La drammaturgia di Pasquale Maffeo, autore di area cattolica.

Narratore (i romanzi L’angelo bizantino, Prete Salvatico, Nipoti di Pulcinella, Il Mercuriale, Il nano di Satana e i racconti di Lunario dei lazzari e La luna nel paniere), poeta (l’intera produzione nel volume Nostra sposa la vita – Caramanica, 2010), saggista, critico, biografo (Salvator Rosa com’era, Giorgio La Pira, Federigo Tozzi) e traduttore (W. Collins, W. Blake, J. Keats, Ch. Dickens e Ch. Rossetti) si legge di Pasquale Maffeo, scorrendo la nutrita scheda di censimento.

Pasquale Maffeo

Ma il cammino dello scrittore – è tra i più autorevoli di area cattolica, e non solo – annovera anche testi teatrali di grande intensità spirituale che, proprio in un periodo di disaffezione verso la scrittura teatrale, ci offrono l’esatta dimensione di un maître à penser non complementare e non periferico nell’odierno panorama letterario italiano.

Il periodo di stesura va dalla metà degli anni Settanta del Novecento alla fine del primo decennio del nuovo millennio e ci propone una molteplicità di testi che è bene riassumere, anche se brevemente, per una conoscenza tematica utile a una completezza d’analisi.

Nato a Capaccio (Paestum) nel 1933, Maffeo prima e dopo la laurea in Lingue e letteratura inglese presso l’Istituto Orientale di Napoli con una tesi sull’Isabella di John Keats, a parte i viaggi europei fatti anche in veste di inviato per la terza pagina, ha diviso la giornata tra insegnamento e lavoro letterario.

Da qualche anno è tornato a vivere nel golfo di Gaeta, in un borgo, Tremensuoli, dove si affacciano poche anime e nessuna divisa.

L’intero suo archivio (opere pubblicate, manoscritti, quaderni, bozze, indagini critiche, recensioni, immagini e materiale promozionale) nell’ottobre del 2008 è stato acquisito dal Centro di ricerca Letteratura e Cultura dell’Italia Unita, Università del Sacro Cuore di Milano, diretto da Giuseppe Langella, titolare della cattedra di Letteratura italiana moderna e contemporanea, e curato da Giuseppe Lupo della medesima cattedra.

04_maffeo.jpg

Nella produzione drammaturgica di Maffeo si distinguono due linee parallele: una dominante, di lungo respiro, innervata di tematiche spirituali dichiaratamente cristiane; una episodica, di sguardo laico, tenuta viva da casi e paradossi che segnano le cronache del vissuto quotidiano contemporaneo.

Le istanze religiose sono consegnate con pari incisività sia alle scansioni in versi dei poemetti Lapidatio (1982) e Dal deserto (1999)[[Lapidatio e Dal Deserto sono entrambi reperibili nel volume Nostra sposa la vita, cit.]] sia all’asciutta prosa dei quattro testi (Laude del testimone, Teresa della Croce, Lettera al Vescovo, Priscus) raccolti nel volume Voci dalle maree (2000).

Lapidatio, poemetto per musica e scena trasmesso e replicato dalla Radio della Svizzera Italiana nel 1984, inaugurò la serie dei Quaderni di « Artepresente » nel 1982. L’antefatto da cui muove è in un tratto di costume italiano che consegnava a un’esistenza primitiva e randagia il destino di figli adolescenti barattato su una piazza di Puglia per un compenso di miseria. La cronaca informa che prima uno e poi un altro, due di quei ragazzi perduti dietro greggi e pasture in clandestina semischiavitù appesero la vita al ramo di un albero, s’impiccarono. In ampie falcate prosodiche e folgorazioni di immagini visivamente icastiche, Maffeo reinventa la vicenda in una narrazione necessariamente popolare e di popolo che procede per cori e assoli, s’innerva di denuncia civile, approda a una frontiera cristiana di libertà morale.

Michelangelo Merisi da Caravaggio – Decollazione di San Giovanni Battista

Dal deserto, sottotitolato « Passione secondo il Battista« , numero tredici nei Quaderni di « Artepresente » (1999), è uno spartito in versi articolato su due piani: uno orizzontale narra per bocca della madre Elisabetta la vicenda terrena del precursore di Gesù fedelmente ripresa dal Vangelo di Luca; uno verticale sullo sfondo di due millenni di storia religiosa e civile detta cristiana reimmette il clamantis più che mai presente e vibrante nelle tempeste del mondo, prima accusatore e giudice, poi testimone orante, poi mediatore che invoca dal Padre misericordia e perdono. E’ stato rappresentato in chiesa a Contea di Dicomano il 23 giugno e in chiesa a Firenze il 15 settembre 2013.

