Il Premio Nobel per la Letteratura 2016 a Bob Dylan

E’ nato il 24 maggio 1941 a Duluth, porto fluviale che s’affaccia sul lago Superiore, nel Minnesota, Bob Dylan (all’anagrafe Robert Zimmermann). Questo poeta e cantastorie, menestrello e musicista divenuto uno dei miti dell’epopea beat dai primi anni Sessanta, un vagabondo dell’anima ed inquieto precursore dai toni un po’ psichedelici e un po’ mistici, è passato anche dalla scrittura di romanzi come Tarantula (del 1971). Il suo lungo peregrinare in musica e in poetica approda ora addirittura al Nobel 2016 per la Letteratura “per aver creato nuovi modi di espressione poetica all’interno della grande tradizione della canzone americana”.

Chi lo ha amato da sempre lo trova addirittura in ritardo ma c’è anche chi non stima affatto la scelta dell’Accademia di Stoccolma. La stessa che diciannove anni fa premiò il Giullare Dario Fo, scomparso (per un disegno del destino) proprio nello stesso giorno del Nobel a Bob Dylan. Fuori dal coro e forse dalle Accademie ufficiali della letteratura, ma di certo cantori scomodi del nostro tempo, fuori dalle righe perché gli artisti sanno volare più in alto delle mode e delle contingenze.

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Bob Dylan ha interpretato a suo modo e forse più di altri il canto di speranza di quelle generazioni che hanno sognato un mondo più giusto e più libero. Del poeta controverso ed inquieto si è scritto e si scriverà ancora molto: di certo ha lasciato una traccia inestinguibile nella cultura e nel mondo giovanile del secolo scorso, in ogni dimensione umana e collettiva.

Celebrare la sua immensa opera sarebbe un po’ “conforme” rispetto a quanto si dirà e si scriverà di questo cantautore-poeta-musicista, artista ed intellettuale smanioso e scomodo. Letteratura, cronaca e spettacolo non mancheranno di ricordarlo. Il cinema ne ha fatto una originale epopea (nel 2007 presentato a Venezia) con il film di Todd Haynes “Io non sono qui” dove persino la bellissima Cate Blanchett ne veste i panni e le movenze con vistosi occhiali scuri. Lo scorso anno il Lucca Summer Festival lo aveva ospitato, e ad introdurlo è stato il suo epigono di sempre, il suo seguace più incallito da decenni, Francesco De Gregori. Noi c’eravamo, a commuoverci e brillare al buio.

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Ogni artista del mondo gli deve qualcosa: Bob Dylan è il musicista, è il poeta, è la fantasia e l’estro che diventano sociale e politico. La sua elegia da decenni è stata in prossimità di un Premio Nobel che non arrivava mai. Per comprendere a fondo il suo mezzo secolo che ha appassionato e impressionato intere generazioni, in ogni angolo del mondo, può bastare il paradigma di Bruce Springsteen: “Elvis Presley ha liberato il nostro corpo, Bob Dylan la nostra mente”.

Eppure questo Nobel non poche polemiche sta registrando. Era del resto inevitabile. Ma sono altrettanto inutili. Lo ammette il critico Davide Rossi, che pure scrive: ”Bob Dylan inizia la sua carriera appena ventiduenne mettendo la sua musica e le sue parole nella lotta voluta da Martin Luther King contro il razzismo e la diseguaglianza. È a Washington nel 1963 alla famosa marcia organizzata dal reverendo, quella del discorso che si apre con le parole: “Io ho un sogno”, lì Dylan canta “Blowin’ in the Wind”, forse la sua canzone più celebre. Tuttavia il suo impegno politico si fa sempre più rarefatto, è uno dei pochi a non esprimersi contro la guerra in Vietnam e addirittura, quando Israele aggredisce il Libano e permette la strage di Sabra e Shatila, agli inizi degli anni ’80, dedica una affettuosa canzone: “Teppisti del quartiere”, in originale “Neighbourhood bully”, agli israeliani.”

L’arte, la poesia, la musica da sempre scatenano giudizi, morali o iniqui che siano. Vorremmo rispolverare un’analisi piuttosto mistica e forse meno conosciuta di Bob Dylan, nella sua costante ricerca di verità. Esaltare la sua poetica con una canzone che il poeta dedica ad uno dei Padri della Chiesa, a sant’Agostino, nell’album “John Wesley Harding”. Era il 1968, l’anno della svolta nella storia di quello che viene definito il secolo breve.

