E così è nato a Venezia il primo ghetto ebraico della Storia, 500 anni fa…

Breve storia di una parola e di un luogo che sono diventati un simbolo dei nostri tempi. “Geto” (pronunciato alla veneziana “gheto”) indica un flusso, un getto di metallo, ma indica anche il nome dell’isolotto di Venezia, noto per le sue fonderie, e poi dal 29 marzo 1516, sotto il dogado di Leonardo Loredan, il luogo dove verranno concentrati tutti gli ebrei della città, che seppure utili al commercio e all’economia della Repubblica erano invisi alla religiosa Serenissima. A 500 anni dalla creazione del primo ghetto ebraico, quello di Venezia, andiamo a conoscere come è nato e si è sviluppato.


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Quella del Ghetto di Venezia, di cui quest’anno si celebrano i 500 anni della sua nascita, è una storia forse poco conosciuta, nata in questa città dove quasi tutto acquista valore particolare. Anche quella del Ghetto, nella sua peculiarità, rappresenta un altro primato: quello di essere stato il primo della storia. Nato per ragioni diverse da quelle che la cronaca recente gli ha cucito addosso, deve la sua origine al nome stesso che, nel dialetto locale, “Geto” indica un flusso, un getto di metallo fuso, “el geto de rame del nostro comun” come venne descritto dagli stessi veneziani dopo che alcune famiglie benestanti acquistarono il terreno di un isolotto dando vita così alla prima fonderia al servizio della Serenissima Repubblica.

Al rame fuso veniva unito il bronzo per una lega più resistente che doveva servire a fabbricare cannoni e munizioni e quant’altro serviva ad allestire le flotte delle galee che solcavano il mediterraneo nei loro viaggi. Inizialmente le maestranze erano quasi tutte veneziane, un manipolo di operai trasferitosi nel Sestiere di Cannaregio e precisamente nelle zone tra San Marcuola e San Geremia. E’ bene ricordare che Venezia, a quel tempo, non aveva ancora la forma conosciuta oggi. Era un’ insieme di isolotti distanti tra loro poche decine di metri, raggiungibili con delle “tolette” (tavole di legno) che si mettevano tra una riva e l’altra.

Dal libro di D.Calabi – U. Camerino – E. Concina La città degli ebrei – Il ghetto di Venezia architettura e urbanistica – Marsilio Editore leggo: Non ci sono dubbi. Il luogo del ghetto è la fascia di terreno che dall’ampio e profondo canale di Cannaregio raggiunge un rio minore, al di là del quale sta, alla metà del XIV secolo, un’isola fangosa. La prima è stessa area che più tardi sarà chiamata il Ghetto Vecchio: e questa soltanto .

Bombarda

Al pari della Casa del Canevo, le grandi Corderie pubbliche create tra il 1200 e il 1300 e la Casa dell’Arsenale dove si fabbricavano le galee (oltre 10.000 i lavoranti impiegati) anche al Geto de Rame ci si preoccupò subito di darle una propria organizzazione amministrativa e direzionale.

I Domini sono gli stessi proprietari del fondo che, di padre in figlio, continueranno nell’impresa, migliorando la resa degli altiforni (ne furono costruiti ben 14). Le trasformazioni del Geto nel corso di quei primi decenni sono rapide e intense. Si provvide alla bonifica del luogo interrando le zone acquisite. Si costruisce poi il primo casone, una baracca di legno usata dai maestri delle “bombarde” (cannoni) per fondere i primi pezzi di artiglieria. L’avvio è già segnato. Siamo ancora nel 1432, quasi un secolo prima del suo riconoscimento ufficiale.

Ma non tutto sembra andare nel verso desiderato. Ci vorranno altri proprietari, altre offerte d’asta per dare stabilità economica alle fonderie. Il primo isolotto definito Geto vechio non assicura più la fusione necessaria al sempre più crescente bisogno di cannoni e munizioni. Si costruirà un ponte per unire un altro isolotto e dare vita al Geto Novo. Sarà la volta poi delle prime abitazioni.

