Amnesty International premia Carmen Consoli per la canzone sugli abusi sui minori

Amnesty International premia Carmen Consoli per la canzone « Mio zio » sugli abusi sessuali ai danni dei minori


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Era un uomo distinto mio zio./Madre non piangere, ingoia e dimentica/Le sue mani ingorde tra le mie gambe”.

“Mio zio” è il titolo della canzone di Carmen Consoli che ha vinto l’ottava edizione del Premio Amnesty Italia, che premia “il migliore brano sui diritti umani pubblicato nell’anno precedente”.

Brava bambina fai la conta/Più punti a chi non si vergogna/Giochiamo a mosca cieca/Che zio ti porta in montagna”.

Stando alle cifre del Rapporto 2009 contro gli abusi on line e lo sfruttamento sessuale fatto da Telefono Arcobaleno, gli italiani sono ai primi posti per quanto riguarda la pedofilia su internet, ma il problema è ben più ampio. Una vergogna di cui siamo invasi in queste ultime settimane a causa degli scandali che stanno riguardando il Vaticano e gli abusi dei preti sui minori. Abusi che per la maggior parte dei casi avviene in famiglia o comunque nella cerchia intima di chi lo subisce: “Gli abusi hanno effetti devastanti sullo sviluppo psicologico e fisico delle vittime (…), cambiano la vita dei bambini – prosegue il rapporto – modificano il loro mondo interiore, alterano il loro modo di relazionarsi agli adulti e ai loro coetanei”.

« Mio zio« , che fa parte dell’ultimo album della cantantessa catanese “Elettra”, è, per usare le parole di Christine Weise, presidente della Sezione Italiana di Amnesty International “una canzone che fa gelare il sangue nelle vene”, una canzone che racconta l’adescamento da parte dello zio di sua nipote, ma lo fa raccontandone il funerale: “Ho messo il rossetto rosso in segno di lutto/E un soprabito nero (…) Adesso sta in grazia di Dio”. Il funerale dell’aguzzino tra flashback e l’ipocrisia che si cela dietro l’immagine della persona perbene.

Porgiamo l’estremo saluto ad un animo puro,/Un nobile esempio di padre, di amico e fratello”.

Mettere la testa sotto la sabbia è forse l’espressione migliore per spiegare quello che succede quando il sospetto di abuso cade su un familiare o su una persona cara: “Gli adulti spesso rimangono in silenzio quando costretti a guardare una cosa così sconvolgente come un abuso sui minori, hanno bisogno di non sapere, di non vedere” prosegue il rapporto, mettendo a referto un colpo duro verso chi dovrebbe difendere i minori, che spesso sono figli o nipoti.

40 milioni al mondo i bambini vittime di abusi stando a quanto scrive Save the Children, l’associazione che ne difende i diritti nel mondo. Uno sfruttamente che si perpetua nei paesi del terzo mondo, ma che ha una sua enorme fetta anche nei paesi più sviluppati – il 60% dei pedofili è europeo – dove le nuove tecnologie hanno permesso uno sviluppo diverso di questo fenomeno: quasi 50000 siti di pedopornografia, 135 in più ogni giorno con 20 nuovi gruppi pedofili che nascono sui social network. Lungi dal voler gettare una croce su un mezzo che in molti addirittura candidano a Premio Nobel per la Pace, il rapporto sottolinea come internet abbia “aiutato a svelare la vera faccia del più deprecabile crimine della storia, un crimine terrificante e di una furia criminale immane” che ormai non può essere combattuto solo localmente, ma piuttosto con una sempre maggiore “cooperazione internazionale”.

Brava bambina un po’ alla volta/Tranquilla, non morde e non scappa/Giochiamo a mosca cieca/Che zio ti porta in vacanza./Brava bambina fai la conta/Chi cerca prima o poi trova /Gioiuzza fallo ancora /Che zio ti porta alla giostra

Proprio sul peso che la famiglia ha negli abusi ai minori si sofferma la Consoli nel ringraziamento ad Amnesty: “Ringrazio Amnesty International per l’assegnazione di questo riconoscimento soprattutto per una ragione: gli abusi sui minori si consumano in famiglia, molto in famiglia, troppo in famiglia. La famiglia è il luogo fisico e ideale nel quale dovremmo trovare sempre rifugio e protezione e invece diventa troppo spesso il teatro di mostruosità, un teatrino che tendiamo a nascondere dietro il perbenismo, l’ipocrisia, la menzogna, a discapito ancora di chi non sa e non può difendersi. Parlarne, parlarne tanto e apertamente è il modo migliore per sgretolare questo teatro dell’orrore. Grazie, Amnesty, per dare un megafono al grido di dolore dell’innocenza perduta!”

E sento il disprezzo profondo, i loro occhi addosso/Ho svelato l’ignobile incesto e non mi hanno creduto”.

Un altro dato che la cantante racchiude in due strofe che più esplicative non si potrebbe, risalta agli occhi di chi ha letto o ascoltato storie di abusi. La vergogna e la paura di non essere creduti. Il bambino, che è in una posizione di subordinazione rispetto all’”adulto”, spesso cede perché prima di tutto non capisce perfettamente a cosa va incontro e poi perché “tende ad obbedire alle richieste degli adulti anche quando non sono forzati”, che è uno dei motivi per cui si arriva alla non denuncia, anche perché, dice ancora il rapporto, “non lo capiscono e non sanno che parole usare. Per non soffrire le inaccettabili conseguenze di un abuso alterano le verità e rimuovono la paura”, ma ancora più sconvolgente è che a incidere definitivamente sulla scelta di non denunciare, non raccontare sono il senso di vergogna e di colpa portandoli a credere di “averlo provocato o meritato (…), perché hanno paura di non essere creduti, di essere giudicati, di essere puniti, di perdere l’affetto della propria famiglia, la paura che qualcosa di irreparabile possa succedere”.

Un inferno che spesso provoca ripercussioni che ci si porta sulle spalle per tutta la vita, un inferno che spesso addirittura si crede provocato (che poi è il meccanismo che si perpetua anche nelle violenze sulle donne) e che troppe volte non ha vie di fuga.

Un inferno che non può essere perdonato.

Ho messo un rossetto rosso carminio E sotto il soprabito niente In onore del mio aguzzino”.

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