Commenti agli Oscar 2018. Trionfa La forma dell’acqua, il palmarès.

L’Edizione numero 90 della notte degli Oscar ha visto vincere i film che trattavano temi d’amore, diversità, solitudine e guerra. La pellicola statunitense di fantascienza “The Shape of Water” (La forma dell’acqua) del regista messicano Guillermo del Toro, già Leone d’Oro alla 74. Mostra del Cinema di Venezia 2017 (un plauso ai selezionatori della rassegna italiana) che partiva favorita nelle nominations con ben 13 statuette, è quella che ha portato a casa 4 Oscar: miglior film, regia, colonna sonora (Alexandre Desplat) e scenografia (Paul D. Austerberry, Shane Vieau, Jeffrey A. Melvin).

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Guillermo del Toro è l’ultimo di una serie di registi messicani a ottenere le nominations agli Oscar. Prima di lui ci sono stati Alfonso Cuarón (“Gravity”, 2014) e Alejandro González Iñárritu (“Birdman”, 2015, “Revenant”, 2016).

Di “The Shape of Water” ha colpito la storia d’amore, nata da un’idea che il regista di film visionari (“La spina del diavolo”, “Il labirinto del fauno”, “Pacific Rim”) aveva da molti anni, ma che non era riuscito a realizzare fino a quando non è stato apprezzato dagli Studios hollywoodiani.

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Tuttavia “La forma dell’acqua” non è solamente una storia d’amore: tra i suoi ingredienti vi sono la Storia contemporanea (è ambientato durante la Guerra Fredda in un laboratorio segreto dove si svolgono esperimenti scientifici), la diversità: una ragazza muta dal cognome italiano, Elisa Esposito – interpretata dall’attrice Sally Hawkins – che fa le pulizie nel laboratorio e vive a causa del suo problema nell’isolamento e nella solitudine (come il suo vicino d’appartamento, Giles, un disegnatore di mezza età gay, interpretato magnificamente dall’attore Richard Jenkins) e poi soprattutto dall’essere acquatico-anfibio, che ricorda il personaggio del film “Il mostro della laguna” del regista Jack Arnold (1954). Tre personaggi, Elisa, Giles e l’essere acquatico, che si sentono soli, offesi, emarginati e contrastati dalle forze opposte di turno (la scienza cattiva, i russi, e soprattutto il cinico, ottuso e prepotente dell’establishment governativo, rappresentato magistralmente dall’attore Mike Shannon). Tuttavia sarà l’amore a trionfare; l’amore nella diversità.

Che poi è il tema di altri due pellicole che hanno ottenuto un Oscar: “Call Me by Your Name” dell’italiano Luca Guadagnino (miglior sceneggiatura non originale) e poi “Get Out” di Jordan Peele (sceneggiatura originale).

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Luca Guadagnino (Palermo, 10.08.1971) che si è fatto conoscere a Venezia (“The protagonists”, 1999; “Io sono l’amore”, 2009; il documentario “Bertolucci on Bertolucci”, 2013, e “A Bigger Splash”, 2015) con “Call Me by Your Name” (Chiamami col tuo nome”) fin dalla sua prima uscita lo scorso anno aveva riscontrato un notevole successo internazionale di pubblico e di critica che lo aveva portato ad ottenere ad Hollywood la candidatura a ben 4 premi Oscar. La storia è un adattamento realizzato dal regista e sceneggiatore statunitense James Ivory, tratto dall’omonimo romanzo di André Aciman. L’amore nella diversità è quello tra il giovane Elio (Timothéè Chalamet), un diciassettenne ebreo italoamericano, sensibile e appassionato di musica, che negli anni Ottanta trascorre le sue vacanze estive con la sua famiglia (il padre è un professore di archeologia) in una villa di campagna nel Nord Italia, e Oliver (Armie Hammer) un brillante studente americano che viene ospitato nella loro abitazione per preparare la sua tesi di dottorato. Lentamente in Elio crescerà una sorta di interesse, e poi di desiderio verso il giovane e corteggiato studente che lo porterà ad una scoperta della propria sessualità. La pellicola usa toni molto delicati per parlare di un tema come l’amore omosessuale. Non vi è nulla di morbosamente esplicito, ma tutto è giocato nel ruolo della cultura, degli affetti, dell’attrazione e del respingimento, in un continuo gioco di riflessi e di controluce. Forse la famiglia di Elio descritta nel film sembra troppo progressista e di mentalità intellettuale troppo aperta nel comprendere la passione del figlio per il giovane, tuttavia non siamo nemmeno nel mondo del regista Ferzan Ozpetek. La sceneggiatura dell’ottantanovenne Maestro James Ivory (che di amore, sensibilità e panorami italiani se ne intende dal momento che ha diretto “Camera con vista” nel 1985) è stata quindi premiata meritatamente con l’Oscar e una “standing ovation” in sala.