Nei primi anni del 1500 una famiglia benestante, i Minotto, rappresentano la nuova forza economica che guiderà le sorti delle fonderie, investendo capitali considerevoli. Ben 2700 ducati d’oro è la somma usata per edificare una trentina di casette. Saranno loro, assieme ai Da Brolo, i veri padroni del Ghetto per circa un secolo e mezzo. Nell’ultimo tramonto del Medio Evo i fratelli Da Brolo si daranno da fare per acquistare altre zone ed allargare i confini del Gheto Niovo Le fonderie nello spazio acquisito delimitano una zona ben precisa ed hanno una forma pentagonale.

Si ma, potrà chiedersi il lettore, in questa prima parte gli Ebrei dove stanno? Qual’era la loro posizione in città?

Siamo già nel 1515 e la molteplicità dei rapporti economici dell’ancora esigua comunità ebraica sono già presenti nel tessuto urbano. Diverse famiglie ebree abitano nelle zone intorno a Rivo Alto (l’attuale Rialto): San Cassian, Sant’ Agostin, San Polo, Santa Maria Mater Domini. Qui il giro degli affari è particolarmente significativo perchè rappresenta il crocevia dello spazio commerciale di tutta la città, popolata da gente di ogni tipo, dove si incrociavano e si trattano i prezzi delle merci per le rotte marittime così come per i varchi verso la Germania, Francia, Olanda ecc.

Famiglie ebree abitano un po’ ovunque frammiste ad altre veneziane, ma la loro presenza comincia a creare problemi quando si avverte che il loro peso economico diventa sempre più forte. Venezia affonda le sue radici nella storia della cristianità. Nessuno può intaccare questo patrimonio che diventa irrinunciabile quando da lì a qualche decennio, si penserà di edificare nuove chiese. In quelle già esistenti si moltiplicano i sermoni contro gli ebrei giudicati amorali per i loro traffici poco regolari, per gli alti tassi di interesse messi in atto sulle somme di denaro prestato. L’usura allargatasi, è condannata.

Il ghetto oggi.

Si pensa di confinarli nella vicina isola della Giudecca, poi si fa il nome di quella di Murano. Angelo Emo, che faceva parte del Consiglio dei X in una riunione del Senato cittadino ebbe a dire: “Bisognerà mandarli tutti a star in Geto novo, ch’è come un castello, e far ponti levadori e serar di muro: abino solo una porta la quale etiam la serano e stagino lì; e le barche dil Consejo di X vadino et stagino lì do di esse la note.”

Già intorno al 1520 per favorire l’ingresso delle famiglie ebree nel Ghetto tra i proprietari dei fondi e il governo della Serenissima si stipularono garanzie di natura economica che avessero come effetto quello di calmierare le tasse che gli stessi dovevano, togliendo l’imposizione della decima. Il luogo, a quanto sembra, rende ad entrambi una tranquilla coesistenza: se vengono rispettate le leggi, non ci sono problemi. Anche l’intervento pubblico nell’assegnazione degli alloggi troverà concordi gli stessi proprietari. Norme severe impongono che ogni famiglia ebrea non potrà avvalersi del diritto di riscatto. Se dovessero trovare sistemazioni in altre parti, la casa ritornerà ai legittimi proprietari. Ma nel corso dei decenni successivi queste norme furono oggetto di revisione. A chi faceva modifiche o ne migliorava l’abitabilità venivano concesse riduzioni sull’affitto.

Tralascio ciò che riguarda la parte dei contratti tra le parti (notazioni che vengono dall’importante lavoro archivistico compiuto dai tre autori del libro testimoniato dalle infinite note in coda ad ogni capitolo) così di tante altre notizie che richiederebbero uno spazio immenso considerata la storia del Ghetto.

Con il passar del tempo il Ghetto diventò la sola parte veramente ebrea della città dove l’elevazione edilizia trasforma intere zone. Gli spazi angusti richiedono altre modifiche. Si eleva “l’aere” dove aere sta per “aria” la sola parte che consentisse agli ebrei una nuova abitabilità innalzando gli edifici. Da quelle casette fatte con tole (tavole) si passò a quelle in muratura. Il resto fu la conseguenza di un miglioramento che fosse in linea con i tempi considerate le migliorate condizioni di vita degli stessi ebrei. Se ad una prima esamina il confinamento della comunità ebraica può apparire come punitiva non è vista così dagli stessi ebrei che in questa zona della città vedono la configurazione di un lembo di quella terra promessa mai verificatosi altrove. Non è esagerato definire il Ghetto di Venezia come “la prima casa madre”, pezzo unico di quella nazione israelitica ancora lontana dall’essere considerata come possibile.

