Normandia – Germania: Un’estate di terrore.

Le due settimane tra il 14 luglio e oggi sono state per l’Europa una via crucis di sangue e di violenza, snodatasi tra Francia e Germania e sfociata nell’assassinio di padre Jacques Hamel, 86 anni, nella chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray, in Normandia.

Mai come in questo momento due concezioni della religione si sono contrapposte in modo chiaro, brutale e drammatico. Da una parte c’è l’idea di un libero cammino di fede; ci sono persone che in un mattino d’agosto pregano in una chiesa circondata dalle case e poi dai campi. Sono in pochi, meno di dieci, ma questo non li turba. Sono cattolici, ma potrebbero anche appartenere a un’altra confessione. La forza del loro esempio non sta nella liturgia che celebrano, ma nel modo in cui la celebrano. Nel raccoglimento e nel rispetto per gli altri.

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Dall’altra parte c’è una concezione della religione che vuole vendetta e dominio; che fa della violenza lo strumento della propria fede. Ci sono persone che in un mattino d’agosto sgozzano un sacerdote di 86 anni urlando « Allah è grande!». Ci sono le ultime immagini di una catena di atti sanguinosi, che da millenni gli uomini dicono di compiere nel nome di un loro dio.

La tragedia consumatasi martedì 26 luglio in Normandia pone il problema di riflettere sull’una e sull’altra di queste concezioni. Non si tratta di scegliere tra una religione e l’altra, ma tra un modo e l’altro di vivere la religione o comunque di vivere le nostre convinzioni. Tra l’idea di coniugare i nostri valori (siano essi religiosi o no) sul paradigma essenziale della tolleranza e l’idea di imporli agli altri con la prevaricazione e la violenza. Da una parte c’è il rispetto e dall’altra l’imposizione. Da una parte la volontà di costruire e dall’altra quella di distruggere. Da una parte la logica dell’
«occhio per occhio, dente per dente» e dall’altra quella del «porgere l’altra guancia». Logiche opposte (anche se per la verità le nostre guance sono proprio incastonate tra occhi e denti).

Anche prescindendo dalle considerazioni anatomiche, la riflessione non può finire qui. Il modo di vivere la religione è tanto più elevato, nobile e degno quanto più sa distaccarsi dalle diatribe quotidiane. Evitando di dare spazio a chi parla di «scontro di civiltà» papa Francesco e i vescovi francesi hanno fornito una dimostrazione di coraggio e di buon senso. Ma la percezione della realtà da parte dello Stato è (e deve essere) diversa rispetto a quella vissuta da chi si colloca in un’ottica soprannaturale. Lo Stato deve pensare «solo» a questo modo e di questi tempi deve sforzarsi di farlo bene. La priorità dello Stato e delle sue istituzioni deve imperativamente essere la sicurezza dei suoi cittadini. Per lo Stato non ci sono occhi, denti e guance; ma leggi da far rispettare ed eventualmente da modificare per renderle più efficaci. Lo sappiamo bene noi italiani, che anche grazie al rigore dello Stato e alla modifica di alcune disposizioni giuridiche abbiamo sconfitto il terrorismo e cerchiamo oggi di sconfiggere le mafie.

Ecco i francesi (compreso quel François Hollande che nel febbraio 2004, quand’era leader di partito, andò a omaggiare il terrorista italiano Cesare Battisti, sollecitandone la liberazione) rendersi conto che il nostro successo nella lotta al terrorismo non fu soltanto la conseguenza di una nuova strategia nel campo della sicurezza, ma fu anche (e soprattutto) la logica conseguenza della presa di coscienza di una società tutta intera di fronte alla tragedia del terrorismo. I terroristi (di qualsiasi natura politica, etnica o politico-religiosa) prosperano quando possono disporre di una «zona grigia» di non-ostilità nei loro confronti, ma affondano quando l’estrema gravità dei loro crimini li isola completamente dalla società.

L’assassino del sacerdote in Normandia aveva tentato di andare in Siria a fare la sua rivoluzione nel nome del fanatismo islamico sunnita, ma era stato intercettato perché le sua stessa famiglia aveva allertato la polizia francese. Se ogni famiglia europea nelle stesse condizioni informerà le forze dell’ordine, il terrorismo sarà più isolato e la nostra sicurezza sarà meglio tutelata. Certo quei giovani rischieranno la galera o magari dovranno passare per appositi «centri di deradicalizzazione», ma per le famiglie sarà sempre meglio che vederli morti.

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Sento l’obiezione del lettore, che mi dice : «Ma l’esperienza francese non è proprio la prova del fallimento di questa teoria? In fin dei conti l’assassino del prete ha potuto agire indisturbato, perpetrando il proprio crimine al ritorno dal mancato viaggio in Siria!». Riflettiamo su quel che è avvenuto. Il giovane è stato messo in prigione in Francia (dopo due tentativi di viaggio in Siria) ed è stato liberato la scorsa primavera su decisione del magistrato competente. La procura ha fatto appello ma un collegio di magistrati ha confermato la liberazione (anche se con la clausola del controllo, rivelatosi assolutamente insufficiente, attraverso «braccialetto elettronico»). Alcuni rappresentanti dello Stato – poliziotti, gendarmi e Procura – hanno dimostrato determinazione e competenza. Forse non si può dire la stessa cosa di altri rappresentanti delle istituzioni francesi.

Isolare i terroristi nella società significa anche isolarli rispetto a quella grande maggioranza degli islamici europei, che vogliono integrazione nel rispetto della propria religione. Tocca a loro schierarsi apertamente contro chi usa l’Islam sulla base di una delirante deriva settaria, di cui moltissimi musulmani si sentono vittime in Medio oriente e in anche in Europa. Vittime di attentati (dalla Turchia all’Iraq e all’Afghanistan, dove in questi giorni le bombe hanno fatto stragi rivendicate dall’Isis) e vittime del blocco di quelle politiche di integrazione di cui percepiscono giustamente la necessità.

Occorre che le comunità islamiche europee contribuiscano in modo sempre più chiaro all’isolamento dei violenti. L’Isis parla di «scontro di civiltà» Oriente-Occidente, Islam-Cristianesimo. Ma la realtà è diversa. Lo scontro è tra un’Europa che vuol crescere insieme, con tutte le sue diversità, e la barbarie totalitaria degli intolleranti.

Alberto Toscano

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Alberto Toscano
Alberto Toscano est docteur en Sciences politiques à l’Université de Milan, journaliste depuis 1975 et correspondant de la presse italienne à Paris depuis 1986. Ex-président de la Presse étrangère, il est l’un des journalistes étrangers les plus présents sur les chaînes radio-télé françaises. A partir de 1999, il anime à Paris le Club de la presse européenne. Parmi ses livres, ‘Sacrés Italiens’ (Armand Colin, 2014), ‘Gino Bartali, un vélo contre la barbarie nazie', 2018), 'Ti amo Francia : De Léonard de Vinci à Pierre Cardin, ces Italiens qui ont fait la France' (Paris, Armand Colin, 2019), Gli italiani che hanno fatto la Francia (Baldini-Castoldi, Milan, 2020), Mussolini, "Un homme à nous" : La France et la marche sur Rome, Paris (Armand Colin, 2022)

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