Amministrative : Quale futuro per le città ?

Dopo una campagna elettorale un po’ sottotono finalmente ci siamo. Il 5 giugno si vota per le amministrative. Un voto importante e su cui occorre ragionare per il bene di tutti. Gli innominabili sondaggi sembrano dire che ad oggi, tutte le strade sono possibili. Come era logico l’attenzione dell’informazione si concentra sulle due capitali: quella morale Milano e quella reale Roma.

Ormai manca davvero poco. Il 5 giugno si vota e i cittadini non devono perdere l’occasione per scegliere quale futuro per le loro città. Ed è essenziale che il voto non sia condizionato da fattori terzi, il governo, il referendum costituzionale. Occorre non cadere nella trappola di voler sempre dare un altro significato al voto. Per questo è bene subito risolvere un dubbio: questo voto non ha alcun peso sul governo o sul futuro politico nazionale, ha un grande senso per le città che devono valutare come hanno operato i sindaci uscenti e cosa propongono i programmi delle liste in corsa, se i sindaci candidati sono affidabili, preparati e competenti. L’onestà, in ogni caso, va data per scontata e certo non puo’ essere un segno di capacità.

Sono due le “battaglie” più attese. Quella per la capitale “morale” Milano e quella per la capitale effettiva, Roma.

Salvo sorprese, a Milano il duello è a due tra il PD Sala, vincitore delle sue primarie (primarie che hanno funzionato e senza contestazioni), un moderato già presidente di Expo che lo scarso anno è stato l’evento mondiale per eccellenza. Il suo competitor è l’imprenditore Parisi che ha raccolto il consenso unanime di tutto il centrodestra.

Parisi e Sala per Milano

A Milano siamo alla prova generale di un accordo che possa riunificare la destra su un progetto che ne consenta un rilancio. Cosa non facile e smentita subito da quanto avvenuto a Roma dove la frattura tra la destra populista di Salvini e Meloni si è staccata dalla destra moderata e padronale dei forzisti. In effetti si tratta di due mondi davvero separati. I populisti della Lega sono visceralmente antieuropeisti, i forzisti fanno parte del PPE (Partito Popolare Europeo) e quindi evidentemente sono degli europeisti, critici, ma europeisti. Fratelli d’Italia e Lega sono lepenisti, una deriva che peraltro è xenofoba e nazionalista, evidentemente i moderati no.

Ma la destra è attraversata anche da una difficoltà di leadership. Appare a tutti evidente (tranne che all’interessato) che il tempo di Berlusconi sia finito, ma ogni tentativo di giungere a delle primarie di destra si è arenato davanti all’anomalia di un partito ormai in confusione e retto da una sorta di padre padrone, non disponibile, di fatto, a cedere ad altri il comando. Una versione del partito proprietario che ha solo un altro esempio con il M5S che, ancora una volta di fatto, resta nelle mani del “garante” Grillo e semmai della società Casaleggio associati.

Tuttavia appare evidente che la strada tracciata con l’accordo di Milano, è per la destra la strada. L’unica che possa permettere all’area liberale, liberista e conservatrice di essere competitiva contro il centrosinistra e il suo partito pilota, PD.

Nel capoluogo lombardo i Cinque Stelle appaiono fuori dai giochi, al contrario di Roma, dove fino ad un paio di settimane fa erano dati con Raggi sicuri di arrivare al ballottaggio. Vista la frantumazione nel centrodestra, con Marchini (a cui non sembra giovare l’appoggio di Berlusconi) e Meloni che si spaccano a metà i consensi, appare più che probabile che il duello finale sarà tra la stessa Raggi e Giachetti, esponente del nuovo corso PD, che ha già indicato quale sarà eventualmente la sua squadra di governo. A sinistra c’è anche Fassina ma il suo contributo appare davvero minimo e non capace di sortire effetti significativi, nel bene e nel male, sul candidato Giachetti che gode anche del sostegno, fra gli altri, di Italia dei Valori e dei radicali.

