Le “Origini” della poetica di Giancarlo Pontiggia.

L’intera produzione poetica di Giancarlo Pontiggia è stata pubblicata recentemente (2015) per l’editore Interlinea con il titolo “Origini. Poesie dal 1998 al 2010”. Pontiggia è uno dei pochi autori che sanno unire la semplicità alla complessità, dote che coincide perfettamente con la raffinatezza e l’acutezza del suo pensiero. La grande conoscenza della poesia e del mondo poetico lo rendono uno dei critici più considerevoli e considerati nel panorama letterario italiano. La sua poesia tocca vette altissime di significato e significante. Sin dal suo esordio è stato possibile identificarlo come un autore propenso alla meditazione, al raccoglimento, alla costruzione di un pensiero organico.

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Giancarlo Pontiggia

Giancarlo Pontiggia, milanese, ha pubblicato due raccolte poetiche (Con parole remote, Guanda 1998; Bosco del tempo, Guanda 2005), un testo teatrale (Stazioni, Nuove Edizioni Magenta 2010), tre volumi di saggi (Esercizi di resistenza e di passione, Medusa 2002; Selve letterarie, Moretti & Vitali 2006; Lo stadio di Nemea, Moretti & Vitali 2013) e una raccolta di interviste (Undici dialoghi sulla poesia, La Vita Felice 2014). Traduce dal francese (Sade, Céline, Mallarmé, Valéry, Supervielle, Bonnefoy) e dalle lingue classiche (Pindaro, Sallustio, Rutilio Namaziano, Disticha Catonis). È redattore di varie riviste, fra le quali «Poesia», e critico letterario per il quotidiano nazionale «Avvenire». La sua opera poetica è stata tradotta nelle maggiori lingue, e in particolare nei volumi Selected Poems (translated by Luigi Bonaffini, Gradiva Publications, Stony Brook, New York 2008) e Orígenes (traducción de Emilio Coco, Pigmalión, Madrid 2013). L’intera produzione poetica è stata pubblicata recentemente (2015) per l’editore Interlinea con il titolo Origini.

Conosco Giancarlo Pontiggia da molto tempo per la sua fama di grande poeta e critico ma, personalmente ci siamo incontrati nel corso dell’anno passato. Devo dire che la gentilezza dei modi relazionali e la notevole capacità comunicativa, che sanno unire la semplicità alla complessità, coincidono perfettamente con la raffinatezza e l’acutezza di pensiero. La grande conoscenza della poesia e del mondo poetico lo rendono uno dei critici più considerevoli e considerati nel panorama letterario italiano. La sua poesia – tutta inserita nella raccolta che presentiamo – tocca vette altissime di significato e significante – vette che fanno impallidire quelli che io definisco i “faccendieri della poesia” ovvero sempre pronti con un testo a entrare in antologie, per un evento ad avere un libro e così via. Sin dal suo esordio – avvenuto con pubblicazioni sparse dalla metà degli anni Settanta – è stato possibile identificarlo come un autore restio a presenziare troppo il campo, più propenso alla meditazione, al raccoglimento, alla costruzione di un pensiero organico. Prova ne sia la pubblicazione del suo primo libro avvenuta nel 1998, dopo anni di lavoro sulla poesia.

ORIGINI

POESIE DAL 1998 AL 2010.

Origini, è il libro che raccoglie la totalità della composizione poetica di Pontiggia, con testi che vanno dal 1998 al 2010, ripercorrendo il cammino delle sue raccolte, da Con parole remote del 1998 a Bosco del tempo del 2005 ad altri testi editi fino ad arrivare, come detto, al 2010. Noi ci occuperemo essenzialmente delle due raccolte compiute.

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Colpisce, senza dubbio, il saggio iniziale a cura di Carlo Sini per il particolare taglio dato alla nota critica che, già dal titolo “Il miele della poesia”, promette un excursus originale sui testi. Sini, infatti, mette in evidenza un elemento che ricorre molto spesso – specie ne Il bosco del tempo – ovvero l’elemento del miele inserito in apertura o chiusura di testo, quasi a infondere per colore e aroma una sorta di segnale, indicazione di cammino di cui lo rende portatore un memoriale arcaico che lo vuole protagonista di vita e archetipo culturale, già esistente addirittura prima del vino. E, insieme al miele, non mancano menzioni alle sue produttrici, alle api, tra le quali merita attenzione quella rivolta a Le Api del Rucellai a cui il poeta dedica un testo di notevole densità nel quale ripone il desiderio di comporre versi simili alla trasparenza, all’odorosità, alla doratura proprio di quel miele prodotto dalla provvide api.

