Da Jacopo della Quercia a Donatello. Le Arti a Siena nel Primo Rinascimento.

COR MAGIS TIBI SENA PANDIT (Siena ti apre il suo cuore più ancora della porta che attraversi). Assumono nuovo significato le parole incise nelle pietre di Porta Camollia a Siena ora che la città schiude i suoi scrigni con una ricchissima rassegna dedicata all’arte del Primo Rinascimento. Proprio sull’Antiporto di Camollia, aperto sulla via Cassia in direzione di Firenze, Simone Martini (Siena, 1284 – Avignone, 1344) aveva dipinto una Assunzione della Vergine davanti alla quale amava sostare in preghiera Bernardino da Siena, ancora adolescente. Più volte restaurata, la pittura murale che pure non si è conservata, era una delle immagini maggiormente riprodotte e più significative della identità civica senese.

Alla eredità del Trecento è infatti dedicata una sezione, punto di partenza ideale della mostra, volta a mettere in evidenza la continuità dei pittori senesi del primo Quattrocento, con la grande tradizione del secolo precedente. Nello spazio centrale degli ambienti del magnifico complesso di Santa Maria della Scala, ad accogliere il visitatore vi è la Natività della Vergine di Pietro Lorenzetti. Per la sua originaria posizione sull’altare di San Savino, uno dei quattro dedicati ai santi protettori della città che facevano corona alla Maestà di Duccio in Duomo, l’opera è per lungo tempo modello da imitare, come dimostrano le riproposizioni di Paolo di Giovanni Fei e soprattutto quella proveniente da Asciano, del misterioso e incantevole Maestro dell’Osservanza, che costruisce la scena sacra in uno spazio prospettico ingenuo chiuso sul fondo d’oro, dove i personaggi si muovono circospetti fra tanti dettagli d’ambiente, quasi come in una casa di bambole.

B3_Maestro_dell_Osservanza_Asciano_P_Corbori_Nativita_della_copie.jpg

Maestro dell’Osservanza, Natività della Vergine

Ancora all’Annunciazione di Simone Martini, si ispira la pala di San Pietro in Ovile di Matteo di Giovanni, copia fedele del prototipo, con l’idea più volte ripetuta dell’atteggiamento ritroso e turbato della Vergine, richiamato persino da Bernardino da Siena che nelle sue prediche si rivela vero esegeta dei dipinti più in vista della città e nello stesso tempo eccezionale interprete della devozione popolare e del sentimento di appartenenza suscitato per secoli da queste immagini.

B8a_Pala_di_S_Pietro_a_Ovile_Matteo_di_Giovanni_Annunciazion_copie.jpg

Matteo di Giovanni, Pala di San Pietro a Ovile

Opportunamente ricordata da una tela stampata, si ripropone la perduta Assunzione di Sassetta, andata distrutta nella seconda guerra mondiale, anch’essa ispirata alla già ricordata pittura di Porta Camollia. Il soggetto tante volte imitato dai pittori senesi è richiamato qui dalle versioni di Giovanni di Paolo e Francesco di Vannuccio.

Tra il 1423 e il 1425 Gentile da Fabriano aveva dipinto in Piazza del Campo, davanti al Palazzo dei Notai, la Madonna dei Banchetti, così chiamata per la vicinanza con i banchi dei notai che la commissionarono. Andata perduta, sono solo le più antiche fonti letterarie a ricordarla, e ora anche nuove scoperte documentarie ne precisano i tempi di esecuzione, ma l’opera segna per gli artisti senesi una svolta assai congeniale al gusto locale chiamato a misurarsi con sorprendenti effetti pittorici, gli stessi che fecero di Gentile il più celebrato pittore del suo tempo. La Madonna dell’Umiltà proveniente da Pisa (1420 circa) ne ricorda i virtuosismi. Ed ecco allora la svolta di quei pittori che propongono una nuova idea di Rinascimento “umbratile” come il raro, incantevole Sassetta di cui si ricostruisce qui la sequenza delle storie di predella del trittico dell’Arte della Lana (1423-24), che da sola vale una visita alla mostra

C11B_copie.jpg

Sassetta, San Tommaso in preghiera davanti a un polittico

C11c_copie.jpg

Sassetta, Un miracolo dell’Eucarestia

o i frammenti del gran Crocifisso di San Martino fatto a pezzi “per far porte” dal parroco nel 1820, dove oltre ai drammatici dolenti, si ammira la scena del santo che divide il suo mantello con il povero, già consapevole dei nudi di Masaccio alla Cappella Brancacci. E’ ricostruita quasi per intero anche la pala di Sant’Antonio abate ancora del Maestro dell’Osservanza sul 1440, dove le scene della vita del santo sono ambientate in paesaggi infiniti, declinanti verso luminosi orizzonti.

C29e_copie.jpg

Maestro dell’Osservanza, Sant’Antonio Abate tentato dal monte d’oro

E se Domenico di Bartolo, messo in sequenza con le più o meno contemporanee opere dei prospettici fiorentini Luca Della Robbia e Filippo Lippi, mostra la sua personalissima ricezione del nuovo linguaggio con la Madonna della Umiltà (1433), lo stile del Maestro resta poi ben documentato anche dalle sovraffollate scene affrescate sulle pareti del Pellegrinaio, la corsia dei malati dove insieme a Lorenzo di Pietro detto il Vecchietta e Priamo della Quercia celebra le “opere” che ogni giorno si compiono fra le mura dell’ Ospedale cittadino, raccontando una stagione alta di civiltà che investe tutta la città e il suo sentire.

