Letture natalizie. Un libro, la strenna che fa sempre piacere.

Natale, tempo di… strenne. Noi, come ogni anno – è una tradizione Altritaliani -, consigliamo dei libri per ritrovare in questo periodo di festa e di svago il piacere di sognare e riflettere. Un regalo economico, ma ricco per chi lo riceve. Ecco alcuni consigli di lettura del poeta e linguista Natale Fioretto.

Natale Fioretto

La paranza dei bambini, di Roberto Saviano
L’estate fredda, di Gianrico Carofiglio
Lettere contro la guerra, di Tiziano Terzani
È arrivato l’arrotino, di Anna Marchesini
Il marchio dell’Inquisitore, di Marcello Simoni
Lezione di italiano. Grammatica, storia, buon uso, di Francesco Sabatini
Un giorno a Napoli con San Gennaro, di Maurizio Ponticello
Due compleanni e una città, di Alessandro Petruccelli

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Nei libri ci si può perdere, tanto che ciò che leggiamo diventa parte di noi stessi ben oltre le semplici immedesimazioni. Con piacere sottopongo all’attenzione dei lettori di Altritaliani alcuni titoli che hanno variamente catturato il mio interesse.

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Nell’immaginario collettivo i ragazzi sbandati, con comportamenti variamente devianti e violenti, provengono da ambienti familiari compromessi e violenti; Roberto Saviano nel suo recente romanzo La paranza dei bambini , mostra esattamente il contrario. I bambini, o per meglio dire gli adolescenti, non provengono dall’intricato sottoproletariato partenopeo, ma dalla classe media cittadina, da quella, cioè, che dovrebbe rappresentare la parte buona della società. In questo ambito asfittico, privo di valori si persegue un unico scopo: il denaro. I ragazzi sono motivati da una vera e propria fame di denaro, come pure di potere, in una mai paga necessità di possesso che diventa l’unico valore in grado di dare senso a un’esistenza che, diversamente, nella normalità del quotidiano, non meriterebbe di essere vissuta. Non importa se una vita del genere si concluderà nel sangue: nella logica apparente delle cose, come un’auto lussuosa lanciata a folle velocità, incurante di ogni regola di prudenza che conduce all’unico, inevitabile traguardo, la morte. Violenta. Il sangue, la banale brutalità del male compongono una partitura in cui nessuno vuol risparmiare fiati, emozioni, attimi perché solo con questi atti estremi i ragazzi della paranza trascendono le disprezzate certezze per guadagnarsi una giustificazione alle proprie azioni e al proprio esistere. Un romanzo, perché di romanzo si tratta, anche se basato su fonti autentiche, che ha come scopo ultimo quello di invadere e possedere il lettore e di fornire all’autore un diverso modo di narrare e denunciare.

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Un sottile filo rosso collega la paranza al più recente romanzo di Gianrico Carofiglio L’estate fredda nel quale il celebre autore barese imbocca un sentiero parzialmente inedito, così, il thriller legale e l’avvocato Guerrieri lasciano il passo al maresciallo maggiore dei carabinieri Pietro Fenoglio, all’ambiente di caserma e, senza alcuna indulgenza romantica, all’ ambiente della malavita del capoluogo pugliese che si palesa nei suoi tratti corrosivi, violenti e inutilmente feroci.

Siamo agli inizi degli anni novanta, periodo difficilissimo per Bari e tragico per l’intera nazione, Capaci, via D’Amelio, Mani pulite. Nel capoluogo pugliese viene rapito un bambino, figlio di uno dei boss della malavita, tutti in città ufficiosamente ne sono al corrente, ma nessuno osa esporsi. Gli inquirenti sanno quanto un fatto simile rischi di far piombare la città in una guerra fra bande rivali capace di degradare una già disgregata vita civile cancellando senza remore diritti e garanzie e si adoperano per dipanare l’intricata matassa dell’omertà e delle faide per giungere rapidamente alla soluzione del caso nel quale, anche questa volta, viene riproposto un topos nell’opera di Carofiglio: la banalità del male. Una prova davvero riuscita.

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Chi ha avuto la bontà di leggermi negli anni passati, sa che, avendone l’occasione, mi piace rileggere; questa volta sono tornato a una passione dichiarata Tiziano Terzani, in particolare le sue Lettere contro la guerra . E’ una rilettura quasi terapeutica perché in un periodo come quello attuale c’è bisogno di sperare nella capacità che ci resta – che resta a tutti noi come esseri umani – di sfuggire all’ ideologia giustificativa dei conflitti giusti e necessari. Nel libro vengono raccolte alcune lettere inedite e altre pubblicate sul « Corriere della Sera« . Sono corrispondenze dall’Afghanistan, dall’Himalaya e dall’Italia con un unico obiettivo: la pace tra Oriente e Occidente. Secondo l’autore infatti l’unica via d’uscita possibile dall’odio, dalla discriminazione, dal dolore è la non-violenza.

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Di tutt’altro tenore è l’ultimo lavoro, pubblicato postumo, della recentemente scomparsa Anna Marchesini È arrivato l’arrotino . Cosa provi l’autrice al momento della nascita non è dato sapere, ma laddove la coscienza dell’evento viene meno, alligna la creazione letteraria. Ecco, allora, che il buio si popola di lampi e di sensazioni, suoni e profumi. Si definiscono i contorni del mondo che emergono dalle quinte della percezione. La narrazione insegue e dà ordine a tutti i particolari che hanno composto il suo venire alla luce con ricchezza di dettagli e linguaggio preciso e immaginifico, elegante e popolare. Difficile non amare Anna, non apprezzarla per la sua vena comica spontanea, travolgente eppure prossima a una malinconia gelosamente nascosta e abilmente paludata. In questo risiede la maestria di chi sa indossare maschere, parrucche e trucco.

