I “Liberi servi” di Gustavo Zagrebelsky – Recensione

Finché l’uomo sfrutterà l’uomo, ricordava Pier Paolo Pasolini, finché l’umanità sarà divisa in padroni e servi, non ci sarà né normalità né pace. La ragione di tutto il male del nostro tempo è qui.

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Sulle tracce dell’assunto pasoliniano sembra procedere la ricerca di Gustavo Zagrebelsky, giurista, costituzionalista, professore emerito di diritto costituzionale all’Università di Torino, una ricerca incentrata sull’enigma del potere e l’esercizio che se ne fa, e che l’autore sviluppa nell’accorsato ed interessante saggio “Liberi servi. Il Grande Inquisitore e l’enigma del potere” che Einaudi ha mandato da qualche mese in libreria. Un percorso che procede affidandosi alla letteratura, attraverso uno dei grandi narratori dell’Ottocento, F. M. Dostoevskij, rileggendone l’opera, in particolar modo I fratelli Karamazov, la storia di un parricidio, di una schiera di anime alla ricerca della verità e di una salvezza possibile, tutta spirituale, che lo scrittore russo modella sul personaggio di Alekej, facendolo obiettivo di una luce quasi accecante e sublime, priorità assoluta ed inalienabile degli eroi.

L’Autore prende spunto da un viaggio che Dostoevskij fa a Londra nell’estate del 1862, anno della Esposizione universale che proprio nella capitale britannica si svolge, dal quale torna profondamente turbato, dove piuttosto che prendere atto dello stato di progresso ne evidenzia la disperazione di un’umanità rassegnata e sottomessa. Dalla visione dostoevskijana di questa schiera di esseri vinti e soggiogati, Zagrebelsky inizia l’analisi della teoria del potere che regge le sorti dell’umanità, incamminandosi lungo il percorso tracciato dall’autore russo.

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Zagrebelsky parte da La Leggenda del Grande Inquisitore che ha come ambientazione Siviglia davanti allo scenario di eretici portati al rogo. Cristo che nel frattempo è tornato sulla terra è sottoposto agli arresti dal cardinale Grande Inquisitore, il quale nottetempo si reca a fargli visita, rivelandogli di aver posto rimedio all’opera della Chiesa per rendere efficace il governo degli uomini, dal momento che questi ultimi ritengono di rinunciare alla libertà, alla ricerca di qualcuno al quale affidarla. Da un lato la figura del Cristo, accusato di essere responsabile di tanta afflizione (Sei venuto a portare nel mondo la libertà. Ma la libertà per le tue creature è solo impazienza e sofferenza. E’ un dono, ma avvelenato), dall’altro l’Inquisitore che propone quale rimedio l’inquisizione come terapia, strumento efficace in grado di estirpare la causa del male che affligge l’essere umano. Motivo del contendere è la libertà. Qual è il messaggio che Zagrebelsky, attraverso “Liberi servi”, affida al lettore? Perché l’essere umano sembra refrattario al concetto di libertà?

L’umanità è un intreccio di bene e male, di dedizione e perversione, di slanci sublimi e bassezze innominabili, la verità dentro la quale siamo costretti. Un coacervo, l’umanità, alla continua ricerca del pane che è la sintesi di beni materiali, in una scala che dal minimo arriva fino al lusso più sfrenato e quando la vita più che agiata si identifica con il benessere, non esiste più limite al bisogno di beni materiali. La ricerca ossessiva di questo pane è il tarlo dell’Occidente. Due dunque le strade per evitare di cadere in errore. La prima è la liberazione dalla tirannia delle cose in eccesso, l’altra l’asservimento ai bisogni, l’offerta sempre crescente per soddisfarli. Nella tentazione del pane si cela un discorso molto più profondo e politico, la vera questione sociale che vieta a poveri derelitti in preda alla fame e all’oppressione di essere mansueti.

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Il Potere ha le sue fredde leggi che non conoscono passioni e compassioni e non coincidono in ogni caso con quelle degli uomini comuni. Si delinea il quadro con l’Inquisitore ed i suoi accoliti da un lato e le masse ridotte a numero dall’altro, in preda ad una doppia morale, quella che riguarda i comuni mortali ed una straordinaria che investe i governanti.

C’è un messaggio sottinteso in “Liberi servi”, e per decifrarlo credo sia necessario ritornare all’autore in premessa, quel Pier Paolo Pasolini il quale ci ricorda che un testo non è mai un’entità casuale, un oggetto astratto, bensì un prodotto fortemente legato alle idee del suo autore e che rispecchia le strutture della società nella quale l’autore vive. Chi scrive ricopre un ruolo e attraverso la scrittura interpreta i fatti storici, politici, religiosi e sociali del suo tempo, mosso da una tensione morale che gli consente di focalizzare le contraddizioni del contesto storico nel quale opera.

