Giuseppe Acconcia e la figura del Viaggiatore in Liberi Tutti

“Liberi tutti”, sembra un grido rivoluzionario, invece è l’ultimo libro di Giuseppe Acconcia, scrittore e giornalista. È una raccolta di poesie, un inno al viaggio, che va alla scoperta di altre culture, alla ricerca della vera natura del viaggiare e del viaggiatore. Ce ne parla Luca Cenacchi.

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Giuseppe Acconcia è giornalista e corrispondente dal Medio Oriente, ricercatore per l’Università di Londra (Goldsmiths) e Bocconi. Ha lavorato anche per The Independent, Le Monde diplomatique e Rai. Nel 2015 pubblica la raccolta Liberi Tutti

che non rappresenta solo la somma delle sue esperienze e dei suoi viaggi, per dirla con le parole dell’autore, non è “mania di avventura, ossessione esotica, erotomania, intermezzo tra esistenzialismi[…]”, ma la necessità di delineare una figura ben precisa, quella del viaggiatore, oltre che un senso del viaggio in netta contrapposizione con le nevrosi accumulatrici delle società massificate.

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Chi è il viaggiatore? Acconcia delinea il viaggiatore come un sapiente che, sopra a ogni cosa, spinto dalla “fame di nuovo” pone la cultura intersecata a l’atto del viaggiare. Simmetricamente le intenzioni che più lucidamente affiorano nel libro sono due.

In primo luogo quella di fotografare e testimoniare quella parte del sostrato sociale degradato e degradante, che è il prodotto della mentalità inerte dell’uomo medio:

“Le sponde del fiume /separano due mari/da un lato/c’è vita,/animali, piante, uomini,/dall’altro c’è morte,/fetore verdastro di/discariche accanite”.

In secondo luogo, opponendo al suddetto degrado la figura di un viaggiatore-sapiente che da esso si distacca, descrivendo quindi la necessità di oltrepassare le barriere geografiche tanto quanto quelle culturali, non accontentandosi di soluzioni semplificatrici e riduttrici, ma abbracciando la complessità intrinseca del mondo in cui vive e che è cosciente di vivere nella sua pienezza:

“La volontà di vivere/ è capire il mondo, studiarlo”.

Queste due tensioni vengono amalgamate in uno stile colloquiale, talvolta nettamente narrativo, atto a rispecchiare l’esperienza giornalistica, in cui presente e passato vengono continuamente sovrapposte, creando un effetto straniante, ma funzionale.

Uno degli obbiettivi primari, che si può intuire appena finita la raccolta, è il tentativo di erodere un pensiero piatto, opponendo ad esso la necessità (e l’invito nascosto) di superare il frammento in cui si è rinchiusi per abbracciare il mondo nella sua totalità composta da molteplici sfaccettature.

Luca Cenacchi

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APOLIDIA

Un attimo fa ho trovato nelle mie tasche disordinate

le chiavi di un albergo

che ho dimenticato di consegnare,

Pietro ritornò trasformato da un solo viaggio

tanto da rivoluzionare l’architettura

della città costruita sugli scheletri,

mentre continui peripli intermittenti

resero l’uomo apolide

nel logico tentativo di sguazzare

il più a lungo possibile nel liquido amniotico

per sentire il corpo rinascere

ed imparare dai suoi errori.

Mentre alcuni ragazzi entravano nella metropolitana puntuale

alla ricerca della morte,

conferendo all’ingresso una forza esagerata,

come di impossibile suicidio,

altri vivevano in comune, segregati tra le montagne,

e con sguardi sbiechi trasformavano un luogo franco

in nevrosi di gruppo, rifugio alternativo per chi,

non trovando posto nel mondo, opponeva apolidia.

Alcuni si affannavano alla ricerca

di un lavoro qualsiasi,

abbandonate antiche velleità creative,

per sacrificare tutto alla dittatura della vita,

altri si immergevano in un lavoro lento,

perenne, immutabile, felicità: compagno e amiche,

sopravvivendo in minuscola sottocultura formata

da due persone, tenute insieme dall’identità di genere

più che da teste simili, che ripetevano punto per punto

le proprie ragioni per opporsi a quei fascisti

che avevano largo spazio negli uffici.

