Referendum: Le ragioni del Si.

Venerdi 4 dicembre scocca l’ora X. Si vota per confermare il referendum che modifica la parte seconda della nostra Costituzione. Vedremo se l’Italia decide di cambiare o se si accontenta dell’attuale sua condizione. Vi presentiamo le principali ragioni dei fautori del Si.

“Le dittature sorgono non dai governi che governano e durano ma dall’impossibilità di governare dei governi democratici”

(Pietro Calamandrei – Assemblea costituente 5 settembre 1946)

Il padre della riforma - Giorgio Napolitano

Quelli del Si sono speranzosi, ma i tempi sono più negativi (no) che positivi (si). Vince Trump, vince Brexit, vince un po’ ovunque la rabbia più che la speranza. Di questi tempi se ci fosse un’elezione che vedesse Gesù Cristo contro Belzebù (e la buon’anima di Andreotti non me ne voglia) si potrebbe puntare sulla vittoria del secondo.

Ma la riforma costituzionale non deve decidere e non deciderà il futuro di Renzi, al massimo potrebbe decidere il futuro di questo governo con un immenso punto interrogativo sul futuro prossimo italiano, un’incertezza che fa correre i brividi a molti, dai mercati, all’Europa, dal Mezzogiorno, su cui si sono investiti 2 miliardi e trecento milioni ai tanti giovani che attendono un lavoro, ai pensionati che speravano in un aumento delle pensioni promesso a breve.

Decidere sulla riforma incide anche nella vita quotidiana dei cittadini. Dopo aver pubblicato le ragioni del no (pubblicazione tolta per loro richiesta – non avendo gradito che il loro testo fosse corredato dalle foto dei principali sostenitori del No, sic!) ecco alcune delle principali ragioni del SI al referendum (Per fortuna, il Si non ha problemi analoghi al comitato del No, e quindi potremo mettere serenamente le immagini dei loro principali sostenitori).

Chi sostiene il si, come il giurista Fusaro, ricorda che è vero che nell’immediato con le riforme costituzionali non si mangia, ma aggiunge: “magari nel medio termine si”. In realtà, la riforma su cui siamo chiamati a votare con la vittoria del Si potrebbe incidere molto positivamente sulle nostre vite.

Si fanno alcuni esempi concreti: Un giovane che oggi prende un diploma regionale per svolgere un lavoro, potrebbe usarlo solo nella sua regione, con la riforma viceversa questi diplomi avranno validità su tutto il territorio dello stato. Chi farebbe un corso di avviamento al lavoro a Napoli per diventare cuoco, domani potrebbe utilizzare quel diploma per lavorare con la sua qualifica in un ristorante in Puglia. Oggi questo non puo’ accadere.

Altro esempio. Un trasportatore per spostare le merci oggi ha bisogno di un’autorizzazione diversa in ogni regione, con la riforma questo non accadrà più. Per un’impresa anche modesta come il camion di un trasportatore avere un’autorizzazione invece di 21 (periodicamente da rinnovare) significa avere meno burocrazia e potersi concentrare meglio sul proprio lavoro.

Altro esempio: Oggi chi è malato di tumore in Molise è probabilmente costretto a recarsi per le cure in Lombardia. Con la riforma le linee guida dello Stato, che si “rimpossessa” della sanità, obbligheranno ogni regione a garantire quel tipo di trattamento e il controllo dello Stato permetterà di supplire alle carenze delle Regioni meno virtuose, creando un sistema di aiuti e contributi secondo il merito cosa che costringerà ad evitare gli sprechi ad uniformare i costi e i servizi. E’ la famosa (e banale) metafora della siringa che costa due euro in Calabria e sessanta centesimi in Emilia Romagna. Da quando la sanità è nelle mani delle regioni, che hanno goduto di troppa liberta con la riforma del titolo V fatta dall’allora governo di centrosinistra nel 2001, la sanità è precipitata nel caos è l’ora che ritorni sotto il controllo dello Stato.

