My Awesome Mixtape, ovvero la musica italiana da esportazione

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Sono stati una delle sorprese del 2008, e a fine 2009 sono tornati all’attacco con il nuovo album “How could a village turn into a town”. Sono i My Awesome Mixtape, capaci di spaccare il mondo indipendente italiano con “My lonely and sad Waterloo”, accolto da una parte come una sorpresa e una botta di vitalità nel mondo indie, da altri come l’ennesima bolla di sapone spinta a palla dall’essere “fratello di” (Maolo, leader dei Mam è, infatti, il fratello di Emilio dei Settlefish). Lasciando da parte il gossip e le parentele e concentrandoci sulla musica, che alla fine è quella che conta. I Why? italiani, leader del movimento Anticon made in Italy, così sono stati spesso definiti (e non a torto), come ammette lo stesso Maolo a cui abbiamo fatto qualche domanda, ma alla fine è e rimane un’etichetta.

Quest’ultimo diciamo che non si allontana tantissimo dall’esordio, diciamo che ne è una naturale evoluzione, anche perché i ragazzi sono cresciuti anche anagraficamente come sottolinea lo stesso leader del gruppo che ci tiene come ha sempre fatto a ribadire il respiro internazionale che il gruppo vuole avere: “il progetto più ambizioso per ora è quello di suonare il più possibile fuori dall’italia raggiungendo luoghi che per noi fino a qualche tempo fa sembravano quasi da rivista”…

Ma lasciamo la parola a Maolo

Finalmente il nuovo album, come è stato lavorarci dopo mesi e mesi di polemiche, critiche, prime pagine etc?
In verità nei mesi passati in studio tutto abbiamo pensato fuorché le prime pagine e le polemiche… il minimo comun denominatore era quello di stare rinchiusi in studio il tempo necessario affinché uscisse fuori un bel lavoro, ragionato in ogni minimo particolare e che ci soddisfasse pienamente.

Dopo le sconfitte e le delusioni, tocca alla città. Perché il bisogno del concept?
Non è un vero e proprio bisogno… non è una cosa troppo meditata l’idea di concept… sono pensieri tutti incentrati su un unico argomento… un po’ come se alla stesura dei testi di « how could a village turn into a town » fosse uscito tutto di getto e in una sola gittata…il concetto dietro a questo disco, come per quello precedente, lo sento tremendamente vicino al mio modo di vivere quotidiano; all’epoca c’erano le pene d’amore ora c’è il camminare per la città e notare alcune cose, soffermarsi e scriverle.

Come è cambiato il modo di lavorare in questo disco che è più corale?

E’ appunto più corale perchè in coro si è realizzato. A differenza di My lonely and sad Waterloo, questo disco è opera di 5 persone che hanno condiviso 5 lunghi mesi della loro vita rinchiusi nello studio dell’amico Bruno Germano (Settlefish) e assieme a lui hanno pensato come migliorare 12 bozze per farle diventare veri e propri brani.

I testi. I tanto vituperati testi (quando scatta la polemica, spesso scatta su quelli). Che pensi delle critiche che ti sono piovute addosso? Hanno influito sul modo di scrivere e lavorare? Pensavo a un cambiamento radicale in base ad alcune cose che avevi detto (avevo letto), ma mi sembra più un passaggio graduale…

Realisticamente le più forti e crude critiche nei confronti dei My Awesome Mixtape più che sui testi sono piovute sull’immaginario che evocavamo e sul fatto che abbia i capelloni ricci e gli occhiali squadrati… difficilmente le critiche si sono soffermate sui testi, per non parlare della musica se non per l’inevitabile etichetta (che molto probabilmente non ci leveremo mai) di essere gli why? italiani. Inerentemente ai testi non credo siano la chiave del nostro cambiamento; sicuramente rispetto al primo disco sono cambiati, anche proprio per una questione di età: alla stesura dei primi testi avevo 19 anni, ora vado per i 24 e diciamo che qualcosa è cambiato, ma non credo che la chiave del nostro cambiamento siano i testi.

Quanto hanno contato e quanto contano le critiche (in senso generale, non solo negativo) che vi vengono fatte?