Laude del testimone. Nel convento del Santo Speco, la vigilia di Natale, prima di recitare l’ufficio, Egidio padre guardiano informa Ginepro Lucido e Rufino dell’ombra che gli guasta le certezze e del sogno fatto durante la notte che lo turba con segni premonitori. Segni che ricorrono anche nei sogni dei tre confratelli e invitano alla riflessione comune su errori e inadempienze di ciascuno. Di fronte ai guasti del mondo, i frati si riconoscono strumento di Dio mandati a raddrizzare i cammini. Sarà la comparsa sulla scena di Francesco a ribadire la comune vocazione evangelica, a far riflettere sulle disuguaglianze sociali, a invocare sui poveri la grazia divina.

Teresa Manganiello, dal film di Pino Tordiglione, 2012

Teresa della Croce, opera in tre quadri, riporta scene della passione cristiana, liberamente ispirate, delle ultime ore terrene di Teresa Manganiello, alunna della divinità nata e vissuta a Montefusco, beatificata e assunta dopo la morte a modello spirituale dalle Suore Francescane Immacolatine. Percorso di ascesa verso la perfezione la sua breve esistenza, segnato di obbedienza (prima vera scienza), di castità e di desiderio della povertà che purifica e disseta, che moltiplica e completa, che santifica e acquieta. Doti e prerogative che nessuna umana maldicenza potrà negare. E qui Maffeo ha scritto ciò che della maldicenza avrebbe detto in una censura Papa Francesco venticinque anni dopo.

Lettera al Vescovo. Tra le mura del convento della Civita, sul cammino di penitenza verso Roma in occasione del Giubileo, si consuma il dramma della solitudine di don Mauro, prete tentato da una caduta in amore con la giovane Angela. La vicenda viene rivelata al Vescovo da una lettera anonima, e offre occasione a quattro monache per rimeditare la genesi del mondo, in un confronto che porta incertezze e dubbi nel travaglio della fede. I riscontri investono il nostro presente senza Dio.

Priscus, dramma in tre atti, si espande con una pluralità di voci intorno alla prodigiosa figura del fondatore della comunità di Nuceria negli anni del trapasso dal paganesimo alla fede cristiana. In uno spartito di scene consequenziali traluce la nascita del credo, splende il miracolo d’una guarigione, esulta l’acclamazione del vescovo, s’insinua una mozione che lo mette sub iudice. L’annuncio dell’innocenza libera e conclude.

Massimiliano Kolbe

L’ora di Kolbe. Il dramma porta in scena l’avventura umana e spirituale del polacco Massimiliano Kolbe, dei minori conventuali, che nell’agosto del 1941 nel campo di Auschwitz affronta con l’offerta di sé la sua ora. Serenamente va ad immolarsi al posto di Francesco Gajowniczec, un compagno che l’odio nazista, a sterile rappresaglia interna, ha scelto con altri per il bunker della fame. Kolbe, immolando il suo povero grumo di ossa, sigilla l’unicità della passione cristiana testimoniata di notte nella baracca dove avrebbe dovuto dormire. Assumendo e rigenerando il dolore d’un uomo, uno dei tanti che la guerra spianta e mutila, Kolbe restituisce all’Eterno, purissimo come le sue mani di prete, l’amore che Dio gli ha donato.

La seconda linea registra la prova d’esordio Il giro della ruota (1976), quindi in ripresa dopo quindici anni L’asinaccio (1991), Una beffa di Borbone (2004), gli inediti Tonache e Tulipani (2005), L’ombra del peccato (2008), La nave sulla rupe (2009) e Dialogo del pescatore (2010).

Il giro della ruota è un dramma in due tempi ambientato a Roma, centrato su una velleitaria insurrezione di giovani della società bene che si ribellano alle ingiustizie del mondo che hanno intorno. Nella sparatoria rimangono colpiti un professore e il padre di uno dei responsabili della discesa in piazza. Il giovane si dà latitante, ritorna alla pensione Pinciana dove occupa una stanza, si scontra con una compagna di lotta. Il professore gli punta contro una pistola giocattolo, è impazzito. Il padre intanto è morto in ospedale, egli va a vegliarne la salma.

Da l'Asinaria, di Plauto

L’asinaccio, testo comico, è ambientato a Campodimele, paese in provincia di Latina, nel primo decennio fascista. Un intreccio di umori, scatti, incidenti e sottintesi di personaggi che si muovono in un continuo gioco di fraintendimenti adombra la satira del regime. La pièce si ricollega per certi aspetti alla commedia greca antica, per altri alla commedia italiana dell’arte. I protagonisti brigano e intrigano per portare ciascuno il tornaconto alla propria parte. Alla fine risultano con sorpresa tutti perdenti, soprattutto Tatullo, epitetato Asinaccio da suocera e moglie per aver mandato a monte il matrimonio della figlia.