Matteo Renzi

A questi esempi di scuola quelli del Si aggiungono due esempi concreti. La recente sentenza della Corte Costituzionale che ha bloccato la riforma della Pubblica Amministrazione essendo questa, con le attuali leggi sottoposta al giudizio di ogni regione, e per questo basterebbe l’opposizione di una di esse per impedire l’attuazione dell’attesa riforma. Con la riforma Costituzionale questo non potrebbe più avvenire perche la riforma ristabilisce la supremazia dello Stato sugli enti territoriali. L’altro esempio concreto è il tema dei vaccini dove oggi esistono regioni che la impongono come obbligatoria ed altre no. Una giungla (a dire di quel comitato) che non offre certezze uniformi sul tema con tutti gli effetti del caso.

Ebbene per quelli del Si, se fosse approvata la riforma, il 4 dicembre questo caso sarebbe inverificabile, perché lo Stato si riapproprierebbe della potestà su queste materie che oggi sono delegate alle volontà dei singoli consigli regionali.

Si potrebbero fare molti altri esempi, per dire che la riforma, per i sostenitori del Si, ha peso anche per il futuro dei cittadini Per loro si tratta di uno strumento di modernizzazione e di democrazia. Si, di democrazia. Molti del No hanno sostenuto che questa è una riforma autoritaria. Intanto, sarebbe una riforma concepita secondo le regole e i principi dei costituenti che avevano previsto la possibilità (specie per l’attuale parte seconda) di interventi, aggiornamenti, modifiche e correzioni. Viva Iddio, la Costituzione è materia vivente.

Non c’è alcuna spinta autoritaria. In primo luogo perché non vi è una sola nuova norma che conferisca più poteri al governo ovvero all’esecutivo. In secondo luogo i contrappesi nell’ordinamento (Corte Costituzionale e Presidenza della Repubblica) mantengono tutte le loro prerogative e poteri.

Semmai con la fine del bicameralismo (oggi, a loro dire, folle con due maggioranze diverse che determinano l’impossibilità di governare e decidere), si avranno molti meno decreti legge e molte più leggi frutto del Parlamento. L’abuso della decretazione d’urgenza e delle richieste di fiducia al governo, sono state una costante sin dai governi di Berlusconi e di Prodi ma finanche l’attuale governo è stato costretto a questi mezzi per non impantanare il processo riformativo del paese. Ebbene, questi abusi sono un’anomalia per la democrazia. Avere una sola Camera che fa il 95% delle leggi impedirà tutto cio’ migliorandone la qualità.

Il fronte del Si sta cercando, in una campagna elettorale difficile, spesso offuscata da una polemica politica (quasi mai pertinente), di far conoscere agli elettori quelli che sono sostanzialmente i dieci punti che spiegano le ragioni del Si.

Anche i radicali sono per il Si - Emma Bonino

Ecco in estrema sintesi le ragioni di quelli del Si.


1. I governi saranno più stabili. Evitando l’anomalia di un governo con due maggioranze diverse e dovendo avere la fiducia dalla sola Camera dei deputati è lecito ritenere che i governi saranno più stabili e meno esposti ai ricatti e agli “inciuci” che hanno caratterizzato la vita degli esecutivi della seconda repubblica.


2. Bicameralismo addio. Con l’abolizione dell’anacronistico bicameralismo paritario si supera il meccanismo della «navetta» delle leggi tra Camera e Senato che ha fin qui generato molti ritardi e sovrapposizioni. Si avrebbe un vero salto di qualità. Il senato infatti ha competenza solo su materie costituzionali e un potere consultivo e di competenza territoriale (senato delle regioni, come nelle più moderne democrazie occidentali). Insomma, addio “ping pong” delle leggi.


3. Calano i costi della politica. Diminuiscono notevolmente i costi della politica. Cala il numero dei parlamentari, con la riduzione dei senatori da 315 a 100, con forti risparmi sulle indennità attualmente corrisposte. La ragioneria dello Stato indica in 57 milioni solo il risparmio sugli stipendi dei senatori (i 100 senatori non percepiranno stipendio avendo già quello di Consigliere regionale o di Sindaco) ma a questi vanno aggiunti tutti i costi supplementari e di segreteria per ogni senatore, le indennità, e le spese per il Consiglio nazionale per l’economia e il lavoro (Cnel) che verrebbe abolito. Da aggiungere i congrui tagli agli stipendi degli amministratori locali (da ricordare che il governatore del Molise aveva lo stipendio del Presidente degli USA), spariscono definitivamente le Province e i loro costi.


