Di Palmo e la fiammella della giovinezza

“Trittico del distacco” di Pasquale Di Palmo, poeta che « congiunge con l’ago e il filo »: una intensa raccolta poetica sulla durezza della morte e il dolore della perdita.

Pasquale Di Palmo è un poeta che congiunge con l’ago e il filo, minuziosamente, gli elementi base di una poetica come possibilità di senso e di un’esistenza intera intesa come istanza individuale: la morte, ciclo conclusivo dopo la malattia; il riassunto filtrato, emozionale delle figure parentali, il padre su tutti; il flash istantaneo delle luci di un varietà infantile e adolescenziale.

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In questo trapuntare di volta in volta i temi dominanti, l’attraversamento dei significati si annoda nel distacco più che nell’unione, nell’abbandono, nella sottrazione dei viventi. Di Palmo è un poeta che manifesta continuamente l’orfanità, e come scrive Giancarlo Pontiggia nella prefazione, si forma sulla scrittura ossessiva, spesso patologica, espressionista e allo stesso tempo visionaria, come in certe ripercussioni di Camillo Sbarbaro e Clemente Rebora, ma anche di Giorgio Caproni e di un poeta della sua generazione, Francesco Scarabicchi.

Non manca una parte consistente offerta, più che dedicata, ai diseredati, agli emarginati. Il poeta veneziano (ma il padre era pugliese) si concentra su una poesia di stampo diaristico, dalla forma volutamente prosastica, narrativa, tenuta in tensione senza mai un abbassamento di tono e di livello.

In questi versi è tutto necessario e nulla superfluo: Pasquale Di Palmo si muove all’interno di un nucleo, mai intorno ad esso. Lo dimostra con Trittico del distacco (Passigli 2016), una raccolta che parte da lontano, includendo rivisitazioni di testi contenuti in altre silloge. Inizia con una poesia ficcante che si infrange sul presente provenendo dal passato remoto:

“Sogno di essere l’adolescente / che gioca interminabili partite / sulla piattaforma in cemento della Gescal, / con il vento che affila volti e fianchi”;

“Per anni mi sono chiesto perché / appaia un cane nero / in quell’immagine che tanto stride / con i ritratti a mezzobusto / di quelli che ci sono e non ci sono”.

L’io di Pasquale Di Palmo è essenzialmente privato, ma lo slancio immaginativo aderisce alla vita propria e di una comunità, o meglio di un rione, di un gruppo di amici che crescevano spensierati giocando a pallone e che maturando si sono un po’ persi di vista. Il trasporto memoriale ricuce generazioni di soggetti in questo sofferto distacco e rapprende ad intermittenza episodi come quadri prospettici, fotogrammi filmici.

children-1033444_640-2.jpgIl padre che sta morendo viene salutato in dialetto veneziano perché la lingua sia nudità, espressione di getto, estrema confidenza.

La prima sezione si intitola Addio a Mirco, il cugino del poeta morto suicida nel 2010, al quale è riservata la poesia Xolótl, una divinità azteca legata al culto del sole e con il muso di un cane. E’ di questa sezione il tratteggio del vecchio claudicante con “i baffoni impregnati di schiuma” e dei down che sbucano “glabri e rincagnati” da un vicolo. Di Palmo acquisisce anche descrizioni solenni della natura, come quando chiude un componimento facendo leva sulla bellissima metafora:

“Il cielo ha un colore schiacciato, di decomposta aringa”.

La seconda sezione, Centro Alzheimer, contiene i testi di apertura e di chiusura in un dialetto corrente, mentre il padre viene accostato ad un albero dimenticando la sofferenza di chi non ha bisogno dell’altro, proprio come si trattasse di un essere vegetale. L’occhio riprende e germina un’inquietudine di parole:

“E’ apparsa all’improvviso / come una stigmate su un palmo / lo sfregio di una lama su un bel volto”. Ancora: “Masticano parole senza senso, / si assopiscono sul castello / sbilenco delle vertebre / dopo aver roteato gli occhi”.

trees-1406760_640-2.jpgIl padre nel baccello della carrozzina contrassegna la ferita aperta della morte imminente, il male replicato, straziante, corrosivo in un’accumulazione di sguardi tra i letti dell’istituto di cura.