A seguire il percorso stabilito dai curatori della Mostra si entra nel vivo del tema proposto attraverso l’ampia sezione dedicata a Iacopo della Quercia, lo scultore senese, celebre per l’insuperato monumento funebre di Ilaria del Carretto nel Duomo di Lucca; se ne espongono opere di esordio come la Madonna della Melagrana di Ferrara, ed è possibie seguirne lo sviluppo, tutto racchiuso nell’alveo ondeggiante del gotico cortese nel segno di Ghiberti, fino all’incontro folgorante con Donatello. Ritornano da New York e da Londra i disegni per la Fonte Gaia, ed è con particolare soddisfazione che è possibile confrontare questi fogli tanto discussi con gli stessi marmi della Fonte Acca Larentia e Rea Silvia, la Temperanza e la Cacciata dal Paradiso terrestre, oggi restaurati e conservati permanentemente proprio negli ambienti di Santa Maria della Scala.

A14a_copie.jpg

6. Iacopo della Quercia, Progetto per la Fonte Gaia, 1409

A18a_copie.jpg

Iacopo della Quercia, Acca Larentia, 1414-1419

A18b_copie.jpg

Iacopo della Quercia, Rea Silvia, 1414-1419

Procedendo più oltre si resta sorpresi dalla sala poligonale, concepita come una moderna istallazione dove l’Angelo e la Vergine, gruppi lignei usciti dalle mani di Iacopo della Quercia, Francesco di Valdambrino, Domenico di Niccolò “dei cori”, con grazia indicibile dialogano muti in quel colloquio misterioso e amoroso ad un tempo che segna l’inizio di una nuova era. Si gusta, in questa veduta d’insieme, il ritmo dei gesti variati: sorpresa, sgomento, paura… Risalta persino l’astrazione dorata della ridipintura seicentesca nel gruppo scolpito da Iacopo della Quercia

A31_copie.jpg

Iacopo della Quercia, Angelo Annunciante

A31bis_copie.jpg

Iacopo della Quercia, Vergine Annunciata

che giunge a vertici di pura bellezza in quello per la collegiata di San Gimignano, nella indimenticabile classica solennità dell’angelo Gabriele, nello scatto allungato di Maria, bellissima fanciulla.

E se gli spiritelli danzanti di Donatello impreziosiscono ora una delle Sale della Mostra, non può mancare una visita al Battistero, dove sotto le volte affrescate si innalza il raro Fonte Battesimale che raccoglie le formelle di Lorenzo Ghiberti, Jacopo della Quercia, Giovanni di Turino e Donatello che grandeggia nel celeberrimo Banchetto di Erode consegnato nel 1427, punto di riferimento obbligato per le nuove generazioni di artisti senesi.

Nei suggestivi ambienti della cripta del Duomo, un po’ distratti dai resti monumentali degli affreschi duecenteschi dalle vivaci policromie, si continua a seguire il discorso già iniziato incontrando oggetti spiccatamente segnati dalla stagione del gotico cortese come i cassoni nuziali in pastiglia dorata, e soprattutto una serie di splendide oreficerie. Fra queste è possibile vedere riuniti il reliquiario (dalla Galleria Nazionale dell’Umbria) e la testa-reliquiario di Santa Giuliana, oggetto di considerevole qualità oggi a New York.

Entro incongrui archi gotici a mattoni che ne esaltano il pregio, sono collocati i tre busti di Sant’Antonio abate, Santo Stefano e Santa Cristina, provenienti dal famoso “tesoro“ dell’Ospedale di Santa Maria delle Scala e realizzati da orafi senesi per contenere le reliquie acquistate nel 1359, provenienti dalla cappella imperiale di Costantinopoli. Croci, turiboli, pissidi smaltate testimoniano di una stagione felice che sembra culminare nel reliquiario della cappa di san Bernardino e nella più “moderna” teca del braccio destro del Battista. Anche in questa sezione non mancano opere fortemente significative dell’universo simbolico della città, come la Lupa con i gemelli di Giovanni e Lorenzo di Turino collocata in origine dinanzi al Palazzo Pubblico, o oggetti rari come il tabernacolo per il cero pasquale della cappella dei Signori, eseguito in legno dorato a imitazione di una più preziosa oreficeria.

Oltre questi spazi, fra mura, strade e botteghe, piazze, chiese e palazzi continua l’invito di Siena alla ricerca dei luoghi che hanno generato e a lungo ospitato tanti capolavori.

17_copie.jpg

Maestro dell’Osservanza, Elemosina di Sant’Antonio ragazzo

Maria Rita Silvestrelli

Docente di storia dell’arte all’Università per stranieri di Perugia

***

DA JACOPO DELLA QUERCIA A DONATELLO. LE ARTI A SIENA NEL PRIMO RINASCIMENTO.
Uno straordinario percorso espositivo che porta il visitatore in diversi ambienti tra i più suggestivi della città: Santa Maria della Scala, Duomo, Cripta e Battistero, Museo dell’Opera della Metropolitana, Museo Diocesano e Pinacoteca Nazionale.

dal 26 marzo all’11 luglio 2010
a cura di Max Seidel
catalogo Federico Motta Editore

Article précédentLa Brebis galeuse d’Ascanio Celestini: l’ »ordinaire folie » de la consommation
Article suivantL’immondizia è tornata nelle capitali del sud.
Maria Rita Silvestrelli
Rita Silvestrelli è docente di Storia dell'Arte presso l'Università per Stranieri di Perugia.