Maria Luisa di Borbone regina d’Etruria, Gaspare Chifenti e Napoleone

Una storia livornese: In base all’art. V del trattato di pace stipulato a Lunéville il 9 febbraio 1801, fra Napoleone e l’imperatore d’Austria, il Granducato di Toscana viene soppresso e creato al suo posto il regno d’Etruria, sul cui trono viene insediata la dinastia dei Borbone – Parma. Ludovico di Parma, marito dell’infanta Maria Luisa di Borbone figlia del re di Spagna Carlo IV, diventa re d’Etruria.

Maria Luisa così si racconta nella sua biografia “Avventure della regina d’ Etruria”:

Giunta all’età di tredici anni e mezzo fui maritata all’infante don Luigi (Ludovico) di Borbone figlio unico del duca di Parma; tuttavia continuai a risiedere in Spagna come principessa di Spagna insieme ai miei genitori, e coi miei fratelli, contentissima dell’unione col mio sposo che amavo teneramente essendone corrisposta. Dopo sei anni di matrimonio ebbi un figlio che fu chiamato Carlo Luigi, che fu levato al sacro fonte da mio padre”.

Francisco Goya - La famiglia di Carlo IV. Maria Luisa e il marito, Infanti di Spagna, sono a destra (1800-1801)

Il Regno d’Etruria era una creatura di Napoleone, uno stato fantoccio che gli avrebbe permesso di esercitare un controllo sul porto di Livorno. Egli dispose che i nuovi regnanti si recassero a Parigi prima di assumere il titolo, “per vedere quale effetto produrrebbe in Francia la presenza di un Borbone”. La proposta destò nella giovane coppia grande smarrimento dato che in quel paese non molto tempo prima era stato fatto un massacro della loro famiglia.

Il regno d'Etruria, 1803

Maria Luisa viene descritta come non bellissima: piccola, pienotta, colorita; da lei traspariva comunque una cert’ aria di maestà nella fisionomia e si dice che nei suoi occhi neri brillasse il fuoco della Spagna. Ludovico aveva ventotto anni, interessato agli studi di scienze naturali, piuttosto timido, sembra si affidasse molto alla moglie, anche per via della epilessia che si era presentata a seguito di un evento accidentale traumatico in età infantile.

Partirono dalla Spagna l’11 aprile 1801. Viaggiarono sotto i nomi di conte e di contessa di Livorno. Arrivati a Parigi, come aveva richiesto Napoleone, rimasero storditi dagli sfarzi della corte francese che contribuirono a evidenziare l’inadeguatezza al ruolo che i due giovani si preparavano a ricoprire. Durante la permanenza a Parigi si ammalarono tutti e due e Ludovico, colpito con maggiore insistenza dalle crisi epilettiche, sembra venisse assai poco apprezzato dai francesi per il suo comportamento schivo. Quindi presero la via dell’Italia scortati da uno squadrone di ussari comandati dal generale Grouchy. Il nuovo re dopo una sosta a Parma entrò a Firenze il 12 agosto 1801. Murat li attendeva e si occupò del loro insediamento a Palazzo Vecchio, mentre l’aristocrazia fiorentina dimostrava di non gradirli molto e di essere ancora vicina ai Lorena. Quando Murat ripartì per Milano Ludovico e Maria Luisa furono affidati alla sorveglianza del generale Clarke.

Si dice che la Corte spagnola inaugurasse un periodo di feste lasciandosi andare al fasto e allo sperpero. Il 26 settembre del 1802 Ludovico venne a Livorno per due giorni, mentre le milizie francesi continuavano a stazionare sul territorio. Il 27 maggio 1803 in seguito ad un’ultima crisi epilettica il giovane e sfortunato re si spense a soli trent’anni, dopo appena un biennio di regno; gli successe il figlio Carlo Ludovico Borbone Parma mentre la madre ventenne Maria Luisa Borbone assumeva la reggenza.

Ludovico di Borbone Parma (1773-1803) e Maria Luisa di Spagna (1782-1824), Re e regina d'Etruria con i figli (1803)

Ludovico fu seppellito, nella Cappella dei Medici; pare che il dissesto finanziario fosse tale che «per il funerale del re non c’era di che pagare i ceri; e della cereria non vollero darli a credenza: non c’erano che dodici ceri in un angolo del palco sul quale fu esposto, scoperto, il corpo del principe sventurato».