Alcuni trentenni si agitavano

e sospiravano nell’attesa del bambino

che completasse l’opera di rovesciamento

dell’infanzia vissuta a parte,

in perfetta aderenza con lo stile maggioritario,

per risolvere con efficacia l’insopportabile appartenenza ad una minoranza.

Badate, rimaneva la sensazione di aver scelto

una vita diversa dalle altre, apolide,

grazie alla conoscenza completa, specifica, acquisita lentamente.

Altri, più vecchi, raggiungevano cerchi

per passare il loro tempo coccolati

dalle domande incrociate e dalle certezze recitate,

come oratori esperti, per trovare conferme assolute

al lesbismo scoperto in età avanzata,

alle conversioni mistiche incomplete,

all’allontanamento dai piccoli conservatóri del mondo,

alla rinuncia al conformismo della velocità superficiale.

Già anni prima avevano tentato di concludere

questo lungometraggio, ma i protagonisti furono ritrovati

tutti morti poiché, per la prima volta,

realtà e piacere combaciarono per un istante,

ma la donna nuova, muovendosi nel tempo tra ieri e oggi,

ha salvato dalla morte una delle protagoniste di questa storia.

E così la misoginia è scomparsa.

Questo è stato l’inizio del regno delle donne

non importa se sembravano dee o puttane

perché ballavano e ridevano,

e quando la moglie ha confessato la verità

dell’antico assassinio con cacciavite,

la storia dell’apolidia è finita.

Però, continua nella mia testa,

descrivendo il mio tragitto verso l’omicidio

lento di ogni imposizione

tanto da gettare nell’abisso miti estetici fasulli

e scoprire la necessità di una specialità solitaria

poiché per Ande, Tibet e Panshir

qualche giorno non basta

e se nemmeno questo dovesse andare bene

sono pronto a rimanere solo

poiché anche se solo, in assenza di ogni rumore,

sento sempre il sibilo assordante di un acufene.

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Liberi tutti, Giuseppe Acconcia, Edizioni Oedipus , Collana ‘Intrecci’.

« Liberi tutti », sembra l’invocazione di un rivoluzionario, invece è il titolo di una raccolta di poesie che parte da spunti autobiografici per poi sfociare in riflessioni sull’era contemporanea. Un autore che conferma la propria trasversalità. Giuseppe Acconcia, corrispondente de « Il manifesto » e ricercatore per le Università di Londra e Pavia, è infatti stato tra i primi giornalisti occidentali ad entrare in una città controllata dagli islamisti radicali, scrivendo delle rivolte egiziane, e posto agli arresti al Cairo in piazza Tahrir e in Turchia dalle autorità di confine.

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Giuseppe Acconcia corrispondente dal Medio Oriente e ricercatore per l’Università di Londra (Goldsmiths) e Bocconi. Ha lavorato anche per The Independent, Le Monde diplomatique e Rai. Vincitore del premio Giornalisti del Mediterraneo 2013, ha pubblicato saggi tra gli altri con Palgrave, Il Mulino e The International Spectator. È autore de Il grande Iran (Exorma, 2016), Liberi tutti (Oedipus, 2015), Egitto democrazia militare (Exòrma, 2014), La primavera egiziana (Infinito, 2012) e Un inverno di due giorni (Fara, 2007)

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Luca Cenacchi nasce a Forlì nel 1990. Ha scritto prefazioni a raccolte di versi e redige la rubrica di poesia contemporanea Gli Specchi Critici in collaborazione con i blog FaraPoesia, Kerberos Bookstore e L’arcolaio (Forlì). L’articolo su Vito Santoliquido è apparso come contributo sul blog di letteratura e cultura Poetarum Silva e collabora col centro culturale con contributi critici, organizzando eventi culturali e presentazioni di libri di poesie e narrativa. Sue poesie sono apparse in antologie fra cui La mia sfida al male (Fara 2016). Nel 2016 è stato giudice presso il concorso Faraexcelsoir 2016.

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