Italiani: spesso giustizialisti, individualisti e superficiali.

Tutto è avvenuto nel giro di poche ore, nei primi di ottobre 2016. L’ex sindaco di Roma Ignazio Marino è stato assolto in un processo su scontrini e consulenze. L’ex presidente della Regione Piemonte Roberto Cota è stato assolto per l’inchiesta sull’uso distorto dei rimborsi. Due carriere pubbliche che sembravano distrutte.

Più in generale, la delegittimazione della politica favorita dai magistrati che ha già alimentato l’ascesa dei populismi.

Nelle stesse ore la procura di Roma ha chiesto l’archiviazione per 116 persone indagate nell’ambito di «Mafia Capitale», non trovando elementi sufficienti per proseguire l’indagine nei loro confronti. In un editoriale sul Corriere delle Sera dello scorso 15 settembre, Angelo Panebianco aveva scomodato a questo proposito la propensione degli italiani all’autarchia: “pensate a quelli che si sono inventati «Mafia Capitale», che hanno cioè proclamato urbi et orbi, hanno gridato di fronte al mondo, che Roma è mafia. La mentalità autarchica non ha permesso loro di capire che dichiarare la Capitale del Paese città mafiosa significava dire al mondo – al mondo intero – che tutti noi (ivi compresi quelli che usano l’espressione Mafia Capitale) siamo una congrega di mafiosi”.

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Anni fa, Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella si chiedevano nel best seller La casta: “Che futuro ha un paese dove un consigliere regionale abruzzese guadagna più del governatore della California? … e il premier raggiunge la beauty farm preferita con un elicottero della Protezione civile?”.

Non sembra vi sia una via d’uscita. Come tutelare i diritti e le libertà fondamentali degli individui da qualsiasi abuso o arbitrio da parte di chi esercita il potere giudiziario e, allo stesso tempo, non piegarsi di fronte alla logica del malaffare e del malgoverno? Come evitare il superficiale provincialismo che si manifesta nella totale noncuranza per gli effetti della nostra rappresentazione del paese sul resto del mondo e, allo stesso tempo, non riuscire a smettere di denunciare la mentalità gattopardesca degli italiani e la totale assenza del senso delle istituzioni da parte di una maggioranza della classe dirigente? Meglio un innocente che si dimette o un colpevole che mantiene la carica? Dobbiamo concentraci sul meglio o sul peggio dell’Italia se vogliamo contribuire a renderla un paese migliore?

In questi stessi giorni si è riunito il comitato di Radicali italiani, un partito che ha sempre fatto del controllo dell’azione delle istituzioni la sua ragion d’essere. Un movimento che ha condannato sia l’irresponsabilità e la protervia della magistratura sia la tendenza dei partiti a sostituirsi alle istituzioni e ad utilizzare risorse pubbliche per mantenere posizioni nel sistema politico.

Evidentemente tenere l’equilibrio di fronte ai dilemmi che la cronaca di questi giorni ci sottopone è possibile. Se la tradizione radicale ci insegna qualcosa, allora questo equilibrio non può che reggersi sulla volontà di anteporre innocenza a colpevolezza.
Ciò dovrebbe valere anche per il paese? Gli individui non vivono isolati ma collettivamente e, piaccia o meno, le loro libertà dipendono – nel mondo contemporaneo – dalla qualità dello stato dove risiedono. Panebianco ha ragione da vendere quando scrive che molti italiani credono che vi sia una barriera invisibile che impedisce a ciò che diciamo e facciamo di rimbalzare fuori dai confini nazionali.

Questa mentalità non è però solo frutto di un mix di provincialismo e di superficialità. Alle sue radici c’è una forma di individualismo che porta molti italiani a non curarsi del bene pubblico o a comportarsi come se il paese dove vivono gli appartenesse individualmente e non collettivamente.

Quanto avvenuto nel giro di poche ore, ai primi di ottobre 2016, ci insegna che occorre battersi affinché il paese nel suo complesso non sia rappresentato come una congrega di disonesti.

Emidio Diodato

Professore associato di Politica internazionale

Università per stranieri di Perugia.

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Emidio Diotato
Professore associato di scienza politica presso l'Università per Stranieri di Perugia

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