La difesa del risparmio in un sistema bancario troppo complesso.

Nel corso degli anni la tutela costituzionale del risparmio è diventata sempre più complicata, per ragioni esterne ed interne. Ma lo Stato e la politica riescono ancora a tutelare ed incoraggiare il risparmio? Luci ed ombre di questo excursus storico che è di pregnante attualità.

Costituzione: art. 47: “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito. Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese”.

C’è riuscita e ci riesce ancora?

Sì, dopo che con la legge bancaria del 1936 seguita a quella del 1926 e con le successive integrazioni i meccanismi di riserva obbligatoria alla e vigilanza della Banca d’Italia hanno fondamentalmente evitato che i fallimenti, tipo quello del Banco Ambrosiano, s’estendessero a tutto il sistema; sì, sia prima del 92 quando l’attività del credito a breve termine era distinto da quella del credito a lungo termine ed erano distinti i rispettivi istituti per evitarne confuse sovrapposizioni; e così anche dopo, quando questa distinzione è venuta meno a causa della concorrenza europea e internazionale nel credito, e intanto per l’estensione sempre più ampia del risparmio nelle società quotate in borsa e sui fondi mobiliari era stata, sempre per l’impossibilità d’agire diversamente dall’estero, creata nel 74 la Consob come organo di vigilanza. Sì, inoltre, dopo il 98 con il passaggio dei poteri sostanziali dalla Banca d’Italia (e dalle altre banche centrali nazionali del sistema monetario europeo) alla Banca Centrale Europea e il passaggio del 99 all’Euro.

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E sì ancora, con gli ulteriori vincoli della Comunità Europea sulla politica del credito e gli ulteriori criteri di questa (stress tests) e della Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea da osservare. Sì anche quando il criterio delle riserve di valuta estera cui ricorrere per la difesa dei cambi è oscillato con questi dopo che nel 71 Nixon aveva posto fine a quello fisso del dollaro con l’oro o le altre unità di misura fisse seguite agli accordi di Bretton Woods.

No, invece, quando proprio alla mancanza del mantenimento dei cambi fissi era conseguita dopo il 71 quella del mantenimento della circolazione monetaria non più nei limiti d’un cambio stabile per cui, come reazione all’inflazione, i tassi d’interesse erano divenuti stratosferici rispetto alle variazioni intorno all’1% che oggi fanno riempire più i giornali e telegiornali di quanto possa la controversa politica monetaria. E ancora no quando l’inflazione d’allora aveva distrutto il risparmio in lire di tutti e il cambio specie di fronte all’acquisto del petrolio, il cui prezzo allora saliva, e delle altre materie prime provenienti dall’estero.

No, quando negli ultimi anni le banche, diventate “miste” ossia non più distinte per tipo di credito, governate da un consiglio d’amministrazione che o a livello di provincia è prevalentemente composto da politici e imprenditori di cui c’è da lodare lo sviluppo industriale, agricolo o complessivo fatto “in loco” ma con insufficiente competenza nel settore del credito, o che a livello più ampio rimane ancora composto, in parte, dai condizionamenti politici, oltre ad aver aumentato, per ragioni esterne, i “non performing loans”, che hanno sostituito principalmente l’attività di raccolta e impiego di danaro agli sportelli che non dà quasi più un margine d’interesse con attività ancora più “miste” delle nuove forme d’investimento. Ossia, da quando i conti correnti non rendono quasi più niente, proponendo propri e altrui fondi così distinti principalmente in azionari od obbligazionari o “misti”, o proponendo polizze assicurative perlopiù “miste”, o proponendo talvolta beni e servizi che nulla c’entrano con il credito, ma proponendo, in questa rincorsa, anche investimenti e obbligazioni subordinati solo all’impossibilità di vederne chiaramente le condizioni in assenza delle quali sono più attraenti per i rendimenti.

Ecco dunque che, nonostante il cliente abbia per la Direttiva europea MIFID del 2004 dovuto dichiarare preventivamente il livello della propria propensione al rischio e nonostante l’imposizione della lettura di tutte le caratteristiche del rispettivo prodotto, in questa rincorsa queste condizioni sono sembrate o sembrano altrettanto invisibili di quelle “a monte” che le determinano: situazione finché non la si vede della banca in questione e sviluppo dei vari contesti in cui opera.

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Quindi al Monte dei Paschi di Siena come per le banche Etruria, Marche, Veneto, Vicenza, le Casse di Risparmio di Genova, Cesena e Chieti e gli altri istituti nella stessa situazione la Repubblica tutela sì il risparmio avendo dapprima favorito la costituzione dell’ulteriore fondo interbancario di garanzia “Atlante” e con il fondo del decreto prenatalizio di 20 mld. per i loro aumenti di capitale, di cui oltre 5 per il Monte, ossia tutelando anche gli investitori ingenui delle obbligazioni subordinate (rendendo queste in parte convertibili in azioni poi eventualmente acquistabili dal Tesoro). Ma affinché non si corra il rischio d’insolvenza per cui la CE stabilisce il “bail in”, ossia la perdita della somma oltre 100000 EUR d’ogni correntista e degli obbligazionisti, questa capitalizzazione insieme alla necessaria conversione dei crediti subordinati deve essere considerata come preventiva, ossia sollecitata da una crisi sistemica secondo lo stress-test.

E sul sistema tocca avere ancora meno illusioni: ancora banche troppo piccole; e ancora banche che, pur destinate ai nuovi sistemi informatici, che ne ridurranno ancora il personale e gli sportelli, mentre implementeranno le applicazioni al telefonino, cosi dando ancora la precedenza alla parte commerciale piuttosto che a una maggiore fluidità organizzativa. E banche con persone che non meritano le conseguenze della prepotenza di coloro che non hanno saputo gestirle al passo con i tempi.

Lodovico Luciolli

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