4. Più democrazia diretta. Aumentano gli strumenti per l’esercizio della democrazia diretta. La riforma introduce il referendum propositivo e modifica il meccanismo del quorum di validità per quello abrogativo che diventa «mobile» dovendo tener conto dell’andamento storico dell’astensionismo (con la riforma il referendum, ad esempio, sulle trivelle avrebbe raggiunto il quorum). Inoltre introduce l’obbligatorietà di pronuncia della Camera sulle leggi di iniziativa popolare anche se si chiede un congruo aumento del numero delle firme (oggi queste sono perlopiù cestinate e non arrivano mai nelle aule parlamentari).


5. Non si vota per l’Italicum. Il 4 dicembre non si vota per la riforma elettorale che è una legge ordinaria che come ha assicurato anche il governo è nelle mani del Parlamento che potrà ulteriormente modificarla. Si vota sola per la riforma della parte seconda della Costituzione.


6. Addio agli abusi di decreti legge. Una sola Camera, una sola maggioranza non impongono l’uso di uno strumento che è stato ampiamente abusato negli ultimi venti anni diventando un vero vulnus per la nostra democrazia parlamentare. Il decreto richiederà per essere valido davvero criteri di necessità ed urgenza. Una cosa che ridarebbe dignità alla Camera e alla sua funzione legislativa.

La destra per il Si - Marcello Pera


7. Lo Stato centrale diventa più forte. Le materie strategiche — tra le quali i trasporti, l’energia, la sanità, il turismo ritornano alla competenza legislativa dello Stato. Le Regioni, nel disegno originale, erano nate come enti amministratori. E ora dopo una lunga sperimentazione sarebbe da chiedersi se, in questi anni, abbiano svolto per il meglio la funzione legislativa in queste materie. Si vogliono evitare sperequazioni di trattamento tra le realtà territoriali del nord e quelle del sud. Tramontata la “moda” del federalismo, abbandonata anche dalla Lega Nord che ne fu fautrice, lo Stato si riappropria della sua centralità.


8. Stop a liti davanti alla Corte Costituzionale. Vi sarà una notevole riduzione del contenzioso Stato-Regioni davanti alla Corte costituzionale, che è stato acuito a seguito della riforma del Titolo V varata nel 2001. Il nuovo Senato ha infatti, come si diceva, la funzione di camera di compensazione tra Stato centrale e territori, prevenendo cosi ogni possibile contenzioso e rendendo le politiche territoriali più omogenee e condivise.


9. Pesi e contrappesi con un governo che decide. La vittoria del Sì non apre la strada ad alcuna deriva autoritaria. La Costituzione del ’48 è costruita soprattutto sui pesi e sui contrappesi perché in quel contesto storico prevalse il tema della riflessione più che quello della decisione perché, dopo il fascismo e con la guerra fredda alle porte, si temeva che il Paese potesse degenerare verso forme di autoritarismo. Oggi quel contesto storico è lontano. La vittoria del Sì rafforza l’idea di una democrazia partecipativa e di un governo che decide. E che sa colmare quello che è stato definito «il fossato tra istituzioni e cittadini».


10 Istituzioni più vicine all’Europa. Con la riforma e la nascita del senato dei territori le istituzioni parlamentari italiane si avvicinerebbero di più alle migliori democrazie europee, che prevedono una seconda Camera sul modello previsto nella nuova parte seconda. Come in Germania, Francia, Belgio, Spagna ed Austria. L’unico paese che ancora mantiene il nostro attuale bicameralismo è la Romania, una circostanza che dovrebbe far riflettere. Cosi come il fatto che la fiducia al governo sarebbe accordata da una sola Camera come in tutta Europa e nessuno ritiene che questo sia un segnale di spinta autoritaria. La vittoria del Si sarebbe la prova che l’Italia è davvero cambiata e maturata.

Nicola Guarino

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.

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