“Carta inceppata”: il governo Gentiloni spiegato ad un cinese

Un attento osservatore, Alessandro Campi, ha sollevato il punto su Facebook: come spieghiamo ad un cinese il governo Gentiloni? Sollecitati da un Ying Zheng a rispondere in merito alla durata dell’esecutivo, cosa diremmo? Certo, potremmo sempre ricorrere alla storia che siamo nella terra di Machiavelli, dove la congiura è elevata a forma di lotta politica.

Il governo Gentiloni

È un governo la cui durata dipende da: se i rottamati del Partito democratico riusciranno a rottamare il Rottamatore; se i grillini della Casaleggio Associati riusciranno a spiegarsi (tra loro) la differenza fra un ‘appartamento a mia insaputa’ e ‘una polizza a mia insaputa’ in modo che si abbia a fuggire lo essere sprezzato e odiato; se i secessionisti del Nord sapranno trasformarsi in sovranisti e nazionalisti del Centro prima che Alberto da Giussano torni a farsi vivo dalla leggenda. Ma nel mio caso dovrei spiegare a Ying, qualora fosse uno studente del corso di Scienza politica, perché, manuale del Mulino a fronte, continuo ad insegnarli la differenza tra regimi democratici, come in Italia, e non democratici, come in Cina. Con impeto d’orgoglio, però, gliela potrei sempre cantare così: dammi tre parole!

La trovata. Il governo Renzi è caduto perché, incaricato di fare le Riforme, aveva legato la sua sorte al risultato del referendum costituzionale del 4 dicembre. Per governare in Italia occorre avere la fiducia del parlamento su un programma politico. A fine legislatura, la formazione di un nuovo governo non era facile: quale coalizione era in grado di chiedere la fiducia e su quale programma? Ecco allora la trovata: il governo fotocopia! Il governo Renzi è caduto perché sconfitto sul programma delle Riforme? Bene, il nuovo governo può continuare sulla strada delle Riforme fino a quando c’è la fiducia del parlamento, ma senza il responsabile della sconfitta, ossia Renzi.

Non è la prima volta che in Italia si parla di governo fotocopia e, tra l’altro, anche in questo caso, come fu per lo Spadolini II, potrebbe finire con una ‘lite delle comari’ (ovviamente se la storia prima si presenta come tragedia e poi si ripete come farsa). Tuttavia il governo Gentiloni, in tutto simile al governo Renzi eccetto il capo, non è solo una fotocopia. Si tratta di una vera e propria trovata astuta di Ciro: Renzi simula la fuga, gli italiani se la bevono (complice il Natale), e i giudici costituzionali rendono necessario il compito di completare le Riforme (con una sentenza sulla legge elettorale che, benché auto-applicativa, genera l’esigenza di intervenire).

La legittimità. Nonostante tutti gli inconvenienti, le istituzioni politiche democratiche sono legittimate dal fatto che il popolo crede che meritano obbedienza. A tal fine non basta che il potere sia esercitato in conformità a una legge fondamentale, vale a dire la costituzione. In un regime democratico c’è bisogno anche di un consenso rinnovato periodicamente attraverso le elezioni. Il governo Renzi era legittimato dall’esito del terremoto elettorale del 2013, quindi ben oltre la fiducia della maggioranza parlamentare che lo sosteneva.

Di fronte alla incapacità del parlamento uscito dalle urne di risolvere un groviglio istituzionale, il presidente Napolitano aveva accettato di proseguire il suo incarico di capo dello Stato a condizione che il parlamento si fosse impegnato a sostenere un governo per le Riforme. Proprio per questo, caduto Renzi sulle Riforme, ci si aspettava che sarebbe stato soddisfatto il bisogno di rinnovare il consenso. Se tuttavia ciò non è avvenuto è perché si è temuta l’onda populista di protesta: quel 60% che ha bocciato la Riforma il 4 dicembre, rischia ora di compromettere la tenuta dei vincoli europei che nel 2012 il sistema politico incluse nella Carta per mantenersi ancorato all’Unione europea. La fotocopia Gentiloni si spiega con il fatto che un sistema politico risponde anche a imperativi di autoconservazione.

Il premier Gentiloni

Il timore. Il meccanismo di autoconservazione dei sistemi politici normalmente stabilizza le aspettative in società complesse. Ma in situazioni di crisi lo stesso meccanismo cessa di funzionare, poiché s’interrompe il processo di neutralizzazione dei dissenzienti.

Un funzionalismo auto-conservativo senza connessione ai valori democratici rischia di generare un sistema di legalità parlamentare che può ridurre la legittimazione politica. Il presidente emerito Napolitano, pur consapevole di tutto ciò, si è espresso contro il voto: “Nei paesi civili alle elezioni si va a scadenza naturale e a noi manca ancora un anno”, ha detto. Dalle parole di Napolitano traspare in realtà tutta la sua preoccupazione sul senso civico degli italiani. Il referendum del 4 dicembre non è stato prova della volontà del popolo di salvare la Carta, fermando le riforme di Renzi. Bensì del fatto che il processo di adeguamento della Carta alla costituzione materiale (ossia quella del vincolo europeo) si è inceppato. Il principale responsabile di ciò è Renzi, perché è fuori di dubbio che abbia forzato la mano sulle Riforme con le disposizioni combinate di legge elettorale e referendum costituzionale. Ma se la sua fotocopia continua a governare, il rischio democratico è alto, soprattutto se dovesse rompersi dall’esterno il vincolo europeo. Il custode della Costituzione dovrebbe prenderne maggiore contezza.

Emidio Diodato

Politologo, docente Università per stranieri di Perugia

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Emidio Diotato
Professore associato di scienza politica presso l'Università per Stranieri di Perugia

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