Nel 1806 in seguito alla demolizione della porta S. Marco a Livorno, poi ricostruita nella piazza dei Legnami, quella parte della città venne ingrandita per rispondere ai bisogni della accresciuta popolazione. Insieme alle abitazioni venne edificato un bellissimo teatro a cui fu dato il nome di Regio Teatro Carlo Ludovico (poi Teatro S. Marco) con annesso casino. Il 27 aprile del 1806 il teatro venne inaugurato alla presenza della reggente, del re e della corte con “I baccanali di Roma” musicati dal maestro Stefano Pavesi, e con feste che durarono 15 giorni. In quella occasione fu chiesto a Maria Luisa di intercedere presso il pontefice Pio VII affinché la città di Livorno diventasse sede vescovile. E il 25 settembre dello stesso anno il papa accolse le preghiere dei Livornesi e della regina, e Livorno divenne finalmente sede vescovile, con parrocchie tolte alla diocesi di Pisa.

Come ricorda il Piombanti, Maria Luisa che durante il breve regno ebbe modo di apprezzare la località livornese, credendo nelle virtù idroterapiche dell’acqua di mare secondo il costume dell’epoca, fece scavare nello scoglio maggiore prospiciente l’area della passeggiata a mare della Bellana, una vasca di forma quadrata alimentata da quattro canalette.

Il dr. Carbone Squarci avrebbe avuto nel 1846 la concessione e l’autorizzazione per fare di quell’area, ingrandita e abbellita con costruzioni in muratura, uno stabilimento balneare collegato a terra da un ponticello a 6 arcate, e per l’appunto poi conosciuto come “Scoglio della regina” in ricordo della regina Maria Luisa che lì aveva fatto bagni di mare.

Con il trattato di Fontainebleau del 27 ottobre del 1807 fu decisa la fine del regno d’Etruria e la Toscana annessa direttamente all’impero francese. Così a dicembre di quell’anno Maria Luisa, dopo aver fatto riesumare il corpo del marito, partì e ad Aranjuez, venne nuovamente data sepoltura al marito.

Napoleone, ritratto di Jacques-Louis David

Nel 1809 Napoleone erigeva la Toscana a Granducato nominando Granduchessa la sorella Elisa Bonaparte. Maria Luisa visse da quel momento in condizioni di semiprigionia (solo a seguito del Congresso di Vienna ottenne con il figlio il ducato di Lucca, in sostituzione alla morte di Maria Luisa d’Austria di quello di Parma, mentre al Granducato di Toscana tornavano gli Asburgo Lorena).

Maria Luisa si spostò a Milano, a Parigi, e infine si trovò confinata in una castello a Nizza sotto la sorveglianza del governo imperiale. L’infelice principessa le cui richieste epistolari presso le corti d’Austria, d’Inghilterra e di Sicilia, non venivano prese in grande considerazione, pensò di inviare alla corte di Palermo, dove era allora principessa ereditaria di quel regno la sorella, Gaspero Chifenti, un livornese di cui già aveva sperimentato la lealtà, con l’incarico di ottenere un vascello sul quale potersi imbarcare segretamente con i suoi figli, sfuggendo ad ogni controllo dei francesi.

Gaspare Chifenti era nato a Livorno nel 1758 da una famiglia di commercianti; nel 1795 erano già conosciute le sue simpatie per i Francesi, per motivi commerciali più che ideali. G.B. Santoni, memorialista livornese, attribuisce a Chifenti un ruolo di partecipazione attiva nell’occupazione francese di Livorno, a fine giugno 1796. In quel periodo la situazione economica di Chifenti si consolidò con l’accrescimento del suo patrimonio e il trasferimento da una anonima abitazione nel centro della città a una villa sulla collina di Montenero. Durante il governo dei Borbone nel regno d’Etruria stabilì legami stretti con la regina Maria Luisa, la cui protezione iniziò quando il Chifenti su sua richiesta dimostrò un atto di generosità verso un debitore che a lei si era rivolto, annullandone completamente il debito. Come ricompensa egli ottenne alcune porzioni di terreno presso il teatro allora in costruzione, Carlo Ludovico, e nel 1806 la concessione dell’affitto per 10 anni delle grandi fosse per il deposito dei grani.

