Il pianeta irritabile, di Paolo Volponi

Lo scetticismo diffuso, e spesso non privo di fondamento, che accompagna da qualche decennio tutto ciò che sia prodotto in materia di letteratura entro i confini italiani sta rischiando seriamente di oscurare anche alcune tra le voci più indipendenti e alternative che si siano pronunciate nel nostro paese.

È il caso di Paolo Volponi, autore che non ha mai goduto di una fama particolare presso il grande pubblico e che, nonostante la reticenza di certa critica nostrana meriterebbe ben più attenzione; soprattutto in rapporto a quello che poi effettivamente è il canone estetico delle opere presentate (e ultra-pubblicizzate) allo stesso “grande pubblico”. Voce fuori dal coro, sin dalle prime opere (Memoriale, 1962; La Macchina Mondiale, 1965; Corporale, 1974), la sua poetica si distingue subito per una critica strutturale del mondo coevo. Non bisogna dimenticare che due dei più autorevoli intellettuali dell’epoca contemporanea, vale a dire Calvino e Pasolini, in quegli anni compirono le riflessioni che tracciarono (e in taluni casi ancora tracciano) il cammino intrapreso dalla nostra letteratura. Inserito in un contesto così particolare, il nostro autore si mosse in una direzione tutt’altro che scontata.

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Arrivando al “Pianeta Irritabile” (1978), attraverso una ricerca durata anni, la scrittura volponiana prende il pieno controllo della sua forza eversiva. In primis lo stile, che sembra ammiccare alla prosa lirica (non va dimenticata la lezione del Cardarelli) e ad uno linguaggio mai comune, la tematica della crisi si esplicita in una favola moderna che non dimentica la lezione dei contes philosophiques illuministici e il viaggio catartico dantesco. Non solo, anche la scelta dei ritmi di narrazione persegue l’obiettivo di lasciar smarrito il lettore in quella landa desolata che è il mondo nell’anno 2293.

All’inizio del romanzo troviamo una voce narrante che ci fa sapere che il mondo come lo conoscevamo non esiste più: piove “da sempre”. La natura ribelle e vittoriosa ha imposto la sua trasformazione ad un mondo devastato dalle guerre atomiche dove post-umani si contendono i pochi spazi rimasti con gli animali ormai tiranni. Tutto è di dimensioni deformate, segno premonitore di una crisi dell’antropocentrismo, il mondo non è più “a forma d’uomo” ma ridotto ad uno stato di incontrollabilità assoluta che prescinde ogni forma di razionalità: i personaggi che Volponi sceglie non sono antropomorfi, bensì animali.

1224-il-pianeta-irritabile.jpgNel “Pianeta Irritabile” abbiamo a che fare con un babbuino, un elefante, un oca e un nano. I quattro soggetti in questione hanno un’origine comune: prima che “la bomba” colpisse, lavoravano in un circo. Ça va sans dire che il circo come rappresentazione della condizione di schiavitù e segregazione indicava già di per sé un punto di partenza quanto mai infimo. Tutti agivano per il divertimento della società rimanendo in gabbie e patendo le violenze di questo micro-sistema. Soprattutto il nano che era delegato alla raccolta degli escrementi degli altri animali, si trova da principio in una condizione di svantaggio verso tutti e verso tutto. L’unica evasione è rappresentata dalla sua storia “d’amore” con una suora malese, che però rimarrà un aborto di relazione in quanto completamente fisica e mai addolcita da momenti di romanticismo. Vediamo che la privazione del linguaggio per questo rapporto è un sintomo evidente della sua negazione, di fatto il solo momento in cui il legame trascenderà i limiti della diversità (fisica del nano) e della morale (per ciò che concerne le suora ) sarà prima della partenza di quest’ultimo quando ella gli donerà un foglio di carta di riso con una poesia scritta in ideogrammi. E ancora la non comunicabilità viene riproposta in questo semplice dono, il nano Memerte conserverà gelosamente per tutto il tragitto la sua poesia non facendone mai parola con nessuno.