Per la sceneggiatura originale è stato quindi premiato il regista Jordan Peele per il suo film “Get Out” (Scappa) una storia di fantascienza che è anche una “black comedy” ambientata nell’attuale mondo “liberal” – brillantemente interpretata dall’attore Daniel Kaluuya – dove convivono temi come il razzismo e un nuovo schiavismo mescolato all’horror. Il regista e sceneggiatore newyorkese (classe 1979) al suo primo lungometraggio dietro la macchina da presa, ha raccontato di essersi ispirato a “La notte dei morti viventi” del regista George A. Romero, recentemente scomparso all’età di 77 anni.

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Amore e diversità sono presenti anche nel film cileno “A fantastic Woman” (Una donna fantastica) del regista e sceneggiatore Sebastian Lelio, premiato come miglior film straniero. Il film, prodotto da un altro regista suo connazionale, Pablo Larrain – sempre attento alle tematiche sociali – racconta di una donna “transgender” Daniela (l’attrice Marina Vidal) che deve lottare per difendere la propria identità sessuale contro i pregiudizi della società.

Diversità e amore sono anche nel futuro, come in “Blade Runner 2049” il film diretto dal canadese Denise Villeneuve, sequel ideale di “Blade Runner” (1982) di Ridley Scott. Il mondo dei pericolosi androidi con un’anima ideati dallo scrittore di fantascienza Philip K. Dick rivive in questa storia che ha come protagonisti Joe, l’Agente K (Ryan Gosling) e il redivivo Rick Deckard (Harrison Ford) in un mondo freddo, asettico, contaminato. La visionaria pellicola ha ottenuto due premi Oscar: per i migliori effetti speciali (John Nelson, Gerd Nefzer, Paul Lambert e Richard R. Hoover) e per la miglior fotografia (il veterano Roger Deakins). Dispiace per l’italiana Alessandra Querzola, candidata per questo film per la migliore scenografia, perché la giuria ha preferito gli allestimenti scenografici di “The Shape of Water”.

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Dalla scenografia passiamo ai costumi, dove hanno prevalso quelli curati da Mark Bridges per la raffinata pellicola di Paul Thomas Anderson “Phantom Thread” (Il filo nascosto) ambientata nel mondo dell’alta moda inglese del dopoguerra. Il rinomato stilista Reynolds Woodcock (l’attore Daniel Day-Lewis) ne domina la scena assieme a sua sorella Cyril (Lesley Manville). La vita e la carriera di Reynolds, accuratamente pianificate, vengono tuttavia stravolte quando questo finirà per innamorarsi della giovane e forte Alma Elson (Vicky Krieps). L’attore britannico Daniel Day-Lewis (classe 1957) già vincitore di tre premi Oscar come miglior attore (“Il mio piede sinistro”, 1990; “Il petroliere”, 2008: “Lincoln”, 2013) che aveva già lavorato con il regista Paul Thomas Anderson nel film “Il petroliere”, ha dichiarato che con questa sua ultima interpretazione ha deciso di ritirarsi dalle scene.