Zagrebelsky, attraverso l’opera del narratore russo, analizza la struttura della società contemporanea e ne focalizza le contraddizioni. L’enigma del Potere del tempo presente, che poi tanto enigma non è, non si discosta molto da quello dostoevskijano, fatte salve le modalità e le tecniche molto più sottili e subdole maturate dal decorso del tempo. E’ lo stesso autore a sottolineare nella premessa del libro la finalità del suo racconto: un testo che opera come uno specchio in cui noi riflettiamo noi stessi, alla luce delle parole dell’Inquisitore e del silenzio del Cristo, senza schermi o mediazioni. Soprattutto, un testo che, nato entro una visione generale della libertà cristiana ed esposto quasi a coronamento di questa, se n’è ormai emancipato e parla, sempre più intensamente, all’uomo contemporaneo, mettendolo di fronte alla realtà odierna della sua vita.

Ed ancora dalla quarta: all’autore interessano soprattutto gli aspetti legati alla teoria del potere; e nel monologare dell’Inquisitore di fronte al Cristo silenzioso ritrova numerosi e sbalorditivi agganci con il nostro tempo presente, che per molti aspetti sembra dare compimento al cinico nichilismo dell’Inquisitore: su tutti, la tendenza degli uomini ad accettare di vedersi sottrarre la libertà scambiandola per quella misera e obbediente di un apatico conformismo.

Gustavo Zagrebelsky. Foto La Presse.

E’ tutto raccolto in queste considerazioni il messaggio finale di Zagrebelsky, il quale s’inserisce tra gli scrittori che meglio hanno interpretato questa esigenza del suo tempo, filtrata in un testo che in apparenza è un saggio ma che alla fine si rivela un racconto dalla trama romanzesca, dove il racconto è romanzo senza cessare di essere saggio ed il saggio è racconto senza cessare di essere romanzo. Una prova di impegno morale e letterario che non tollera defezione.

Una lezione magistrale che invita a guardarsi intorno, l’appello a rivisitare una realtà storica contemporanea sottovalutata con il numero degli indigenti che s’allarga in modo esponenziale e la cerchia di chi possiede che si restringe col contagocce tra esodi biblici che stanno mutando i connotati del Vecchio mondo. L’interrogativo più preoccupante però che dovrebbe investire un ultima riflessione riguarda proprio l’Europa. Dove si sta dirigendo la culla della civiltà? O meglio dove la stanno conducendo quanti detengono il potere reale? La sensazione è che ci troviamo di fronte ad una perdita d’identità affidata solo alla ricerca di poteri economici che stanno snaturando la sovranità dei singoli stati per portarli verso una destinazione al momento ignota, di cui solo l’Inquisitore del nuovo millennio ne conosce contorni e contenuti. Una lezione, questa di Zagrebelsky, a rimeditare il concetto di democrazia per non catalogarla, come declinava Churchill, tra i regimi meno peggio a cui affidare le sorti dell’umanità, un sistema di pura e semplice facciata.

Si scrive non perché si vuol dire qualcosa, ma perché si ha qualcosa da dire, ricordava Francis Scott Fitzgerald. Con “Liberi servi” Gustavo Zagrebelsky ha dimostrato che da dire non aveva qualcosa, ma molto e l’ha fatto attraverso un testo magistrale, anche se di difficile collocazione nel panorama letterario tra il Novecento e l’inizio del nuovo millennio, per la sua capacità di rinnovare il linguaggio, per le sue onde di forte sonorità poetica, per l’investigazione profonda sull’uomo, che rivela una introspezione intimista tanto cara proprio a Dostoevskij.

Raffaele Bussi

Scheda del libro:

Gustavo Zagrebelsky
Liberi servi
Il Grande Inquisitore e l’enigma del potere

2015
Saggi
pp. XIV – 298
€ 30,00
ISBN 9788806204587
Compra il libro: Giulio Einaudi Editore
http://www.einaudi.it/libri/libro/gustavo-zagrebelsky/liberi-servi/978880620458

Altre edizioni:Liberi servi. 2015. eBook

«L’Inquisitore e, con lui, gli inquisitori di ogni tempo e di ogni specie dicono di noi che, per la nostra costituzione psichica, siamo refrattari alla libertà e cosí giustificano – per il nostro bene – l’inquisizione. Per l’Inquisitore, questa è una constatazione. Per noi che leggiamo le sue parole, è una provocazione all’acquiescenza o alla resistenza. Per questo siamo messi di fronte a una scelta che presuppone un’opera di autocoscienza».

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Raffaele Bussi
Raffaele Bussi è nato a Castellammare di Stabia. Giornalista, scrittore e saggista, collabora con importanti quotidiani e periodici nazionali. Ha collaborato a "Nord e Sud", "Ragionamenti", e successivamente a "Meridione. Sud e Nord del Mondo", rivista fondata e diretta da Guido D'Agostino. E' stato direttore editoriale della rivista "Artepresente". Collabora al portale parigino "Altritaliani" e alla rivista "La Civiltà Cattolica". Ha pubblicato "L'Utopia possibile", Vite di Striscio", "Il fotografo e la Città", "Il Signore in bianco", "Santuari", "Le lune del Tirreno", "I picari di Maffeo" (Premio Capri 2013 per la critica letteraria), "All'ombra dell'isola azzurra", romanzo tradotto in lingua russa per i tipi dell'editore Aleteya, "Ulisse e il cappellaio cieco" (2019). Per Marcianum Press ha pubblicato: "Michele T. (2020, Premio Sele d'Oro Mezzoggiorno), "Chaos" (2021), "L'estasi di Chiara" (2022), "Servi e Satrapi" (2023).

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