Non credo ci siano critiche in senso positivo o in senso negativo… ma credo che le critiche abbiano tutte quante un proprio senso a sé stante e da tenere in considerazione; la critica degli sfigati poppettini che fanno musica da cameretta ce la siamo sicuramente chiamata anche noi… è anche vero che tutto non deve permanere sul sostrato superficiale dell’immaginario evocato.

Che spazio può avere « How could a village turn in a town » nel panorama italiano odierno?

Ecco questo non credo sia una domanda da porre a noi, quanto più ai nostri ascoltatori o addirittura in generale a qualsiasi fruitore di musica qui in Italia.

« A me non dà fastidio che l’Italia sia piccola. A me dà fastidio, fortemente aggiungerei, che sia un paese dove nessuno può vederci un futuro decente ». Una cosa sentita in parte anche da Appino degli Zen Circus. A questo proposito ti giro una domanda fatta anche a lui. In Francia esiste uno statuto, quello di artista, che dà dei vantaggi, come quelli fiscali ad esempio. Cosa vuol dire essere cantante oggi in Italia?

Questo tipo di « policy » per utilizzare un linguaggio volutamente più europeo sono comuni a tantissimi altri paesi… tu hai citato la Francia e io posso aggiungere il vicino Belgio o i freddi paesi scandinavi; tutti paesi 100 mila volte più avanti di noi che oltre a sancire sovvenzioni per qualsivoglia qualità artistica, danno anche alle proprie gioventù speranze e certezze sui loro piani di studio e formativi … in Italia essere cantanti non è molto esaltante, come del resto essere un sacco di altre cose in Italia non credo esalti particolarmente!

E quanto la società italiana influenza quello che avviene nel mondo della musica e, soprattutto, come credi che questo influisca su voi musicisti?

Su questo punto i m.a.m. si dividono e ammetto di essere abbastanza di parte nel rispondere a differenza del comune pensare, io a differenza degli altri sono sicuramente il più esterofilo e fanaticamente estremista su questo punto… quindi a questa risposta parlo come Maolo e come Maolo dico che purtroppo la società italiana deficita di tantissime opportunità che altri paesi invece per loro fortuna hanno. Sicuramente è una questione storica e sicuramente è anche colpa della geografia del nostro stivale, ma molto macchiavellicamente credo che la fortuna debba essere cercata, e sta alle genti quantomeno provare a cercarla.
Inerentemente alla musica ti basti pensare che difficilmente ragazzi stranieri conoscono la nostra musica, se non Pavarotti e la Pausini… ma grazie al cielo in Italia non ci sono solo loro.

Come mai secondo voi l’Italia non ha un rappresentante della propria musica all’estero che vada oltre D’Alessio, Ramazzotti, Pausini, Ferro? (penso che in Francia ci sono i Phoenix, tra gli altri, che hanno sfornato un album che anche fuori dalla Francia è andato molto bene)…

In realtà non è del tutto vero che l’Italia non abbia mai sfornato nomi che all’estero fossero noti… si parla chiaramente del passato; ma negli anni 80 gruppi come Negazione, Nabat e Raw power negli States godevano di una discreta fama nel loro ambito musicale, e tutti questi gruppi erano assolutamene italiani. Diciamo che ora i tempi sono cambiati, non credo siano più duri ma sicuramente cambiati
Se ti dicessi « Come ogni anno arriva la nuova musica italiana ma siamo già morti (…) » che mi risponderesti? (Non vale Linea77!)
Urca mi hai tolto le parole di bocca… e se ti rispondessi con un « arriva e non se ne va più ».

A questo punto è normale la domanda sulla vostra immagine europea. Siete uno di quei gruppi con una buona esperienza di live in giro per il continente. Immagino quindi che la vostra proiezione come band non si limiti a voler essere solo italiana, no? Avete in mente qualche collaborazione, c’è qualche progetto?

Mah il progetto più ambizioso per ora è quello di suonare il più possibile fuori dall’Italia raggiungendo luoghi che per noi fino a qualche tempo fa sembravano quasi da rivista… fortunatamente per andare fuori dai propri confini nazionali non è necessario essere in prima pagina e avere titoli su riviste specialistiche.

Francesco Raiola

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