Dal documentario Il Ghetto di Venezia, 500 anni di vita di Emanuela Giordano

In città convivono già altre comunità: quelle dei Tedeschi, quella dei Turchi, dei Greci, Armeni, Persiani, Albanesi la cui presenza è testimoniata dai Fonteghi (Tedeschi e Turchi) dalla Salizzada (Greci) da una Calle (Albanesi). Agli Armeni fu concessa un’isola che ancora oggi porta il loro nome. A tutte il governo della città chiederà il rispetto degli accordi convenuti, mantenendo nelle zone assegnate l’osservanza del decoro abitativo. Venezia doveva sempre apparire agli occhi dei visitatori, coma quella città in grado di attirare chiunque. Abitare in una comunità restando uniti, sorvegliati dentro ad uno spazio ben preciso aveva anche dei vantaggi. Da molti era ritenuto una conquista, una garanzia contro la discriminazione messa in atto anche da una certa parte dell’aristocrazia cittadina.

Le Sinagoghe

Il problema di esercitare il culto religioso era avvertito dagli ebrei molto di più di quanto non fosse nelle altre comunità. La prima sinagoga di cui si hanno notizie certe è quella denominata Scuola Grande Tedesca. Siamo nel 1566 e la sua ubicazione era all’interno di un edificio al terzo piano. Quella dell’ elevazione al piano più alto si rifà a quanto suggerito in un versetto del Libro dei Proverbi: “La Sapienza, infatti, chiama dai luoghi più alti della tumultuosa città”.

C’è tutta la sapienza ebraica nel ricercare la luce. Da lei deriva la sicurezza, la tranquillità, la pace. La luce è forza, opera divina. All’origine del pensiero c’è “il principio”, la forza originale del Creatore che diventa luce. Il Tempio (la sinagoga) è il luogo della luce divina.

La sinagoga

Di sinagoghe nel corso dei secoli, ne vengono costruite altre, tutte rispondenti ai criteri ora descritti. Oltre a quella Tedesca, c’è quella Canton, poi quella Italiana, poi la Levantina infine la Spagnola. A queste successivamente se ne costruirono altre considerate minori, che facevano come da spartiacque con altre zone- limite della città. Diventano gelose custodi dei Testi Sacri, dei Rotoli della Legge. Sorvolo sulle caratteristiche architettoniche che meriterebbero uno spazio adeguato. Allora era sufficiente che qualsiasi ebreo venuto in città, potesse trovare ospitalità ed un tempio dove poter pregare in pace.

Appare evidente che il Ghetto col passare del tempo diventa sempre più un’isola, quasi una piccola città. Le trasformazioni messe in atto ne hanno fatto un luogo adatto alle caratteristiche di chi lo abita, dove pure le attività lavorative trovano i loro spazi consentendo agli stessi abitanti una vita più decorosa, abbandonando quel sentimento che li faceva sentire “senza una patria”, eterni “ebrei erranti”.

I patti dovevano però regolare la loro coesistenza con il resto della città. Verso la fine del 1500 erano ancora in uso i divieti di aprire osterie e sinagoghe per evitare ogni possibile commistione sia di tipo religioso che conviviale. A loro non era concesso inoltre di “imparare” un mestiere o tutti quei lavori che potessero fare di loro dei competitori con i veneziani residenti e/o appartenenti alle corporazioni. Non potevano diventare orefici o sartori, neppure lavorare il cuoio. Questo perchè il volere dell’amministrazione senatoriale impediva una loro completa indipendenza.

Ma quanti erano gli Ebrei residenti nel Ghetto? Dalle note riportate le cifre dicono che nel 1581 gli ebrei censiti erano 924 ed abitavano sia nel Ghetto Vechio sia in quello Novo. Quaranta anni dopo, nel 1642, erano già 2691, 1764 in più per poi calare, nel 1790, a 2034. Ecco dunque che anche nelle cifre emerge un dato significativo: non è solo un calo demografico peraltro avvertito anche nel resto della città a preoccupare, quanto la diminuita importanza che Venezia ha nello scacchiere europeo. Se prima la Repubblica Serenissima era la regina incontrastata del Mediterraneo, adesso ne è quasi la sua controfigura. I traffici mercantili sono in netto calo perché i mercati europei hanno trovato altri porti.

