La corruzione che ci somiglia.

Trent’anni fa, al servizio militare. In coda per prendere la cosiddetta “decima”, cioè la paga, la paghetta. A dare i soldi , il signor maresciallo. La caricatura del maresciallo. Con i baffi. Con il panzone. Il sergente Garcia di Zorro insomma. Mi dà i soldi. Esco dalla fureria e mi accorgo che c’è qualcosa non va. I soldi sono un po’ di più rispetto a quelli che mi aspettavo. Torno indietro. Maresciallo, c’è un errore. “Eh bravo furbo, ormai quelli che sono te li tieni”, mi investe il Maresciallo. “Uno i soldi li deve contare subito, qui davanti a me, sennò cosa ti credi, di essere l’unico furbo al mondo? Faremmo tutti così, usciamo, torniamo indietro piagnucolando, ah marescia’, qui ne mancano!”. Io: “ce ne sono di più rispetto alla cifra abituale”. Silenzio. “Di più?”. “Di più”. Prende la mazzetta, conta. “Ce ne sono di più. Ah. E come mai ce ne sono di più? Ecco sì, c’è l’indennità per il servizio di guardia prestato ai seggi a Catania”. Ah ecco. Mi ridà la mazzetta. E mi dice: “non ho mai visto una cosa del genere. Complimenti per l’onestà”. Complimenti per l’onestà, mi dice, ma lo si capisce da sé che mi considera un fesso, un idiota, un mentecatto, un poveretto, oppure (il che è peggio) uno che non ha bisogno, che sui soldi ci può sputare pur di fare bella figura. (Invece no. Fesso idiota mentecatto poveretto sì, mi ci riconosco; ma ricco no. Non c’avevo una lira).

Arriva il fascismo!

Il maresciallo, pover’uomo, se la godeva abbastanza. Assieme ad altri, nella vecchia caserma, partecipava alle spartizioni dei viveri. Andavi alla mensa e, ah, parmigiano? Non ce n’è più. E lo sai perché non ce n’è più, mi dicevano i commilitoni con certi sguardi furbetti? No che non lo so. Ma tu non sai mai un cazzo! Ufficiali e sottufficiali quando arrivano le scorte fanno la spesa e portano via tutto quello che c’è di buono. E a noi lasciano questo. Il peggio. E si raccontava della figlia del colonnello venuta a festeggiare i suoi diciott’anni alla mensa ufficiali con una festa pazzesca. Pagava Pantalone, e Pantalone era lo stato, e lo stato era il prossimo alibi. “Vedessi che pezzo di figa”, concludeva il commilitone dandomi di gomito.

Quelle per cui avevo fatto la guardia ai seggi erano state elezioni politiche. Il partito per cui votavo allora – il Partito Comunista Italiano anzi il piccì – aveva preso una sonora bastonata nei denti. Il 26%. Detto ora, sembra tanto. Ma aveva perso più di 3 punti percentuali e nella cosiddetta Prima Repubblica vincitori e vinti li si decideva in base alla tendenza rispetto alle elezioni precedenti. Uno che prendeva il trenta per cento ma perdeva magari un punticino misero percentuale passava per uno sconfitto. Un partito che prendeva il due virgola qualcosa, ma guadagnava un decimale, era un vincitore. La Democrazia Cristiana (di Ciriaco De Mita) aveva guadagnato qualcosina e si confermava primissimo partito. Ma questo poteva anche andare bene. Tanto ci eravamo abituati. A bruciare era soprattutto l’avanzata del PSI di Craxi, che aveva superato il 14% e guadagnato un paio di punti. Il segretario del piccì era Alessandro Natta, grande latinista ligure. Il PCI era il partito degli onesti. Almeno, si era sempre auto-proclamato tale.

Ho votato PCI da quando ho avuto il diritto di voto (1983) fino a quando quel partito, in quella sua forma, è esistito. Votavo PCI e non mi consideravo comunista – per la mia generazione il disastro del comunismo era già un’evidenza, credo; almeno, lo era per me. E allora perché votavo quel partito? Mah. Per ragioni di ordine psicologico (psichiatrico, forse) e politico. Il PCI davvero mi pareva un paese pulito in un paese sporco, come diceva quel caro belinone (belinone, cioè è un genovesismo. È affettuoso, familiare : sta per tontolone) di Pierpaolo. Pasolini, intendo.