Inizia così la canzone “I dreamed I saw saint Augustine” che ha il suo apice nella ripresa successiva: sogna di vedere sant’Agostino “in carne e ossa che correva nei nostri quartieri in estrema povertà… e cercava anime che già erano state vendute, gridando forte: Alzatevi, alzatevi! Venite fuori e ascoltate….”

Ed ancora, Dylan confessa: “Ho sognato di vedere sant’Agostino, vivo di un respiro di fuoco”, per aggiungere in conclusione un apocrifo martirio del santo, in realtà solo un incubo onirico: “Ho sognato di essere tra coloro che lo misero a morte! Oh, mi sono svegliato adirato, solo e terrorizzato…, ho abbassato la testa e ho pianto”.

La menzione non poteva che venire da un moderno intellettuale come il cardinale Gianfranco Ravasi, il quale ricorda: “Non è che i temi spirituali siano stati alieni a questo personaggio che aveva respirato non solo folk, rock e blues ma anche echi degli spiritual afro-americani…” Ed ancora: “In fondo, aveva ragione Dylan: nel vescovo di Ippona, si incrocia un fiery breath, un ardente respiro di amore, con un alito fresco che proviene dai cieli cristallini della teologia, nella ferma convinzione che la natura umana manca di unitarietà e la può trovare solo alla luce dell’unitarietà di Dio”.

Dunque, Bob Dylan si inscrive a pieno titolo fra coloro che scrutano a fondo il tempo nel quale viviamo, che affida al suo talento artistico la “manutenzione” della nostra interiorità, travalicando ogni inibizione dettata dal conformismo e dall’appiattimento dei sensi.

Rimarranno per sempre le sue canzoni, le sue ballate, le sue proteste. E le sue preghiere. Una di esse è “Knockin’ on heaven’s door” (Bussando alle porte del Paradiso) che Bob Dylan inserisce nella colonna sonora di un film ormai cult: “Pat Garrett e Billy the Kidd”, che Sam Peckinpah gira nel 1973. Si muove anche lui, mestamente, in quel western crepuscolare, il cantore di strada dallo sguardo lungo e penetrante, che cerca risposte “in un soffio di vento” (Blowin’ in the wind).

Armando Lostaglio

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Armando Lostaglio
ARMANDO LOSTAGLIO iscritto all'Ordine dei Giornalisti di Basilicata; fondatore del CineClub Vittorio De Sica - Cinit di Rionero in Vulture nel 1994 con oltre 150 iscritti; promotore di altri cinecircoli Cinit, e di mostre di cinema per scuole, carceri, centri anziani; autore di testi di cinema: Sequenze (La Nuova del Sud, 2006); Schermi Riflessi (EditricErmes, 2011); autore dei docufilm: Albe dentro l'imbrunire (2012); Il genio contro - Guy Debord e il cinema nell'avangardia (2013); La strada meno battura - a cavallo sulla Via Herculia (2014); Il cinema e il Blues (2016); Il cinema e il brigantaggio (2017). Collaboratore di riviste e giornali: La Nuova del Sud, e web Altritaliani (Parigi), Cabiria, Francavillainforma; Tg7 Basilicata.

1 COMMENTAIRE

  1. Il Premio Nobel per la Letteratura 2016 a Bob Dylan
    Uno che usa in modo creativo le parole, sfrutta la novità (ma pure il carattere profondamente popolare folk) della musica (di una certa musica, ovviamente), porta alla ribalta nuove idee, a volte pericolose (basti pensare al suo primo periodo, con la Guerra del Viêt-Nam imperversante), sa fare poesia « tout court » con significanti e significati in regola (e qui non ci piove), e ha inciso così profondamente – lo si voglia o no – sull’immaginario collettivo di mezzo mondo, beh chi meglio di lui per un Nobel?
    Basta con le rancorose riserve di chi, segretamente (o no), si dà da fare con le solite « reti » per avere premi e riconoscimenti, magari scarsamente prestigiosi ma non di meno ghiotti.
    Cordialità,
    JcV

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