affatto! Ah!

Ma che, purtroppo, ha perso la voce: visi inurlanti con bocche inurlanti. Rimane solo il gesto: protruse labbra in attesa di vibrazioni. Che non arrivano.

Quella di enrico invece stride. E non si tratta di utopia. Non si tratta di impeti giovanili destinati a spegnersi in età adulta. Si tratta di rispetto e amore profondo di sé. Della propria libertà individuale e di quella collettiva. Ma allora, noi dov’è che l’abbiamo persa? Quando?
È senz’altro più comodo (per chi poi è chiaro, non di certo per noi) piegarsi che tentare di ribellarsi. Restare in silenzio piuttosto che osare dire. Contraddire. Contrattaccare. Conservando l’entusiasmo.

Nonostante le sue ripetute morti, enrico non perde questo fervore. E ce lo regala in una delle pagine più appassionanti e commoventi di Boccalone.

Eccone degli estratti: signori, io penso se oggi sia il caso di giustificare la mia vita con il rito del fannullone, o del lavoratore, o se ho voglia di ricominciare tutto da capo un’altra volta, se la mia giornata è già stata scritta in qualche libro, o se posso reinventare la mia vita …la mia macchina dei desideri non è sincronizzata con la macchina del lavoro..con la macchina del giusto e dell’illegale, produce diecimila comportamenti ogni giorno, diecimila domande; sono la sola macchina di cui abbia rispetto, la sola, a cui chiedo di vivere meglio….romperò le vostre macchine..inventerò me stesso, come riuscirò a farlo nel linguaggio che ancora ci appartiene… pagina quaranta.

Fanno eco, nella mia memoria, a quelle lette qualche tempo fa nell’autobiografia di Giovanni Papini [[G. PAPINI, Un uomo finito, in G. PAPINI, Opere. Dal «Leonardo» al Futurismo, a cura di L. BALDACCI Milano, Mondadori, 2008.]] , ..Ognuno di noi che abbia veramente una vita sua – e intendo vita propria, personale, interna, sensitiva- è un Adamo che deve rinominare ancora una volta tutte le cose e costruirsi il suo vocabolario e fondare un linguaggio. .. millenovecentodiciannove.

Queste sono parole che scuotono e fanno vibrare. Perché lì dentro sento l’uomo. Al di la delle età. Al di la del tempo. Il potere del linguaggio che ancora ci appartiene.

Flora Botta

1 Novembre 2010

Article précédentPippo Pollina et Quatuor Altamarea en concert à Paris
Article suivantCorinna (//) Carrara : émotions parisiennes
Flora Botta
Flora Botta è nata in Sardegna. Dopo aver conseguito la laurea in Lingue e Letterature Straniere presso l'Università di Cagliari, si trasferisce a Parigi nel 2006. Prosegue poi la sua formazione linguistica e letteraria, specializzandosi in italianistica presso le Università Paris X, la Sorbonne-Nouvelle e la Sorbona. Nel novembre del 2017 ha pubblicato la raccolta poetica bilingue "La nuit est le mensonge", Edizioni Le Noeud des Miroirs. Durante il suo viaggio in America del sud, ha tenuto un blog, dal titolo "Tierra de Argento": https://voyage841.wordpress.com/. Le sue poesie e le sue prose sono apparse su riviste on line e cartacee quali: Le Capital des mots, Festival Permanent des Mots (FPM), Revue 17secondes, Versante Ripido, Poésie/Première, Revue Cabaret, tropiquenoir.com.