Nel PCI c’erano padri. Figure di padri. Ingrao. Pajetta. Intolleranti, faziosi, settari : ma padri. O persone di cui amavo l’intelligenza. Emanuele Macaluso – e ancora adesso la ammiro, io, quell’intelligenza. C’era Miriam Mafai e quanto mi sarebbe piaciuto, fossi stato donna, essere Miriam Mafai! Avere quella forza della ragione, una ragione che non era però razionalismo, era lucido sentimento delle cose. Prima di Natta c’era stato Berlinguer. Berlinguer invece non mi ha mai affascinato. Era un monaco. Certo degno di stima. Ma non mi diceva nulla, Berlinguer. Il PCI incarnava l’integrità. PSI e DC erano per me, per noi, due fogne. Ma mi sbagliavo. Lo pensavamo per stupidità, ignoranza della realtà. Non erano delle fogne. Erano un’altra cosa. Non erano certo un esempio di integrità, ma non erano una fogna. Erano un misto delle due cose. Erano un pozzo che fissa il cielo, come dice Fernando Pessoa di tutti noi. Il PCI incarnava un’idea di integrità, ma nei fatti era anche un’altra cosa. Era l’oro di Mosca, era anche il corporativismo sindacale, certi scioperi fatti fare ad arte in fabbrica, in combutta con i padroni, per ridurre i costi nei periodi di pochi ordini da soddisfare.

Con pretesti planetari (« il Vietnam compagni! Il Cile compagni ») e nobilissimi a coprire interessi locali e poco nobili. Era la doppiezza togliattiana di cui Max D’Alema è prodotto purissimo, anche se un po’ vintage, un po’ fuori tempo, un po’ ridicolo anche. Fuori tempo massimo, appunto. Era mio padre che il primo giorno in una nuova fabbrica si sente dire: « qui lo spogliatoio, qui l’armadietto, qui la tuta, qui la tessera del partito e qui quella del sindacato ». « Quale Partito? Quale sindacato » « come quale? Il Partito. Il Sindacato », e mio padre corre a iscriversi sì- ma alla CISL, e a votare sì, ma il PSI. (E io per ripicca da quello giorno mi dico che devo votare PCI).

È bello essere onesti. L’onestà è una bella cosa. Ma non è mai patrimonio ed esclusiva di qualcuno. E la pretesa assoluta di onestà somiglia molto a un’ossessione autoritaria, al sogno di un universo concentrazionario. È necessaria, l’onestà, bella. Bisogna applicare la legge. Ma preferirei così, sobriamente. Pudicamente. Puppettianamente.

Pochi anni dopo, cambiò il mondo. Giù il muro di Berlino, e poi quello italiano, con Tangentopoli. E tutti a dire: dagli dagli ai politici cattivi! Anche il maresciallo, ci scommetto. Uno dei processi più emblematici fu trasmesso in televisione. Quello della bavetta di Forlani, potentissimo democristiano. C’era Di Pietro da una parte. Dall’altra parte un avvocato che si chiamava Spazzali. Di Pietro era il giustiziere che inchiodava finalmente i cattivi politici alle loro orrende responsabilità. Spazzali difendeva i cattivi.

Il pool di Manipulite.

A un certo punto mi resi conto di una cosa terribile. Culturalmente, antropologicamente, io mi sentivo più Spazzali di Di Pietro. Spazzali parlava di diritto, di garantismo, di presunzione di innocenza. Di diritto al giusto processo. Parlava di cose che sentivo mie. Di Pietro parlava di niente. Certo, aveva tante ragioni. Anzi, tutte le ragioni erano dalla sua. Però. Però Di Pietro non la raccontava tutta, la storia. Ne raccontava una parte. E allora io, in quegli anni, per anni, attesi una parola. La parola del segretario dell’allora PDS, erede del PCI, Achille Occhetto. Uno zombie con i baffi, come lo aveva definito Francesco Cossiga. Occhetto aveva i baffi (su questo Cossiga aveva ragione) ma non era affatto uno zombie. E io mi aspettavo che dicesse una cosina semplice semplice. E cioè più o meno questa: ragazzi, si è scoperchiata una pentola e quello che ne è uscito non solo non è bello, ma non è neppure nuovo, lo sapevamo tutti come funzionava, che il sistema politico si era progressivamente corrotto fino a diventare uno schifo irriformabile. E però (però) non date retta a chi vi dice che la Democrazia Cristiana e il Partito Socialista sono due fogne. Due associazioni a delinquere.

