Sergi Pantaleone: un calabrese alla scoperta della “Patria degli italiani” in Argentina

Desidero condividere con voi il mio incontro/intervista a Buenos Aires con Sergi Pantaleone, autore del libro «Patria di carta» (Pellegrini Editore, 2012) e ex giornalista inviato di diverse testate italiane fra cui «La Repubblica», che ha dedicato ben nove anni della sua vita ad un’ambiziosa ricerca sul giornalismo d’immigrazione italiano in Argentina concentrandosi, in particolar modo, sul quotidiano «La Patria degli italiani».


Giulia Del Grande a Buenos Aires per le sue ricerche sull'emigrazione italiana in Argentina

Trovandomi di recente a Buenos Aires, ho avuto il piacere di imbattermi casualmente in Sergi Pantaleone, esperto del giornale «La Patria degli italiani». L’evento straordinario ha avuto luogo in una sala dell’Emeroteca della Biblioteca Nazionale Mariano Moreno dove mi trovavo per studiare il periodico; Pantaleone, notando «La Patria» aperta sul tavolo, mi ha chiesto subito chi fossi. Anche se non conoscevo il suo aspetto, ho capito presto che non poteva che essere il giornalista dal quale, qualche mese prima, avevo ottenuto informazioni su un corrispondente della «Patria». Insomma, dopo uno scambio di battute un po’ delirante (in cui non ci siamo detti praticamente niente se non che eravamo proprio noi) siamo andati a prendere un caffè, dandoci appuntamento per il giorno dopo presso il ristorante italiano «La Stampa» nel vivace quartiere di Palermo.

Immagino che a questo punto starete pensando: «Quanta italianità in una città del Sud America!». Per chi non lo sapesse Buenos Aires è stata una delle mete privilegiate dagli italiani durante l’emigrazione di massa tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento. La città però, oggi come allora, si presenta come un’affascinante mescolanza e fusione etnica-culturale di europei (spagnoli, italiani, francesi e tedeschi per lo più), indigeni, medio-orientali e soprattutto sud americani provenienti dai paesi limitrofi che vedono in Buenos Aires (nonostante l’inflazione, i bassissimi stipendi e il carovita) il luogo dove poter trovare un lavoro ma soprattutto seguire una formazione universitaria di alta qualità a basso costo (la Facoltà di Scienze economiche della città si dice essere fra le cento migliori al mondo) e dove poter approfittare di un ambiente multietnico, culturalmente vivace e decisamente al passo con i tempi.

Ritornando a Pantaleone, è stato al termine di un eccellente pranzo che la nostra chiacchierata sulla stampa italiana in Argentina ha avuto inizio; vi riporto una breve sintesi sperando che possa aiutarvi a capire meglio l’importanza dell’immigrazione italiana e di come influenzò l’evoluzione della stampa locale.

Sergi Pantaleone

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Giulia: Pantaleone, ci ricordi qualche dettaglio della sua carriera giornalistica…

Sergi: Tantissimi anni fa ho iniziato a lavorare alla redazione sportiva dell’ «Unità di Milano», ho proseguito poi al «Giornale di Calabria», nel 76 ho iniziato a lavorare come inviato speciale per «Repubblica» rimanendoci 29 anni e 5 mesi (fino al maggio 2005), dopodiché ho fatto per cinque anni il portavoce del presidente della regione Calabria concludendo infine la mia carriera. Contemporaneamente sono stato docente a contratto in storia del giornalismo e del linguaggio giornalistico all’Università…

Giulia: Qual è il motivo per il quale ha deciso di dedicarsi allo studio del giornalismo italiano in Argentina e quindi alla «Patria degli italiani»?

Sergi: Nonostante le mie frequentazioni argentine, risalenti alla fine degli anni settanta, non mi ero mai interessato alla tematica. Fu solo durante la scrittura di un libro sulla storia del giornalismo lucano che mi imbattei in Giuseppe Chiummiento antifascista, anticomunista e monarchico, molto interessante, che fu costretto a lasciare il giornale «La Basilicata» (da lui stesso fondato) divenendo redattore della «La Patria degli itaniani» in Argentina; fu così che mi recai nuovamente nel Paese ma con un altro intento: occuparmi di stampa italiana.

«La Patria degli italiani»

Giulia: Qual era il contesto socio-culturale dell’Argentina al momento della nascita della «Patria degli italiani»?