Dal documentario Il Ghetto di Venezia, 500 anni di vita di Emanuela Giordano

La vita nel Ghetto

Se l’uso abitativo delle case era strettamente regolato da ferrei provvedimenti, quelli che regolarono le arti e i mestieri non lo erano da meno. Già si è visto che agli ebrei era impedita qualsiasi attività che non fosse quella della loro sopravvivenza, ma con il passare del tempo tutto, o quasi, cambiò. Pur mantenendo le normative in uso nei tempi precedenti, ai sempre più numerosi ebrei viene concesso, seppure a loro rischio e pericolo, di poter uscire dal Ghetto incontrando altra gente, stabilire scambi, aumentare il numero degli affari. Anno dopo anno alcuni di loro ottengono di essere riconosciuti all’interno delle categorie artigianali (le Mariegole). Dentro al Ghetto c’è una maggior libertà. C’è chi afferma che non è azzardato immaginarlo come una gigantesca Casbah, un caravanserraglio pieno di colori, odori, rumori, di gente che va e viene, dove, inevitabilmente avvengono sotterfugi o, peggio, accordi sottobanco. Con il passar del tempo i cordoni del controllo veneziano si fanno più larghi ed il Ghetto, soprattutto per la riconosciuta capacità di contrattare dei suoi abitanti, diventa un punto importante per la città.

Cadono molti divieti, si aprono nuove porte, nuove fondamenta alle cui rive arrivano barche pronte a scaricare merci ad uso degli ebrei. Il perimetro si allarga. Una nuova zona (Il Ghetto Novissimo) completerà la sempre più forte richiesta d’abitabilità a cui le autorità non potranno opporsi. Il sogno immaginato da tanti si stava realizzando. Potersi muovere con maggior libertà, arrivando magari anche nei luoghi del maggior mercato cittadino: Rialto da cui erano stati espulsi secoli prima.

Nel 700-800 ciò che allarmava di più sono le abitazioni rese poco stabili dai continui innalzamenti. Troppe le palazzine costruite per reggere tre, quattro piani, sono arrivate a sei, sette. Urgono lavori di ristrutturazione. Si temono anche i terremoti che avrebbero conseguenze disastrose sulla stabilità dell’intero Ghetto. In alcuni casi, come nelle case costruite nel 1500, si provvede a demolizioni. Attenzioni particolari si adottano per le Sinagoghe ritenute un patrimonio architettonico e culturale oltreché i simboli della comunità stessa.

Chi entra oggi nel Ghetto si troverà di fronte ad una realtà non molto diversa da quella del resto della città. Le architetture abitative sono quasi identiche, eccezione per le sopraelevazioni descritte (nel resto della città si arriva al massimo al quarto piano). Troverà poi i tipici negozi kasher con i tradizionali dolci ebraici. Se lo muoverà la curiosità non potrà fare a meno di entrare dentro ad una Sinagoga e poi al Museo ebraico per captare tutto ciò che ancora non conosce della storia di questo luogo.

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Finisco con una curiosità. L’ebreo più conosciuto al mondo si chiama Shylock e non è mai esistito. A darne vita è stato W. Shakespeare nel suo Il mercante di Venezia che scrisse tra il 1596 – 1598 dopo aver passato a Venezia un breve soggiorno ed aver letto o ascoltato una novella di un autore semisconosciuto: Ser Giovanni Fiorentino. A distanza di secoli, in tempi recenti, anche il cinema è tornato ad interessarsi di lui. Per la regia di Michael Radford ad interpretare l’usuraio Shylock è stato scelto Al Pacino. Ma pochi sanno che pure Orson Welles si calò nei panni dell’ebreo. Il film non venne mai portato a termine per mancanza di soldi. Un vero peccato: in quella manciata di tempo Welles riuscì ad offrire una grande prova del suo immenso talento.

Massimo Rosin

Da Venezia

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Donatella Calabi – Ghetto de Venise, 500 ans from Librairie Mollat on Vimeo.

 

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Massimo Rosin
Massimo Rosin nato a Venezia nel 1957. Appassionato di cinema, musica, letteratura, cucina, sport (nuoto in particolare). Vive e lavora nella Serenissima.

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