Una beffa di Borbone, dolceamaro atto unico, presenta il Re che viene a visitare la colonia dei setaioli di San Leucio. Arriva e, per lo scherzo di un estroso buffone, trova la piazza vuota. A modo suo si diverte, fa chiamare la comunità, destituisce e impartisce tra canti e suoni. Finché gli giunge avviso che riceverà una richiesta di grazia. I due fratelli Emilio e Diego De Mattia, cospiratori, sono stati condannati a morte. Una nobile dama loro zia da Vallo della Lucania si è trascinata fino a Caserta e di là a San Leucio per prostrarsi e implorare. Il sovrano concede la grazia soltanto a uno dei due condannati, e impone alla zia di pronunciarne il nome. Su questo fatto storico si chiude la scena.

Tonache e tulipani, commedia in due tempi, indaga e comicamente sconfessa l’abolizione del celibato desiderata dai consacrati. In un vivace paese meridionale il parroco ottiene licenza e prende moglie, i frati del convento locale si surriscaldano al pensiero di poter anche loro convolare a nozze. Uno in particolare smania e si dimena raggirato da un’amabile fanciulla. Alla fine si scopre che il prete ha trovato l’inferno e il frate una corbellatura che lo marchia a vita. Il paese ride e gode.

Dal Santuario del Getsemani vicino a Paestum

L’ombra del peccato , atto unico, ruota intorno a un’accusa di peccato carnale inventata da due confratelli per colpire la persona dell’adesso beato Tommaso Maria Fusco, fondatore a Pagani della congregazione femminile Figlie della Carità del Preziosissimo Sangue. La falsità dell’accusa viene smascherata e il sacerdote liberato dall’ombra del sospetto. Il testo, in prosa, è intercalato da quattro voci in versi che introducono, commentano e concludono.

La nave sulla rupe rievoca subdole trame e cruento epilogo della Congiura di Capaccio (1245), facendo incontrare nell’al di là l’imperatore svevo Federico secondo e i tre papi che gagliardamente gli tennero testa. L’autore, nativo di Capaccio, addita l’immagine della basilica risparmiata dagli assalti come nave della fede nel tempo.

Dialogo del pescatore è il racconto per bocca di Angelo Vassallo, sindaco del riscatto civile assassinato ad Acciaroli da ignota mano, della recente storia di un paese del Cilento.

Ciascun testo ha la sua caratura formale, di gittata e di pronuncia. I lacerti della fede s’innervano in toni e tensioni d’un parlato destinato alla scena, intriso di speranze, alimentato di verità, balenante di santità.

Lo sguardo che osserva lo scenario laico dei contrasti umani rileva e riplasma lo spirito dei protagonisti secondo momenti e impulsi, segnandone i passi e le azioni con immediatezza, in una sobrietà di linguaggio che a volte sale verso l’apice della tragedia e a volte slarga nell’umoristico o nel comico.

Negli strati di formazione di Maffeo drammaturgo (da un pezzo si era rivelato poeta con una sua voce), letture che possono averlo catalizzato e indirizzato verso adozioni e moduli espressivi divenuti in seguito personali per timbri e misure ce ne sono ben precise e suggestive, consone al suo sentire e immaginare in proiezione scenica la visione cui dare inquadratura e movimento di vita reale.

Di Diego Fabbri, il famoso

Intanto aveva letto tutto il teatro di Schiller e tutto il teatro del nostro Alfieri, quindi avidamente Shakespeare, poi cose di Molière, Goldoni, Ibsen, Strindberg, Shaw, Eliot, poi drammi di Fabbri e Betti. I classici greci e le commedie di Eduardo li conobbe e frequentò sia nella frontalità dello spettacolo sia nella pagina scritta. Ma di questi autori non si può dire che passino tracce nei suoi testi.

Semmai, ecco il punto, certi modelli che il lui figurano ricorrenti sono da ricercare e riscontrare nella letteratura del francescanesimo medievale, nelle accensioni jacoponiche, nella prensilità delle sacre rappresentazioni, nella memoria del John Donne dei Sermoni.

Qui va anche detto, e dovrebbe essere evidente, che questo di Maffeo è teatro della parola, incardinato nella tenuta semantica della parola: dunque lontano da ogni assurdo e assurdità, chiuso ai ludi di mestiere, negato alle ideologie, aperto ad annettere con pienezza di registri le visibili ed invisibili coordinate della non sempre decifrabile ventura umana.

E se gli accade di rivitalizzare in moderni contesti inventivi elementi di costruzione non verbali quali il trucco, la maschera, il transito mimico, coniugandoli con l’introduzione di brani musicali e versi cantati, ciò risulta egualmente connotativo e non complementare nei suoi impianti testuali (ne fa fede il reticolo di didascalie per la regia che tutti li costella), e di sicuro effetto nella resa della rappresentazione.