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Anche il tema della guerra ha segnato i premi degli Oscar 2018. In particolare la Seconda Guerra Mondiale con l’intervento della Gran Bretagna. Il film “Dunkirk”, co-prodotto, scritto e diretto da Christopher Nolan (“Memento”, “Insomnia”, la trilogia di Batman-il cavaliere oscuro,”Inception” “Interstellar)” racconta la drammatica evacuazione di decine di migliaia di uomini delle truppe britanniche e alleate dalla spiaggia francese nel 1940, circondate in quel momento dal soverchiante esercito tedesco che aveva invaso il territorio. La pellicola, divisa in tre capitoli (uno dei moli sulla spiaggia bombardato dai nemici, il viaggio per mare di una barca a motore che naviga in soccorso dei soldati verso le coste francesi, i duelli aerei in cielo) racconta lo sforzo e l’abnegazione di soldati, marinai civili e militari, e piloti di caccia Spitfire per portare in salvo i militari in ritirata. “Dunkirk”, costato più di 100 milioni di dollari come sforzo produttivo e di lavoro, ha ottenuto tre premi Oscar: miglior montaggio (Lee Smith), sonoro (Mark Weingarten, Gregg Landaker e Gary A. Rizzo), montaggio sonoro (Richard King, Alex Gibson).

Negli anni ’40 l’Inghilterra viveva il momento delle decisioni più sofferte. Le sorti del conflitto e il rischio di una disfatta militare come il sacrificio di molti soldati erano sul piatto della bilancia della guerra contro il nazismo. Ad incitare la nazione a un riscatto civile e militare è stato un leader politico, in quel tempo Primo ministro del Governo di Sua Maestà: Winston Churchill. A questa pagina difficile della Storia e allo statista che più ha rappresentato la forza di reagire al nemico è dedicato il film “Darkest Hour” (L’ora più buia) diretto da Joe Wright (“Espiazione”, “Orgoglio e pregiudizio”, “Anna Karenina”). Ad interpretare magistralmente il capo del governo nominato dopo le dimissioni di Neville Chamberlain è stato l’attore inglese Gary Oldman (classe 1958) al quale l’Academy ha assegnato l’Oscar come miglior attore. Il film ha ricevuto anche l’Oscar per il miglior trucco (David Malinowski, Lucy Sibbick e Kazuhiro Tsuji) per l’impressionante lavoro di trasformazione dell’attore (quasi dodici ore di make up ogni giorno) per renderlo uguale alla stazza e al volto dello statista.

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Un’ulteriore eccezionale interpretazione è stata decretata quella dell’attrice Frances McDormand per “Three Billboards Outside Ebbing, Missouri” (Tre manifesti a Ebbing, Missouri) pellicola scritta e diretta da Martin McDonagh, per il ruolo di Mildred Hayes, una madre divorziata, che vive a Ebbing, la località del titolo, alla ricerca della verità sulla morte violenta di sua figlia Angela. Un giorno, stanca perché le indagini della polizia locale si sono arenate, decide di affittare tre cartelloni pubblicitari in disuso sulla strada che porta in città, dove fa affiggere tre manifesti che accusano lo sceriffo di inettitudine e negligenza. Ciò farà scaturire una serie di avvenimenti che si ripercuoteranno sulla sua vita e sulla tranquilla cittadina del Missouri. La McDormand, già vincitrice di un Oscar come miglior attrice nel 1997 per “Fargo” dei fratelli Coen, con questa sua ultima ed eccellente interpretazione ha sbaragliato le altre attrici concorrenti come Sally Hawkins di “The Shape of Water”, Margot Robbie di “I, Tonya”, Saoirse Ronan di “Lady Bird” e Meryl Streep per “The Post”. Sempre per “I tre manifesti a Ebbing, Missouri” ha ottenuto per la prima volta la statuetta come miglior attore non protagonista Sam Rockwell. Nel film interpreta Jason Dixon, un violento e antipatico agente della polizia locale.