Ad ogni modo la scena che ci si presenta, ai limiti del grottesco, può condurci ad analisi molto interessanti. Innanzitutto il leader di questa compagnia: il babbuino Epistola, temuto per la sua aggressività e rispettato per il suo carisma, è riconosciuto da subito come il capo ed è lui che, istintivamente, decide di intraprendere questo viaggio verso una “terra promessa” mai annunciata ma fortemente sentita. Proprio questa componente istintuale e avulsa dal razionalismo scientifico caratteristico della società appena distrutta, è il motore dell’azione. Non più un progressismo ideologico e ponderato, ma un’ascensione comune verso un mondo altro. Ed è proprio per questa ricerca di innovazione che troviamo una scimmia e quindi (nella scala evolutiva) un diretto antecedente dell’uomo, a detenere il comando. Oltre al primate, il gruppo è composto da Roboamo: straordinario elefante parlante che cita a memoria la Divina Commedia. Questo personaggio ha molteplici funzioni all’interno del romanzo. In primis, l’animale ha sempre rifiutato di mostrare la sua dote agli uomini del circo, onde evitare di essere “commercializzato”, evidente la critica della cultura di massa che fagocita ogni diversità all’interno degli schemi predefiniti della società. Inoltre il pachiderma rappresenta la memoria collettiva di una cultura antica che, deformata attraverso le sue citazioni (spesso imprecise) si ripropone, cercando di auto-salvaguardarsi e di sfuggire al deterioramento impostogli dall’uomo. Ovviamente poi, la Commedia non è una scelta casuale, come detto, il romanzo ripropone in filigrana lo schema dantesco del cammino di espiazione verso la “salvezza”, passando per diverse analogie: la lotta con degli animali selvaggi (cfr, le fiere ) e con il nemico finale (Lucifero) il governatore Moneta, di cui parleremo in seguito. In fine, a chiudere la compagnia troviamo l’oca Plan Calcule un pennuto dalle straordinarie capacità matematiche, reminescenza di quel sapere tecnico sul quale il mondo precedente era edificato.

Il racconto si arricchisce anche di alcune storie parallele come quella dell’imitatore del canto di tutti gli uccelli aiutante dei quattro ma tenuto a distanza per volontà del babbuino, che avrà un ruolo fondamentale nella sconfitta del nemico finale. A questo punto non resta che parlare dell’antagonista principale il Governatore Moneta. Come si evince chiaramente dal nome, l’uomo in questione diviene figura di un nemico che è reale al di fuori del romanzo: si tratta della critica assoluta del sistema capitalistico. Difatti quest’uomo sopravvissuto non è un vero “cattivo” nel senso canonico del termine, ciò che vuole è portare tutti con sé sulla sua navicella per colonizzare un mondo nuovo e riformare la società distrutta. Ma è proprio qui che si pone il problema fondamentale a livello critico: ciò che l’autore vuole dirci è di rompere con i vecchi schemi, di smetterla di riproporre sistemi elitari e basati sullo sfruttamento del prossimo. Proprio a questo proposito il punto di partenza per la fondazione di una società nuova è lo scontro tra il babbuino e il Governatore: i due opposti ma speculari, annientandosi a vicenda, permettono al resto del gruppo di “evolvere” verso un mondo nuovo.

Non dimenticando mai il contesto in cui questo romanzo viene scritto e pubblicato, possiamo vedere che il messaggio veicolato dal testo si allontana radicalmente sia dalle concezioni intellettualistiche della rivoluzione democratica che dalla violenza sub-ideologizzata assunta come spauracchio dai detrattori dei movimenti sociali. Bensì Volponi parla di un concetto nuovo di comunitarismo basato sulla condivisione e sulla rottura (soprattutto ideologica) con gli schemi del passato, in questo caso della società borghese del dopoguerra. Sintomatico il fatto che in conclusione del libro il nano, che ormai sembra assumere una natura quasi proto-umana, decide di svelare il suo tesoro più grande (la poesia), di dividerla in tre parti e di mangiarla con gli altri, restituendo così all’oggetto piena funzione utilitaristica e svuotandolo del suo valore di residuo di una concezione avita di possesso: attraverso questa “comunione” pagana la neo-comunità si avvia verso la condivisione del nuovo mondo.

Recensione di Sabato Angieri

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