Il cinema sociale italiano a Venezia 74.

Nell’ultima Mostra del Cinema di Venezia c’è stata una presenza record di film italiani. Con il nostro Massimo Rosin segnaliamo alcune opere di taglio sociale che sono apparse particolarmente significative anche guardando alla nostra realtà attuale: BARBIANA ’65, la lezione di Don MILANI di Alessandro D’Alessandro e L’EQUILIBRIO di Vincenzo Marra.


Don Milani

A Venezia ci sono stati molti film italiani, ma alcuni di questi costituiscono un vero caso. Riportare in tempi di emigrazione ed emarginazione Don Milani, compiendo un’opera sulla memoria italiana troppo vaga e distratta, costituisce lo scopo meritorio di Alessandro D’Alessandri che con il suo documentario in lungometraggio “Barbiana ’65”, riporta in auge quel cinema di impegno e di “lotta” che sembrava essersi ecclissato.

Egualmente per il film del napoletano Vincenzo Marra, che ha tra i suoi riferimenti il cinema di Francesco Rosi. Il suo “L’equilibrio”, ci riporta ad un cinema da dibattito e riflessione, puntando, in modo originale, ad alcuni temi della nostra stringente attualità. Ma andiamo ad approfondire.

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BARBIANA 65, la lezione di Don MILANI di Alessandro D’Alessandro – documentario di 94 minuti.

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Cinquant’anni, tanti sono quelli passati dalla morte di Don Lorenzo Milani, prete scomodo dell’Italia dei suoi tempi, governo Scelba, e maccartismo negli States…
Di lui si sa tutto o quasi, ma capita che qualcuno tiri fuori qualche nuovo documento o video, come in questo caso, per far ritornare forte ed intenso, tutto l’interesse per lui – in realtà mai completamente dimenticato.

Barbiana, paese o forse solo un borgo, della Toscana, divenne, all’alba di quegli anni ’60 luogo di visite continue da parte di chi aveva intravisto nella sua opera pedagogica (insegnava nella scuola ricavata dalla sacrestia), la realizzazione di un processo rigenerativo di cui la scuola italiana aveva un grande bisogno. Il suo isolamento, in quell’anfratto collinoso, distante da tutto e da tutti, gli permise di realizzare una scuola che aveva come fondamento anzitutto l’alfabetizzazione dei suoi alunni (lì tra quelle colline molti erano i casi di abbandono della scuola dell’obbligo, spinti anche dalle famiglie che vedevano la scuola come una sottrazione al lavoro dei campi) e poi la consapevolezza che solo un adeguato sviluppo intellettivo e cognitivo avrebbe permesso ai suoi ragazzi di non farsi ‘calpestare’ nella vita.

E’ noto, a chi legge, che anche i migliori intenti finiscono sempre per essere stravolti. E da questi fraintendimenti non poteva certo essere escluso la grande opera di Don Milani. Ripreso dai suoi superiori, fu invitato più volte a cambiare registro e metodologie nella sua scuola, rea – a loro avviso – di creare coscienze sbagliate, ma, soprattutto, anticostituzionali.

L’arcivescovo di Firenze vide, infatti, in lui un potenziale istigatore alle rivolte e non certo un padre nel senso voluto dalla Chiesa.

E pure un Generale dal cognome tedesco, ma italiano, tale Bauer, lo accusò di vilipendio nei confronti della Repubblica: secondo lui, avrebbe istigato, ancor più, favorito nei giovani la disobbedienza civile, incoraggiando un numero sempre più elevato di giovani all’obiezione di coscienza.

L’obbedienza non è più una virtù – asseriva Don Milani, se obbedire significava assecondare le leggi, ma deprimere i diritti civili ed umani insiti in ogni uomo, fin dalla nascita.

Ecco perché di Don Milani e di Barbiana, allora, se ne parlò in tutta Italia. I suoi libri più importanti ebbero una diffusione vastissima. « Lettera ad una professoressa », il suo libro più famoso, quello che scosse gli animi per davvero, scritto coralmente coi suoi ragazzi, uscì postumo, a pochi mesi dalla sua morte, nel 1967.

Era reperibile nelle librerie, ma pure nei banchetti delle Feste dell’Unità a testimonianza dei dibattiti e della ‘rivoluzione’ didattico-pedagogico-storica che aveva prodotto quel suo modo di fare scuola.