È arrivato l’arrotino è un romanzo che nasce dalla spigolatura di semplici quaderni scolastici che l’autrice orvietana ha popolato con una scrittura fitta, tormentata e mobile. Il libro si apre con una toccante lettera della figlia Virginia che scrive a sua madre chiamandola “poeta!” e prosegue poi con una prima parte narrativa che porta il titolo dell’intero progetto editoriale e si conclude con una raccolta di versi inediti che risalgono al ventennio compreso fra la fine degli anni sessanta e ottanta dal titolo Fiori di Fitolacca. Prosa e poesia si combinano per dare all’estro dell’autrice gli strumenti ideali per dispiegarsi in modo completo ed efficace. “La vita non si lascia mettere sotto spirito”. Viverla, si deve.

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Marcello Simoni, scrittore ferrare che pare nato da una costola dell’epos de Il Nome della Rosa con i suoi romanzi di ambientazione storica sta consolidando in successo maturo i favori del grande pubblico. Le atmosfere oscure, dense di pathos animate da dialoghi guizzanti in grado di tenere sospesa e vigile l’attenzione del lettore, sono i tratti peculiari dello stile di Simoni che nel suo recente romanzo Il marchio dell’Inquisitore rappresenta una Roma seicentesca violenta e ferrigna in cui si trova ad agire l’inquisitore fra’ Girolamo Svampa, magnifica figura di detective che segue i nervi della capitale papalina.

Perché non dedicare un po’ del tempo libero offerto dalla festività natalizie per dedicarsi a una ricognizione sulle conoscenze personali della nostra lingua comune? La più recente pubblicazione di Francesco Sabatini, attualmente Presidente Onorario dell’Accademia della Crusca, Lezione di italiano. Grammatica, storia, buon uso non è un libro da comodino, ma sicuramente un volumetto da compulsare con curiosità e apertura mentale. Discutendo di lingua della comunicazione, sia nell’apprendimento che nella pratica non bisogna porre eccessiva enfasi sugli errori e, soprattutto, l’italiano lingua in costante crescita va approcciato con una “minore schizzinosità”.

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In questo breve excursus, vorrei trovare spazio per consigliare un libro che tratta di uno degli aspetti più peculiari della cultura partenopea nella quale sono stato educato e della quale sento il richiamo costante. Faccio riferimento al libro di Maurizio Ponticello intitolato Un giorno a Napoli con San Gennaro , edito da Newton Compton.

Mai legame quanto quello fra Napoli e il suo santo patrono è in grado di trascendere il mutuo riconoscimento per trasformarsi in trasposizione del materiale in sacralità distillata, in mito fondativo. Chi è Gennaro se non Napoli? Le profondità della storia ci restituiscono attraverso cunicoli che si intersecano improvvisi i tratti di un nobile cui la stratificazione agiografica ha conferito i tratti di un vescovo, presule di Benevento di dove, forse, era originario. Nel corso delle persecuzioni di Diocleziano, Gennaro viene arrestato e condannato a morte. Le fasi finali della vita del santo sono avvolte tanto nel mistero, quanto nel mito. Come cristiano confesso il suo destino si sarebbe dovuto compiere a Pozzuoli nell’anfiteatro della città , ma, e qui riproponendo degli stilemi biblici, canonici e apocrifi, la sorte cambia: le fiere si inchinano al vescovo benedicente e per questo la pena viene commutata nella più rapida decapitazione che secondo le testimonianze agiografiche ha luogo nella Solfatara. A questo punto un particolare imprimerà un marchio indelebile alla storia del santo; dopo la morte, come atto di pietà, frequente a quel tempo, una pia donna, tale Eusebia, raccoglie del sangue del vescovo martire dando avvio alla venerazione per il sangue del martire che ne diventa principale attributo iconografico. Il libro è una vera miniera di informazioni che ci restituiscono i vasti orizzonti del possibile e i mille rivi dell’amplificazione agiografica che confluiscono nell’eterogeneo sentire partenopeo

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Per finire, una menzione particolare va alla nuova edizione del romanzo Due compleanni e una città . Con quest’opera Alessandro Petruccelli ci accompagna alla riscoperta di quella civiltà contadina che ha caratterizzato buona parte della storia italiana, ma che oggi è quasi completamente estinta. L’autore, autentico testimone del contrastato rapporto tra città e campagna (basti pensare al suo romanzo Un giovane di campagna che è un bestseller da quarant’anni), racconta un anno di vita in città, nello specifico Formia in provincia di Latina, di un professore. Le origini del protagonista sono rurali e vivere in città, così distesa lungo il mare, origina contrasti e dissidi che difficilmente trovano una sintesi serena. Ogni incontro, ogni situazione, quasi ogni filo d’erba risvegliano in lui il ricordo della campagna e, dal vivace confronto tra due mondi, nascono le tante storie che compongono un dialogo intimo in questo romanzo dal sapore antico.

Natale Fioretto
Docente di lingua italiana e di traduzione dal russo
presso l’Università per Stranieri di Perugia.

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Natale Fioretto
Natale Fioretto, laureato in Lingue e letterature straniere moderne (russo e portoghese), è docente di lingua italiana e traduzione dal russo presso l'Università per Stranieri di Perugia. Si occupa da anni di metodologia dell'insegnamento della lingua italiana come L2. È appassionato di Valdo di Lione e di Francesco d'Assisi.

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