Non è vero. Democrazia Cristiana e Partito Socialista sono anche (anche) un’altra cosa. Sono il Comitato di Liberazione Nazionale assieme a comunisti e azionisti, sono Tina Anselmi e Martinazzoli e Riccardo Lombardi e Nenni e Sturzo e Matteotti porca miseria! Sono il cattolicesimo democratico che è andato in esilio pur di non cedere al fascismo e il socialismo che l’antifascismo lo ha pagato con la galera e la morte, e ha fatto lo statuto dei lavoratori e la legge sul divorzio, che se fosse stato per “noi comunisti”, (così avrebbe dovuto dire Occhetto secondo me) non ci sarebbero stati (perché anche allora, “ben altro compagni”, era il problema, c’è sempre un “ben altro” che giustifica ogni non fare). E allora adesso bisogna fare pulizia (così avrebbe dovuto dire Occhetto) con fermezza ma rispettando queste due storie che sono importanti anche per noi, anche se non sono la nostra, di storia.

E poi mi sarei aspettato da Occhetto anche un’altra cosa, e cioè che dicesse: compagni, guardate che ce n’è anche per noi. Berlinguer e Pasolini vi hanno raccontato che eravamo un paese pulito in un paese sporco ? Ebbene, non l’hanno detta tutta. Perché abbiamo preso i soldi da Mosca e d’accordo, era un altro mondo e tutto un complesso di cose, però il fatto resta. Abbiamo fatto anche noi , noi comunisti, tante cose che non andavano bene. E allora mentre separiamo il grano dal loglio, tendiamo anche la mano a quei due partiti che hanno fatto la democrazia in Italia, e guardiamo pure il loglio che c’è in casa nostra. Infine (ultima cosa): della corruzione del sistema partitico hanno approfittato non solo i politici ma in tanti tra voi cittadini.

Tra noi, cittadini. Rimborsi assicurativi gonfiati sistematicamente falsificando referti medici, tante tasse mai pagate, agevolazioni ottenute presentando una dichiarazione dei redditi miserella e del tutto falsa, posticini fissi ottenuti per il ragazzo che ciabatta per caso baciando la mano (e magari non solo la mano) del potente assessore, assenteismo impunito che permette di fare il secondo lavoro in nero. Cito solo esempi di casi di cui ho conoscenza diretta. Pratiche correnti in quegli anni. Un mio amico diceva: mica posso essere io l’unico fesso a cui non resta niente in mano, ti pare? E nel dirlo prendeva un’aria impettita, da galletto. Da uno che conosce il mondo, che l’ha capita. E ovviamente quello stesso mio amico, all’apparire di Mani Pulite, fu tra i più spietati e feroci a invocare pene esemplari per i politici corrotti, me lo ricordo con la bandierina, “forza Di Pietro mettili tutti dentro quei bastardi!”, e non voleva sentir ragioni.

Una persona che aveva avuto enormi favori (non dovuti) da un politico poi finito in galera, un minuto dopo l’inizio di Mani Pulite, mi disse: fucilarli subito, quei ladri, tutti, subito, altro che processo! Tanto del politico ladro non sembrava esserci più bisogno.
In ogni caso, comunque sia andata, quelle cose giuste e necessarie Occhetto non le disse mai. Anzi, accompagnò la Democrazia Cristiana e il Partito Socialista alla disintegrazione tra il giubilo generale, e l’esultanza di quelli che tirarono le monetine a Craxi, all’Hotel Raphaël a Roma.

Il cappio in parlamento.

Tra loro c’era anche un tale Fiorito, all’epoca baldo giovane del Movimento Sociale Italiano. Gridava “onestà, onestà”, (ci scommetto) come un invasato, e tirava le monetine. E chissà se molti anni dopo, come il colonnello Aureliano Buendìa del meraviglioso libro di Garcia Marquez, Fiorito si sarebbe ricordato di quel lontano giorno al Raphaël; Fiorito detto “el Batman” che da presidente del gruppo del PDL della regione Lazio (giunta Poverini), si è preso una condanna a tre anni etc. etc. di reclusione, per avere usato i soldi pubblici per fini personali, tipo comprarsi un macchinine (un SUV, come si dice) e roba del genere: “valanga di soldi spesi, tra l’altro, per cene, viaggi, auto, vacanze e arredamenti per la bella villa a San Felice Circeo”, scrive il Corriere. La bella villa. Le monetine tirate a Craxi chissà dove sono finite. Certo non bastavano a pagarsi la bella villa al Circeo.

Il mondo è cambiato cento volte da allora e non è cambiato in nulla. Se non che Internet è diventato l’amplificatore di ogni aggressività. E di ondate di odio. La politica è spesso odiosa – come è odiosa la vita, la società, come siamo odiosi noi stessi. Io poi, non ne parliamo. È giusto, credo, è necessario chiedere alla politica più integrità e più rispetto della parola data. Sacrosanto. Ma temo che l’ostilità verso la politica prenda spesso questi giusti argomenti come pretesto per sfogare qualcosa di più profondo. Il ciclico ri-presentarsi dell’anti – partito descritto da Gramsci , « lo straripare selvaggio degli odi, delle passioni, dei desideri », dice Gramsci. (Certo si potrebbe obiettare a Gramsci che passioni e desideri sono parole che, almeno nel marketing culturale moderno, per così dire, suggeriscono valori positivi. Ma ovviamente sono passioni e desideri anche quelli di violenza morte e distruzione e sopraffazione, quelli di Thanatos e non di Eros).