Sergi: Negli anni 70 dell’Ottocento, al momento della nascita della «Patria», ogni giorno sbarcavano nel porto di Buenos Aires migliaia e migliaia di italiani e più italiani arrivavano più giornali nascevano in Argentina come in Uruguay. Tuttavia c’erano già state esperienze di giornalismo a tutela della comunità italiana. Basilio Cittadini fondò «La Patria» nel 1876 e fu colui che diede un nuovo tono al giornalismo italiano in Argentina, apportando le conoscenze maturate all’interno della «Nazione italiana» e in diverse testate di “giornalismo di immigrazione” dell’epoca. «La Patria» divenne un contraltare del giornale «L’operaio italiano» (primo giornale con redattori anonimi). C’era fra le due testate una differenza sostanziale però: mentre quest’ultimo era legato alla monarchia, espressione quindi della legazione italiana di Buenos Aires, la «Patria degli italiani» era un giornale radicale e repubblicano che solamente dopo la proclamazione di Roma Capitale divenne un quotidiano più moderato, dovendo accettare l’ormai compiuta Unità d’Italia sotto la guida dei Savoia.

La Patria degli Italiani: così si chiamò il giornale diretto da Attilio Valentini dopo la sua morte, con la direzione di Gustavo Paroletti

Giulia: «La patria degli italiani» nacque con un altro nome se non ricordo male…

Sergi: Esatto, inizialmente fu semplicemente «La Patria», poi «La Patria italiana» (nome attribuitogli dai distributori per differenziarla dal giornale argentino «La Patria») e nel 1893, grazie al nuovo direttore Paroletti, scelto dallo stesso Cittadini durante una sua lunga permanenza in Italia, divenne «La Patria degli italiani».

La scelta nacque dalla necessità di Paroletti di rifondare il periodico (di cui divenne anche proprietario) perché l’editore Sommaruga (un mezzo delinquente scappato in Argentina perché inseguito dalla legge -anch’egli scelto da Cittadini) aveva coinvolto «La Patria italiana» in faccende che la misero seriamente a repentaglio. La rinascita del giornale per volere di Paroletti fu supportata da un nuovo investitore, Ferdinando Perrone, titolare dell’acciaieria Ansaldo di Genova, giunto in Argentina grazie allo stesso Cittadini con il quale poi però, una volta tornato nel Paese, chiuse ogni contatto…

Giulia: Finanziamento di Perrone, quindi, ma anche sovvenzioni locali, di piccoli e medi imprenditori immagino…

Sergi: Tutta la stampa italiana all’estero e in Argentina, in particolare «La patria degli italiani» (data l’importanza che assunse) non poteva che vivere grazie ai ricavati degli inserti pubblicitari dei grandi industriali italiani come dei piccoli bottegai!

Giulia: Cosa li spingeva a sovvenzionare la tiratura del giornale?

Sergi: Era una questione puramente sentimentale e patriottica che coincise con la grande emigrazione di massa degli anni settanta e ottanta dell’Ottocento… Anche se il primo giornale italiano in Argentina fu «La legione agricola» fondata da Giovanni Battista Cuneo, pioniere della stampa italiana di immigrazione nel Sud America (…)

I diverbi con la stampa francese di Buenos Aires

Giulia: Ho notato che fra «La Patria» e le testate giornalistiche francesi a Buenos Aires c’era una sorta di mutua vigilanza atta a sfatare le “calunniate” dette a danno dell’uno o dell’altro paese… Le risulta la dinamica?

Sergi: Quello di cui mi sono reso conto è che c’era una conflittualità fra le due comunità. Ad esempio Cittadini non poté sopportare alcune prese di posizione sul caso Dreyfus, mentre i francesi, generalmente, non perdevano occasione per denigrare questa “Italietta” che cresceva e che diventava non un’antagonista ma, inevitabilmente, sottraeva alla Francia parte della sua aura.

C’era in Buenos Aires una grossa comunità di francesi che riproduceva quindi i comportamenti tipici francesi (…) Non dobbiamo dimenticare che una delle pagine maggiori della «Patria» fu quella della morte del direttore Valentini (in sostituzione di Cittadini per un brevissimo tempo) che fu ucciso in duello proprio per questioni che vedevano contrapposte l’Italia e la Francia, sebbene non abbia informazioni chiare sulla vicenda.

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La matrice sentimentale e patriottica

Giulia: Come può essere definito il movente comune alla base della nascita di questi periodici?