Ma, iniziando il percorso nel volume, subito ci accorgiamo di alcuni altri elementi che compongono i testi, e dai quali non possiamo staccarci se non vogliamo perdere la rotta nel suo esame. Ho letto libri in sequenza di molti autori, ho visto lavori pubblicati nel corso degli anni riprendere temi o sentimenti già trattati per riattraversarli con un nuovo impeto ma, difficilmente, mi era capitato di trovare un libro in sequenza del primo, tanto da sembrarne quasi la sua continuazione. Sì perché, se nella raccolta Con parole remote assistiamo a un attraversamento della giovinezza, contestualizzato metaforicamente nel calore e nella luminosità delle stagioni estive (nei testi si parla degli anni 60 – ’61, ’68 – e dei mesi da giugno a settembre), segnato da una profonda riflessione sul senso del tempo e delle ombre – l’inquietudine, l’insicurezza, il contrasto interiore – che comunque ne sono parte integrante, ecco che il primo testo di Bosco del tempo si apre con un’ambientazione autunnale, dove il tempo già evocato nel titolo stesso domina, o meglio continua a dominare la riflessione dell’autore. Vedremo come, dunque, la continuità di riflessione a distanza di anni, si riveli come un filo interrotto che costruisce trame di senso nel tentativo di chiedersi quale sia il porto sicuro in cui approdare, quale la direzione da prendere al crocevia della vita.

In questo diagramma poetico il Canto di evocazione che introduce al primo libro è davvero un canto che, intervallato da ritorni e rimandi, porta il lettore a confrontarsi con l’ombra, ricercata dal poeta perché nel tormento conceda l’oblio, perché diventi fiato, perché resti quale riparo, quale misura da colmare per bilanciare mente e cuore. In questa direzione di riparo e di equilibrio va anche il valore che Pontiggia dà alla nominazione e alla nascita, che rientrano nella stessa dimensione del canto, ovvero della necessità della poesia, in quanto confine del mondo stesso. Il cammino memoriale, che attraversa i mesi estivi, porta così a rivivere l’estate del sessantuno, dove un senso profondo di morte si confronta con la luminosità della vita, se pure consumata dagli anni ma, in quella sospensione di tempi che non possono unirsi, il pensiero non cambia e si culla nel vento, adagiato quasi in un sogno. E’ davvero l’età giovanile che sola si può concedere indugi e contraddizioni, euforia e disagio, certezze e follie attraversate da veli malinconici, da sfumature non ancora nostalgiche, ma leggere sull’umana visione.

Così, il poeta si rivolge al viandante – lettore quasi a suggerirgli che il tempo non è che la metà/brutale, paurosa dei pensieri, pensieri che non possono non attanagliare lui come lo stesso poeta, rivolti alla visione di un mondo che precipita, che ha perduto la dimensione umana della fratellanza e della custodia del bene (perdita dovuta, secondo l’autore, così come affermato in un capitolo di Contro il Romanticismo, dalla perdita di valori del cattolicesimo che era solarità, essenza, presenza, mediterraneità sconfitto da quel protestantesimo “freddo, rigido, nudo” che ha portato l’uomo ad essere solo con Dio “in mezzo al vuoto angoscioso”) pensieri che raccontano di quelle nere/capitali del mondo colpito/[…] tra la fine di un secolo scuro/e un altro ancora ignoto e rivolti soprattutto a una comprensione di quanto accade, senza fughe, senza mancanza di consapevolezza perché è la vita stessa che chiede di farlo.

E in un altro passaggio, come al centro della dichiarazione di poetica dell’autore, si intuisce la volontà del pensiero che solo conta, più del destino. Conta perché, nonostante tutto, non si può tornare indietro anche se i luoghi sono gli stessi e resta solo ciò che è nascosto, che non viene nominato; conta perché nel veicolare i nomi leggeri, segreti, invocati e mai tornati si rispecchia la memoria, anche quella dolorosa, che il poeta vorrebbe poter arrestare ma che fa parte del risveglio necessario che conduce alla verità. Ecco che le parole remote sono dunque quelle che, pur inserendosi nel solstizio d’estate dove esplode la pienezza della luce, si ammantano di ombre e memorie che spengono quasi l’ardore giovanile. Tra la luce e le ombre esiste e resiste, tuttavia, un ampio spazio che è possibile riempire con la parola poetica che tutto riesce a significare.