Le disavventure del Chifenti iniziarono dal momento in cui prese la decisione di rispondere all’appello della ex regina. Egli si adoperò con ogni mezzo, e, con mille traversie, infine riuscì a raggiungere Palermo, dove, dopo una iniziale favorevole accoglienza fu sempre più soggetto ai sospetti e alla diffidenza di Carolina, sorella di Maria Luisa, e dei funzionari della amministrazione palermitana, per cui passati cinque mesi senza aver ottenuto niente di quanto richiesto, decise di andar via. Forse persuaso di compiere una grande missione, ripartì alla volta di Genova, e quindi di Torino, con l’idea di organizzare lui stesso la fuga dell’ex regina da Nizza. Maria Luisa nel frattempo, pur in mancanza di notizie certe da Chifenti, era tuttavia intenzionata ad avere a disposizione prima possibile una nave per allontanarsi da Nizza con i figli, anche se restava incerta sulla destinazione da prendere. Decise quindi di inviare il suo maggiordomo Francesco Sassi della Tosa, come persona di sua fiducia, a Londra, con lettere per re Giorgio e il principe reggente, nelle quali implorava l’assistenza per uscire dal territorio francese e riconquistare la libertà.

Mentre il Sassi si trovava ad Amsterdam, aspettando il momento giusto per partire per Londra, il Chifenti ritornò a Nizza per rendere conto alla ex regina della sua infelice spedizione alla corte palermitana, raccontando le sue traversie, che la stessa Maria Luisa riferì al Sassi, in una lettera in cui lo sollecitava a raggiungere la corte inglese. Sfortunatamente la polizia di Napoleone intercettò la missiva e subito dispose il fermo alla frontiera belga del Sassi e l’arresto del Chifenti a Livorno (giugno 1811).

fucilazione_di_murat.png

Tutti e due vennero portati a Parigi, dove si svolse il processo il 24 e 25 luglio. Nei confronti degli imputati venne applicato un articolo del codice militare che stabiliva: chi avesse “praticato macchinazioni o tenuto intelligenze co’ potentati stranieri o cogli agenti loro a fine di impegnarli a commettere ostilità o per indicare ad essi i mezzi di intraprendere la guerra contro la Francia, sarà punito di morte, siano o non siano, in conseguenza di dette macchinazioni o intelligenze, succedute le ostilità”.

Furono ambedue condannati alla fucilazione. La mattina del 26 luglio 1811 nel piano di Grenelle venne fucilato il Chifenti, mentre il Sassi la cui esecuzione fu sospesa per ordine imperiale, morì in prigione dopo pochi giorni. Nella lettera di grazia di Napoleone al Sassi, Chifenti venne definito « misérable espion« , quando niente giustificava una differenza di responsabilità tra i due condannati e quando tutto l’affare non aveva alcun carattere di complotto.

Secondo alcuni, Napoleone in Chifenti aveva voluto colpire il suocero, il corso Bartolomeo Arena suo nemico da lunga data. Dopo il 1815, la morte di Gaspare Chifenti venne considerata dalla parte monarchica un contributo alla causa della restaurazione e la famiglia Chifenti ascritta alla nobiltà come risarcimento della fedeltà dimostrata. La vicenda ebbe un altro momento di notorietà dopo la metà del secolo, quando uno dei figli di Chifenti, Bartolomeo, raccolse e pubblicò alcuni appunti e alcune lettere del padre. In questa occasione Niccolò Tommaseo parlò della morte del Chifenti come di un « omicidio politico ».

Palazzo ducale di Lucca con statua di Maria Luisa di Borbone Spagna

In seguito Maria Luisa venne trasferita da Nizza a Roma e chiusa per più di due anni nel convento di San Domenico e Sisto, da cui Murat la trasse fuori nel 1814. Le venne poi nel 1817 assegnato dal Congresso di Vienna il Ducato di Lucca che conservò fino alla morte nel 1824.

Paola Ceccotti

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TESTI DI RIFERIMENTO

 Memorie sulla tentata evasione della regina d’Etruria dal territorio francese nell’anno 1809 Tip. di Carlo Rebagli 1854 (con le carte ritrovate dal figlio di Gaspare Chifenti)

Melchior de Vogüé « Il Regno d’Etruria” (conferenza tenuta a Firenze nel 1896): Memorie di Maria Luisa di Borbone

G. Piombanti, Guida storica e artistica della città e dei dintorni di Livorno, Forni ed. Bologna

G. Razzaguta, Livorno nostra, ed. Nuova Fortezza

L. Papi, Commentari alla rivoluzione francese dalla morte di Luigi XVI fino al ristabilimento dei Borboni sul trono di Francia, Tip. Giusti, Lucca

Chifenti, Gaspare, in Dizionario biografico degli italiani, vol.24

N. Tommaseo, Di un omicidio politico, Biblioteca Nazionale di Firenze

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