Il Sessantotto era arrivato a Barbiana con qualche anno di anticipo: Don Milani, come tutti i veri intellettuali, aveva anticipato di decenni un nuovo modo di fare scuola, un modo che ancor oggi, mutatis mutandis, sarebbe ancora ben valido – come vien asserito nel documentario, la cui durata supera i 62 minuti.

E’ scandito dalle testimonianze di chi lo ha conosciuto in diretta e ne ha apprezzato il messaggio: il Procuratore capo di Firenze Deridda, Don Ciotti (fondatore di Libera), a cui vanno aggiunte le voci dei suoi allievi di allora. Il materiale inedito delle immagini è invece opera di Alessandro G.A. D’Alessandro.

Tra queste è importante ricordare l’omaggio filmato che ritrae Papa Francesco in visita ed in preghiera quest’anno sulla sua tomba, a 50 anni dalla scomparsa: un gesto di riscatto da parte di una Chiesa, fino a quest’anno, miope nei confronti di Don Lorenzo Milani. Speriamo lo si possa rivedere, a breve, nell’ambito dei prossimi palinsesti culturali della Rai.

(n.d.r. articolo redatto in collaborazione con Maria Cristina Nascosi Sandri.)

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L’ EQUILIBRIO di Vincenzo Marra

Interpreti: Mimmo Borrelli, Roberto del Gaudio, Francesca Zazzera, Autilia Ranieri, Paolo Sassanelli, Regia: Vincenzo Marra.

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« L’equilibrio », il nuovo film di Vincenzo Marra, riporta temi e vicende care al cinema d’impegno di qualche decennio fa. Qui si raccontano le alterne storie di due preti, a modo loro, coraggiosi nell’impegno pastorale e civile della comunità parrocchiale a cui sono stati assegnati. Il primo, Don Antonio, avverte moltissimo la difficoltà in cui si trovano i suoi parrocchiani allorché si trovano davanti ad un rischio mortale causato dal mancato smaltimento dei rifiuti tossici e radioattivi. Alcuni di loro si sono ammalati, e le morti si susseguono.

L’altro, Don Giuseppe, che subentrerà a Don Antonio, ha un coraggio diverso. Si accorge presto che, oltre al serio problema dei rifiuti radioattivi, una parte del quartiere è in mano a una banda di delinquenti organizzati. Ha saputo di un abuso sessuale fatto ad una ragazzina. La madre di questa, presa per una psicopatica, è disorientata e sembra non avere alcuna possibilità di risalire al fatto. Neppure Don Antonio, che conosceva la storia se n’era occupato. Ma Per Don Giuseppe questo è un reato che va punito.

Per lui salvare anche una sola vita, quella della ragazzina, è come salvare il mondo. Cerca e scova il luogo dei delinquenti, ma sarà una lotta durissima. Loro vivono del traffico di droga, togliere quei proventi sarebbe una sciagura peggiore dello spaccio stesso. Don Giuseppe, nonostante le minacce di morte, non demorde. Vuole portare via dal quartiere madre e figlia. Ci riuscirà, organizzandogli una fuga dal quartiere.

Nonostante ciò la sua presenza non è più gradita. I suoi superiore chiederanno a Don Antonio un rientro veloce alla sua parrocchia. L’ impegno pastorale di don Giuseppe non aveva dato alcun risultato ( le messe erano quasi disertate, la collaborazione con le suore aveva portato ad un innalzamento dello scontro verbale). Don Giuseppe se ne andrà a testa china, attraversando la chiesa proprio mentre Don Antonio sta celebrando la messa.

Fino a qui le vicende del film. Il resto sarà oggetto di un dibattito tra gli spettatori che lo potranno vedere nelle sale tra qualche settimana. « L’equilibrio », quella linea sottile che consente a chiunque di non sbandare, ha portato in evidenza la contrapposizione di due modi di essere chiesa. Ai due protagonisti, Mimmo Borrelli – Don Giuseppe, e Roberto Del Gaudio – Don Antonio, va riconosciuta la prova magistrale che hanno fornito.

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Massimo Rosin
Massimo Rosin nato a Venezia nel 1957. Appassionato di cinema, musica, letteratura, cucina, sport (nuoto in particolare). Vive e lavora nella Serenissima.

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