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Come già accennato in precedenza, Bosco del tempo si apre con un testo che sembra riprendere un discorso interrotto con la raccolta precedente, o quantomeno continuarne la scia. A dare inizio al libro è, infatti, Pensieri, in Autunno un testo chiaramente ambientato in una stagione diversa rispetto a quella di Con parole remote, una stagione che segue anche l’età più matura dell’autore che, già incline all’autoriflessione e alla meditazione, certo accentua queste sue peculiarità introducendo nei testi un ritmo ancora più pacato, un evidente bisogno di soffermarsi per verificare in senso antropologico quanto il tempo abbia conservato o cancellato dalla memoria immagini di vita, quanto sia stato importante l’essere presenti in un percorso di passaggio breve qual è, appunto, la vita: […] Quanti autunni hai guardato, e quante/foglie incartocciate, che danno/addio ai loro rami, quante,/mentre Orione ruotava intorno/allo zenit, e il mare, freddo, rumoreggiava? Siamo tutti/ospiti della vita – vedi -/per poco […]

Ed è proprio la memoria che pascolianamente, come osserva Gianfranco Lauretano, (saggio ne: Il mito nel novecento letterario, Liminamentis), fa indugiare l’autore sulle cose lontane, laddove egli “non chiude mai la finestra, come se si affacciasse sempre su quel mare che gli fa chiedere per chi dunque sei fatto? Questa prossimità, almeno nella memoria, del bene in presenza del male anima la poesia di Pontiggia e il suo ricorso all’epoca del mito”. Mito che chiaramente è reinterpretato in diverso modo o preso a riferimento per evidenti ritorni anche allegorici, in corrispondenza tra arcaico e presente, come osserva Massimo Morasso (nota critica in appendice a Origini, Interlinea) “l’originario […] è il punto di fuga di una prospettiva rovesciata, coltivata lungo il sottile discrimine che separa il mito dall’allegoria, al servizio di uno sguardo puntato non già sulla realtà, quanto, piuttosto, alla quintessenza della realtà”. L’arcano che ritorna, dunque, l’episodio che si fa sogno e diventa esperienza – come nel bellissimo testo Ho sognato il Tour – la memoria delle “parole prime che ancora oscillano/tra le cose” perché, come dice lo stesso Pontiggia, è così che “in fondo continuano ad apparirmi le parole della poesia”.

Un Bosco del tempo fitto di intenti e ripensamenti, di esperienze che diventano poesia, di parole originarie e archetipi con cui identificare il pensiero di un autore che non si ritrae, nemmeno, a interpretare e trovare una dimensione vivibile nella stagione invernale, certo la più significativa della vita – per alcuni la più importante, quella dove sotto la neve cresce la vita -, anche per la parola. Per quella parola che, a volte, preferisce non nominare le cose – anche qui, come in Con parole remote -, affidarsi al vuoto – vengono in mente il Caproni dell’innominabile rosa o il Sereni dei vuoti di Stella variabile – ma che certo intende dotare la poesia di un’arma efficace per interrogarsi e provare a trovare nuove vie percorribili, magari in controtendenza proprio a certe assenze di pensiero e visione nella poesia contemporanea.

Alcuni testi dal libro: Origini. Poesie dal 1998 al 2010.