La Raggi corre da sola, o meglio corre per i Cinquestelle e affiancata da un mini direttorio che dovrà valutare la sua condotta, qualora fosse sindaco. Chi controlla il direttorio è, evidentemente, la Casaleggio associati e Grillo. Insomma, una bella catena di controllori e controllati, che sembrano ridurre l’eventuale gestione della cosa pubblica ad una cosa privata secondo le loro regole interne e le loro consuetudini.

Per altro, la Raggi dopo alcune gaffe tenta il recupero sostenendo che lei ha le mani libere ed assicurando che dovrà dare conto solo ai suoi elettori e non a Grillo. Qualche dubbio permane, vista la querelle ancora irrisolta con Pizzarotti a Parma.

Al di là dei programmi, dell’eventuale e storica vittoria dei grillini, bisognerà verificare la determinazione della Raggi nel rimuovere i pesanti macigni che, ancora oggi, ostruiscono l’effettivo funzionamento della capitale, che negli anni ha maturato tra la parentopoli di Alemanno e l’insipienza di Marino, vizi e guai che ne pregiudicano l’immagine e il concreto funzionamento. Basti pensare a “Mafia capitale”, ai piccoli e grandi casi, sempre scandalosi, di inefficacia dei servizi pubblici, scioperi continui che paralizzano e danneggiano il trasporto pubblico, ai vigili urbani che all’ottanta per cento si erano ammalati durante le feste di Capodanno, alle scarse condizioni di igiene e al complicato ordine pubblico, per non parlare delle emblematiche buche su cui i romani hanno con il loro puntuale umorismo discettato in ogni modo.

La Raggi avrà le mani libere? E soprattutto avrà un’adeguata esperienza e spalle forti per poter dire dei no e scegliere, assumendosi la responsabilità, anche cose dolorose e magari impopolari?

Raggi e Giachetti per Roma

Perché per far venire fuori Roma dalle sue ambasce sarà necessario anche una dose d’impopolarità e di decisionismo. I Cinque Stelle hanno forse l’occasione per diventare una forza di sistema, di poter governare quella metropoli ma si troveranno, nel caso di vittoria, non più nel comodo ruolo di oppositori a tutto e a tutti, ma dovranno immergersi nella complessa e spesso meschina arte della politica e del compromesso, bilanciando dei si con dei no, e questa volta non a dei partiti ma ai romani.

Nelle altre città. Si ha la riprova che il voto, come giusto che sia, segue il filo di un racconto locale. A Napoli potrebbe esservi la conferma dell’arancione De Magistris, l’unico competitor credibile appare Lettieri, di destra, che gode di un certo consenso nel capoluogo campano, mentre fuori gioco sembrano Brambilla di M5S e la Valente per il PD, risultata vincente nelle martoriate e controverse primarie che l’hanno vista opporsi a Bassolino. A Napoli il PD ha davvero bisogno di un rinnovamento che fin qui è mancato. I napoletani conoscono la loro città e probabilmente auspicano questo rinnovamento che tarda, e probabilmente tutto questo danneggerà la Valente come qualunque altro candidato che si presentasse in quel complesso mondo che è il PD napoletano e campano. In tal senso l’appoggio locale di Verdini suona più come un danno al PD che un aiuto alla candidata.

A Torino Fassino chiede conferma ma ha una competitor insidiosa nella grillina Appendino e non si puo’ giurare sul rinnovo della carica per l’attuale sindaco. Nella città, malgrado le recenti assunzioni alla Mirafiori, si respira un’aria difficile e monta un certo malcontento verso la passata amministrazione.

Naturalmente si vota in moltissimi altri comuni, ma questi quattro ci sembrano i più significativi per un test sulla politica locale e sulle aspettative di rinnovamento dei cittadini. Non resterà che aspettare e vedere.

Nicola Guarino

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.

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