Certo, la classe politica in parte (bisogna sempre distinguere) non sempre è competente e talvolta non è neppure onesta. Nemmeno il paese lo è, tutt’altro; ma la classe politica è per natura più esposta. Certo, c’è tutto questo. Ma a me pare anche che in giro vi sia un rancore profondo e una specie di serpente, di demone – che è quello dell’odio non per la democrazia, la politica, i partiti corrotti ma per la democrazia, la politica, i partiti tout court. Molti sostengono che una parte di quest’odio, almeno del più recente, viene dal fatto il PD di Renzi ha applicato, nei fatti, politiche di destra (su alcuni punti può essere vero, su altri meno, certo c’è stata un’ibridazione, se ne può discutere a lungo, ma non è quello il punto, qui). Eppure tanta parte (anzi: la maggior parte) dell’ostilità più violenta (non parlo di quella argomentata e intelligente), se guardate bene, viene proprio da destra.

Non parlo di quella destra liberale, democratica, sociale che pure certo esiste, ma che purtroppo fatica a trovare spazio e rappresentanza. Intendo, da profili e storie e culture di una destra profonda, e che spesso si confonde e si mescola con frange di sinistra estrema, in nome di un nemico comune che non è la corruzione, ma il parlamentarismo ; non è la disonestà, ma è la democrazia liberale; non è la disonestà, ma è lo stato di diritto ; non è la cattiva legge, ma il governo delle leggi che solo si contrappone (come bene ci spiegava Bobbio) all’arbitrio degli uomini. I pretesti per questa ostilità violenta e cieca sono talvolta (non sempre) buoni. Ogni ostilità violenta e cieca riesce a trovare anche buoni pretesti per le sue cause. Ma non sono solo gli angeli, ad avere diritto a non essere insultati, aggrediti, diffamati. E la civiltà, diceva Gaber, è un velo sottile. Basta niente a voltar pagina.

Trent’anni fa andavamo a due passi dall’Italia, in Jugoslavia, nelle spiagge solitarie sotto le pinete, a guardare le ragazze nude al sole; e di lì a pochissimo, in quegli stessi luoghi, gente crocifissa, bruciata, impalata (antica specialità regionale). Orrori indicibili, negli anni Novanta del Novecento, a due passi da noi. Per ragioni che (oggi) nessuno ricorda più. Dalla notte dei cristalli non è passato neppure un secolo. Ecco perché certe cose mi fanno, un po’, paura.

E mi fa paura il fatto che la scelta obbligata paia quella tra essere disonesti ed essere forcaioli. E che quindi, se non si è forcaioli, se non si reclama la ghigliottina, allora (va da sé) vorrà dire che si è disonesti. Che la scelta sia tra l’essere monaci corrotti o monaci invasati. Tra chi deve portare la lettera scarlatta per essere esposto a una folla urlante e chi vuole apporla per conto di quella folla. Tra chi sputa sullo zimbello e chi è zimbello. Tra carcerieri e carcerati. Alla fine forse, seguendo Adorno, si riuscirà a trovare una risposta, e a dire che una libertà (non « la » libertà, ma una delle tante) sarà nel sottrarsi a quella scelta. Finché si può. Finché dura.

Maurizio Puppo

Nel video: gravissimo episodio di giustizialismo. L’ex parlamentare Osvaldo Napoli di Forza Italia viene circondato e « processato sommariamente » da persone vicine ad un gruppo populista definito « I forconi ». Una forma di squadrismo che riporta alla prima e drammatica immagine dell’articolo.

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Maurizio Puppo
Maurizio Puppo, nato a Genova nel 1965, dal 2001 vive a Parigi, dove ha due figlie. Laureato in Lettere, lavora come dirigente d’azienda e dal 2016 è stato presidente del Circolo del Partito Democratico e dell'Associazione Democratici Parigi. Ha pubblicato libri di narrativa ("Un poeta in fabbrica"), storia dello sport ("Bandiere blucerchiate", "Il grande Torino" con altri autori, etc.) e curato libri di poesia per Newton Compton, Fratelli Frilli Editori, Absolutely Free, Liberodiscrivere Edizioni. E' editorialista di questo portale dal 2013 (Le pillole di Puppo).

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