Canto di evocazione

Vieni ombra/ ombra vieni/ ombra ombra

vieni oh vieni, buia
sali tra i gradini, nel tempo
Vienimi vieni vieni/ vienimi vieni vieni
con ogni doglia, con tutte le furie
con ciò che nell’ombra si sfoglia
con quel che nell’ombra spuma
Ombra vieni/ ombra ombra/ vieni ombra
nel vento nel vento
nel greve tormento
vieni oh vieni tra i numeri, nel fuoco
divieni canto roco
Vieni oh vieni/ vieni oh vieni
tra le forme del caso,
vieni, batti
contro gli spigoli, scendi
obliosa su ciò che è stato,
diventa nostro fiato
Ombra resta/ resta ombra/ resta resta
nella cupa fronda
nella sola testa
che geme che geme
tra i rametti del caso
nel cuore, nel seme invaso
vieni, oh vieni/ vieni, oh vieni
(ripetuto)

*****

Estati

Sciami variopinti,

orse
in alto vele razzanti,
estati
anfore buie serbanti nella
loro gola un ronzio di terra,
i melograni si spaccavano alla luce
fissa del meriggio, io
scrutavo in su, in su, tra i numeri, tra
le righe e gli anni
luce, il fumo si alzava sulle
strade,
nella polvere
tra onde
in roghi

*****

Nomi

Come d’ottobre, in un brolo, s’ingorgano

molli, marcenti, i fogliami (fronde
strepitose e verdi,
un tempo) – s’intridono, vedi,
poco alla volta i nomi
(gli stravolti, i piagati nomi)
in una pasta
di pensieri melmosi, vuoti,
e scendi
passo dopo passo in stanze
umide, buie, in un tempo
molle, che si sfalda.

*****

Pensavo parole volanti, frecce

Pensavo parole volanti, frecce

dal leggero impennaggio,
o palloni in fuga, alianti
come foglie, sotto un palo lontano.
Non sapevo che sarei fatto terzino
di una squadra in affanno, assediata
dall’ombra, dal tempo, dal fiele
di una storia avara, immerdata.
Lettore giovane e ardente,
prendi nota del tuo destino.
La vita è in agguato, sempre,
sulle strade del nostro cammino.

*****

E leggi

E leggi che durare possono

le cose che non hanno vita,
e tu muori,
e questi versi, che altri un giorno
leggeranno, durano più di te,
e tu non duri,
e li hai fatti
e in queste stanze
dove tante ore hai
dormito, altri
ci dormiranno: e così poco
è la vita,
che un verso, un muro, un letto
sono più lunghi di te,
erano prima, e sono dopo
di te.

*****

Alle prode

Alle prode

scontrose, sui
frontoni del cielo, immensi, tra
le ombre
dense
delle stanze, nell’ora
pomeridiana, quando
la vita
sovrana, irraggiungibile,
s’impaluda
in un sonno profondo,
sempre, ovunque, è
il vostro
……….lucente
…………..fragore,
……………………onde

Cinzia Demi

Bologna, febbraio 2016

P.S.:
_cidpetit_2db8fc4034a725bd5b7594d6e8e98e000a09c538_zimbra.jpg“MISSIONE POESIE” è una rubrica culturale di poesia italiana contemporanea, curata da Cinzia Demi, per il nostro sito Altritaliani.

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Cinzia Demi
Cinzia Demi (Piombino - LI), lavora e vive a Bologna, dove ha conseguito la Laurea Magistrale in Italianistica. E’ operatrice culturale, poeta, scrittrice e saggista. Dirige insieme a Giancarlo Pontiggia la Collana di poesia under 40 Kleide per le Edizioni Minerva (Bologna). Cura per Altritaliani la rubrica “Missione poesia”. Tra le pubblicazioni: Incontriamoci all’Inferno. Parodia di fatti e personaggi della Divina Commedia di Dante Alighieri (Pendragon, 2007); Il tratto che ci unisce (Prova d’Autore, 2009); Incontri e Incantamenti (Raffaelli, 2012); Ero Maddalena e Maria e Gabriele. L’accoglienza delle madri (Puntoacapo , 2013 e 2015); Nel nome del mare (Carteggi Letterari, 2017). Ha curato diverse antologie, tra cui “Ritratti di Poeta” con oltre ottanta articoli di saggistica sulla poesia contemporanea (Puntooacapo, 2019). Suoi testi sono stati tradotti in inglese, rumeno, francese. E’ caporedattore della Rivista Trimestale Menabò (Terra d’Ulivi Edizioni). Tra gli artisti con cui ha lavorato figurano: Raoul Grassilli, Ivano Marescotti, Diego Bragonzi Bignami, Daniele Marchesini. E’ curatrice di eventi culturali, il più noto è “Un thè con la poesia”, ciclo di incontri con autori di poesia contemporanea, presso il Grand Hotel Majestic di Bologna.

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