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Invece come miglior attrice non protagonista è stata premiata Allison Janey per il film “I, Tonya” diretto da Craig Gillespie basato sulla storia vera della pattinatrice statunitense Tonya Harding (nel film è l’attrice Margot Robbie) che nel 1994, durante i campionati americani fu al centro di uno scandalo. Venne accusata di aver attentato alla vita di un’altra pattinatrice sua rivale, Nancy Kerrigan attraverso il suo ex marito e la sua guardia del corpo. Le indagini portarono alle accuse della Harding come mandante e ciò la portò alla fine della sua carriera sportiva. Nel film Allison Janey interpreta il ruolo della madre terribile della pattinatrice. L’attrice Margot Robbie ha anche prodotto la pellicola.

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A concludere citiamo di nuovo il Messico, ma questa volta perché gli Oscar per il miglior film d’animazione e per le musiche sono andati ancora una volta a una pellicola statunitense targata Pixar “Coco”. Il lungometraggio diretto da Lee Unkrich e Adrian Molina, distribuito dalla Walt Disney Pictures, racconta il viaggio fantastico di un bambino dodicenne che sogna di diventare un musicista e che, dopo aver rubato una chitarra da una tomba, si ritrova a passare magicamente il ponte tra il mondo dei vivi e quello delle anime. Colori, suoni, canti e musiche tipiche folk messicane coronano la pellicola. Tra esse, spicca la canzone “Remember me”, di Ernesto De La Cruz che ha ottenuto la statuetta come miglior brano originale.

Nel complesso quindi, le previsioni dei premi sono state rispettate. Nessuna sorpresa, come non vi è stato nessun errore, come l’anno scorso, nella lettura dei premi come miglior film. A riparare all’imbarazzo della spiacevole “gaffe” dello scambio delle buste per “Moonlight” e “La La Land”, sono stati richiamati sul palco gli attori Faye Dunaway e Warren Beatty che hanno concluso la serata delle presentazioni. Appuntamento quindi agli Oscar 2019.

 

OSCAR 2018 – TUTTI I PREMIATI

Miglior film
The Shape of Water (La forma dell’acqua)

Miglior regia
Guillermo del Toro (The Shape of Water)

Miglior attrice protagonista
Frances McDormand (Three Billboards Outside Ebbing, Missouri)

Miglior attrice non protagonista
Allison Janey (I, Tonya)

Miglior attore protagonista
Gary Oldman, (Darkest Hour)

Miglior attore non protagonista
Sam Rockwell (Three Billboards Outside Ebbing, Missouri)

Miglior film straniero
A Fantastic Woman, di Sebastian Lelio (Cile)

Miglior film d’animazione
Coco (Lee Unkrich e Adrian Molina)

Miglior corto d’animazione
Dear Basketball (Glen Keane, Kobe Bryant)

Miglior sceneggiatura originale
Jordan Peele (Get Out)

Miglior sceneggiatura non originale
James Ivory (Call Me by Your Name)

Miglior colonna sonora originale
Alexandre Desplat (The Shape of Water)

Miglior canzone originale
Remember me, di Ernesto De La Cruz (Coco)

Miglior montaggio
Lee Smith (Dunkirk)

Miglior fotografia
Roger Deakins (Blade Runner 2049)

Miglior scenografia
Paul D. Austerberry, Shane Vieau, Jeffrey A. Melvin (The Shape of Water)

Miglior costumi
Mark Bridges (Phantom Thread)

Miglior effetti speciali
John Nelson, Gerd Nefzer, Paul Lambert e Richard R. Hoover (Blade Runner 2049)

Miglior trucco
David Malinowski, Lucy Sibbick e Kazuhiro Tsuji (Darkest Hour)

Miglior effetti sonori
Richard King, Alex Gibson (Dunkirk)

Miglior documentario
Icarus di Bryan Fogel

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Andrea Curcione
Andrea Curcione è nato e risiede a Venezia dal 1964. Laureato in Storia all'Università Ca'Foscari di Venezia, ama i libri, la scrittura, la fotografia e il disegno. Giornalista pubblicista, ha pubblicato alcuni racconti e romanzi noir di ambientazione veneziana. Si occupa soprattutto di critica cinematografica, ma per Altritaliani scrive anche di avvenimenti culturali e mostre di particolare interesse che si inaugurano nella città lagunare.

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