La ricognizione della produzione teatrale di Maffeo offre spunti per capire come essa si saldi in linea inventiva con l’opera in prosa, romanzi racconti e biografie. La narrativa di Maffeo ci ha offerto consonanze spirituali nelle quali abbiamo riconosciuto lampi che illuminano l’interpretazione del mistero della vita nel creato.

Lo scrittore ha tratteggiato prospettive alle quali affacciarci, angolature da cui osservare ciò che accade intorno a noi, aperture esistenziali intese a pensare attraverso la scrittura un universo civile coeso in profondità su valori inalienabili che escludono guasti e dissipazioni.

In Maffeo prende quota una dimensione surreale che attraversa gran parte dell’opera e schiude all’umana conoscenza (e all’economia narrativa) risorse e fabulazioni sospese tra cielo e terra, un sopramondo dove le certezze sanciscono un ordine e un’incarnazione dei destini.

Apostolo San Paolo

L’autore proietta i suoi personaggi sulle vie di un’esplorazione senza scorciatoie che conduce a Dio, in una tensione priva di tentennamenti, anche se a volte pervasa dal dubbio che sempre lacera il cammino di fede. E’ la strada maestra della narrativa maffeana, la grande vena nella quale uno per volta confluiscono tutti gli affluenti ispirativi.

E’ l’itinerario che percorre don Simmaco Bamonte, protagonista di Prete Salvatico, romanzo capolavoro di Maffeo; è la sfera nella quale naviga il principe don Gaspare Pignatelli, eclettico protagonista del romanzo Il Mercuriale; è il sogno nel quale il marchese Olindo Francalancia, singolare personaggio de L’angelo bizantino, chiede all’Eterno, e ottiene, un supplemento d’esistenza terrena.

E’ il paesaggio in cui si muovono protagonisti e gregari dei racconti, figli di una razza felice che non ha paura di perdere perché ha comunque sempre perduto.

E’ l’espansa spiritualità che informa Laude del testimone, Teresa della croce, Lettera al Vescovo, L’ora di Kolbe, L’ombra del peccato: una interpellanza senza fine lungo la quale spiriti credenti e malcredenti attraversano scacchi e rinunce sorretti da una speranza che vince il tempo dell’uomo.

L’adozione formale del dialogo, strumento e fondamento della scrittura teatrale, connota anche tantissime pagine narrative di Maffeo caratterizzate da un confronto dialettico tra protagonisti e deuteragonisti sullo sconfinato palcoscenico del mondo.

La surrealtà, lo spaziare tra cielo e terra, l’intreccio di vicende che sconfinano, le atmosfere clandestine: tutto certifica quanto lo scrittore sia calato a indagare il significato dell’esistenza, la verità dell’essere, le inquietudini della coscienza in un presente storico costellato di labili istanze e labili relativismi. Maffeo addita la sola soluzione possibile, quella dello sguardo verso l’alto, latitudine non geografica che illumina e redime.

Raffaele Bussi

LINK INTERNO:

I Picari di Maffeo nella lettura di Raffaele Bussi
mercoledì 18 settembre 2013 di Luisa Martiniello

Article précédentLa grande scommessa (Big Short) di Adam McKay
Article suivantAl cinema in Francia The Danish Girl in concorso a Venezia 72
Raffaele Bussi
Raffaele Bussi è nato a Castellammare di Stabia. Giornalista, scrittore e saggista, collabora con importanti quotidiani e periodici nazionali. Ha collaborato a "Nord e Sud", "Ragionamenti", e successivamente a "Meridione. Sud e Nord del Mondo", rivista fondata e diretta da Guido D'Agostino. E' stato direttore editoriale della rivista "Artepresente". Collabora al portale parigino "Altritaliani" e alla rivista "La Civiltà Cattolica". Ha pubblicato "L'Utopia possibile", Vite di Striscio", "Il fotografo e la Città", "Il Signore in bianco", "Santuari", "Le lune del Tirreno", "I picari di Maffeo" (Premio Capri 2013 per la critica letteraria), "All'ombra dell'isola azzurra", romanzo tradotto in lingua russa per i tipi dell'editore Aleteya, "Ulisse e il cappellaio cieco" (2019). Per Marcianum Press ha pubblicato: "Michele T. (2020, Premio Sele d'Oro Mezzoggiorno), "Chaos" (2021), "L'estasi di Chiara" (2022), "Servi e Satrapi" (2023).

LAISSER UN COMMENTAIRE

S'il vous plaît entrez votre commentaire!
S'il vous plaît entrez votre nom ici

La modération des commentaires est activée. Votre commentaire peut prendre un certain temps avant d’apparaître.