Sergi: Tali giornali nascono con diversi fini e ben precisi: fare “da ponte” fra la prima e la seconda patria, quindi raccontare ciò che avviene in Italia e sostenere gli italiani in Argentina anche con informazioni pratiche come trovare un lavoro, recarsi da un medico, contattare un avvocato etc. (…) Nascono anche per tenere viva l’italianità e la lingua italiana come veicolo culturale.

Quando avviene infatti la crisi dei giornali di immigrazione? Quanto si realizza il processo di assimilazione linguistica dei migranti, come accadde in corrispondenza delle seconde e terze generazioni che, per l’appunto, iniziarono a comprare i giornali scritti nella lingua locale.

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Giulia: La lingua può quindi essere definita come il principale veicolo dell’italianità?

Sergi: Esattamente.

Giulia: Si può quindi dire che, al fine di proteggere la comunità, il giornale fosse obbiettivo nel trattare e riconoscere le difficoltà degli immigrati italiani in Argentina?

Sergi: Non bisogna dimenticare che il giornale si rivolgeva essenzialmente alle élites italiane in quanto il tasso di analfabetismo fra gli immigrati era molto alto (…) «L’italiano» era una cosa per snob, gli immigrati conversavano in dialetto fra loro. Gli interessi occulti che propagandavano questi giornali sono perciò quelli delle élites industriali, intellettuali e legati alla massoneria, espressione dell’Italia liberale di quegli anni che con le masse non aveva nulla da spartire ma che, però, svolgeva un ruolo importante di difesa sociale. «La Patria degli italiani» fungeva da difensore civico degli immigrati italiani che accadeva fossero vessati dalla polizia, derubati dai datori di lavoro, arrestati senza motivo… Allora questi giornali insorgevano prendendo le difese del popolo.

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Italiani e italianità in Argentina, ieri ed oggi

Giulia: Ho notato però che ciò di cui si parla spesso nella «Patria» è la facilità con cui gli italiani si adattarono al Paese rispetto ad altre destinazioni come il Brasile. Come se lo spiega?

Sergi: Sicuramente l’inserimento degli italiani nel Paese fu facilitato dalla presenza di una coesa comunità di italiani che organizzava numerose occasioni di incontro e confronto fra connazionali… (…) Ieri il presidente Mattarella ha incontrato gli italiani di Buenos Aires (ufficialmente gli italiani dell’Argentina) presso il Teatro Coliseo della città che ha una capienza di circa 1200/1300 posti (…) Ma vogliamo paragonare questo evento con l’arrivo negli anni venti del Novecento del principe Umberto di Savoia (corrispondente dell’attuale Presidente della Repubblica) quando almeno 100 mila persone lo attesero al porto e lo osannarono per le vie di Buenos Aires?

C’è una differenza enorme: nel primo caso c’era un’italianità viva ad attendere il Re mentre adesso si può giusto parlare di un’ “italianità di passaporto” finalizzata ad ottenere un facile accesso in Europa, soprattutto dopo la crisi degli anni 2000 con il “corralito” etc. quando la gente se ne andò altrove a cercare fortuna…

Giulia: Esiste quindi a quanto le risulta, un’emigrazione in uscita dal Paese?

Sergi: Da quello che mi risulta sì, anche se non è niente al confronto con gli inizi del XXI sec., e direi che comunque è compensata dall’immigrazione nel paese, in minima misura anche di parte italiana.

Giulia: Cosa crede che possa spingere al giorno d’oggi un italiano ad emigrare in Argentina?

Sergi: La curiosità, l’ambiente multiculturale, situazioni interessanti e un certo spirito d’avventura come poteva essere agli inizi… C’è anche chi semplicemente preferisce vivere nelle tranquille latitudini sud americane che nelle convulse situazioni italiane! (Risata)

Giulia Del Grande

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LINK INTERESSANTE: VIDEO RAI.TV – 2012

Presentazione- intervista del libro “Patria di Carta”, di Pantaleone Sergi (Pellegrini Editore, 2012, Cosenza)

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Giulia Del Grande
Giulia Del Grande, toscana di origini, dopo una lunga permanenza in Francia, dal 2018 risiede stabilmente a Copenhagen. Dopo aver ottenuto la laurea in Relazioni Internazionali ha specializzato la sua formazione nelle relazioni culturali fra Italia e Francia in epoca moderna e contemporanea lavorando a Bordeaux come lettrice e presso varie associazioni e istituti del settore, svolgendo, in ultimo, un dottorato in co-tutela con l'Università per Stranieri di Perugia e quella di Toulouse 2 Jean Jaurès. Collabora con Altritaliani dal 2016.

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