La terza sezione, I panneggi della pietà, è ispirata da una foto dei genitori mentre si recano alla celebrazione del loro matrimonio nella chiesa di San Francesco della Vigna a Venezia. Si tratta di lacerti narrativi, di brani in prosa (vera e propria prosa d’arte) dove i luoghi sono ripercorsi nelle botteghe, nelle viuzze e nelle palazzine. La visionarietà di Di Palmo delimita lo spazio di vitalità, la polivalenza del ricordo dell’infante: la canicola (partita di calcio a sette); i nomignoli, i gesti, le sembianze. Si va dal giocatore con i calzettoni abbassati e i basettoni, al postino centravanti, tra linee tracciate con il gesso sul “terreno duro come la petraia”.

chest-949119_640-2.jpgGli oggetti domestici rappresentano un ulteriore segno del tempo che si incunea nel distacco e si addentra nei gradini ripidi in legno e nel baule sempre sigillato, evidentemente un prezioso scrigno di famiglia. La poesia, ce lo dice proprio Di Palmo, “è un dono sullo scheletro delle labbra”, una fiammella accesa nell’avvenimento della giovinezza che non schiva, purtroppo, la durezza della morte.

Alessandro Moscè

“Trittico del distacco”

di Pasquale Di Palmo, Prefazione di Giancarlo Pontiggia, Postfazione di Maurizio Casagrande, Passigli, 2015 (euro 12,50)

pasquale_di_palmo-2.jpgPasquale Di Palmo è nato al Lido di Venezia nel 1958. Ha pubblicato le raccolte di poesie “Quaderno del vento” (Stamperia dell’Arancio, 1996), “Horror Lucis” (Edizioni dell’Erba, 1997), “Ritorno a Sovana” (Edizioni L’Obliquo, 2003), “Marine e altri sortilegi” (Il Ponte del Sale, 2006) e varie plaquettes, tra cui “Addio a Mirco”, con illustrazioni di Pablo Echaurren (Il Ponte del Sale, 2013). Sue poesie sono apparse in numerose antologie e riviste, tra cui «Nuovi Argomenti», «Paragone» e «Poesia». Ha stampato i saggi “I libri e le furie” (Joker, 2007) e “Lei delira, signor Artaud. Un sillabario della crudeltà” (Stampa Alternativa, 2011). Ha curato e tradotto diversi volumi, tra cui opere di Artaud, Corbière, Daumal, d’Houville, Gilbert-Lecomte, Huysmans, Metz, Michaux e Radiguet. Ha inoltre curato “I surrealisti francesi. Poesia e delirio” (Stampa Alternativa, 2004), “I begli occhi del ladro di Beppe Salvia” (Il Ponte del Sale, 2004), Neri Pozza. “La vita, le immagini” (Neri Pozza, 2005), “Saranno idee d’arte e di poesia. Carteggi con Buzzati, Gadda, Montale e Parise di Neri Pozza” (Neri Pozza, 2006), “Album Antonin Artaud” (Il Ponte del Sale, 2010).

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Alessandro Moscè
Alessandro Moscè è nato ad Ancona (Marche) nel 1969 e vive a Fabriano. Ha dato alle stampe le raccolte poetiche L’odore dei vicoli (I Quaderni del Battello Ebbro 2004), Stanze all’aperto (Moretti & Vitali 2008, finalista al Premio Metauro), Hotel della notte (Aragno 2013, Premio San Tommaso D’Aquino) e la plaquette in e-book Finché l’alba non rischiara le ringhiere (Laboratori Poesia 2017). E’ presente in varie antologie e riviste italiane e straniere. Le sue poesie sono tradotte in Francia, Spagna, Romania, Venezuela, Stati Uniti, Argentina e Messico. Ha pubblicato il saggio narrato Il viaggiatore residente (Cattedrale 2009) e i romanzi Il talento della malattia (Avagliano 2012), L’età bianca (Avagliano 2016), Gli ultimi giorni di Anita Ekberg (Melville 2018).

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