Suburra: l’enciclopedia complessa della Roma compromessa

Esce mercoledi 9 dicembre in Francia il film “Suburra” di Stefano Sollima. Molto discusso in Italia, di grande attualità, con i suoi riferimenti agli scandali, la corruzione e la violenza della Roma di “Mafia capitale”. Il film tratto dall’omonimo romanzo di Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo, tuttavia, non si pone obbiettivi ideologici o politici apparendo piuttosto come l’ideale continuatore di opere quali “Gomorra” o “Romanzo Criminale”. L’Italia cosi sta riscoprendo un cinema di genere, arte in cui ha primeggiato fino agli anni settanta.

“Suburra” (dal latino sub-urbe) era un vasto e popoloso quartiere dell’antica Roma situato sulle pendici dei colli Quirinale e Viminale fino alle propaggini dell’Esquilino. Questa parte della città era abitata da sottoproletariato urbano che viveva in condizioni miserabili, benché affacciata su un’area monumentale e di servizi pubblici. Nella Suburra Moderna (Novembre 2011) invece il proletariato criminale non si accontenta più di “guardare” ma vuole anche lui essere al tavolo dei ricchi o almeno dividersi la torta. Ognuno gioca al rilancio e persino chi sembra aver perso si riprende
la sua piccola rivincita risporcandosi le mani di sangue.

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Gli spettatori escono dalla proiezione senza aver capito se questa sia la realtà socio-politica romana o si tratti di pura finzione o che la realtà sia persino peggiore. Forse il regista delle grandi serie Gomorra e Romanzo Criminale ha esplorato una pista fin troppo complessa per essere compressa in un unico lungometraggio. Gli sceneggiatori cercano di mettere dentro il film tutti gli intrecci che formano il groviglio della “Roma Nera”, ma alla fine diventa complicato seguire i diversi filoni.

Il film sembra il puzzle di tutti i peggiori volti che la società italiana del declino Berlusconiano possa offrirci. Il deputato è condannabile per uso di stupefacenti, per gli intrallazzi mafiosi oppure per occultamento di cadaveri? Oppure per tutti questi eccessi insieme? Sembra dunque questo l’unico grande problema di Suburra: l’aver voluto elencare dalla A alla Z tutti i principali intrecci che compongono la ragnatela del malaffare capitolino.

Il cast che mette in piedi Sollima è di alto livello e molto ben amalgamato. Ottima la performance di Claudio Amendola, il boss della criminalità romana, che recita in maniera perfetta il ruolo del Libanese di questo ultimo decennio. Il boss che funge da perno per tenere insieme la malavita, la politica e la finanza. Un uomo solo, che come molti uomini di potere si fida solo di se stesso. Elio Germano è invece lo spietato e vile PR Sebastiano, che neppure il suicidio del padre riesce a distorcere dalla sete di denaro e potere.

Suburra - il film

Molto ben riuscita la prova di Pierfrancesco Favino nei panni del deputato Malgrati, sia quando incarna l’arroganza e la strafottenza del potere sia quando si abbandona senza freni, alla dissoluta sfera dei festini a base di droga e minorenni. Pregevoli sono anche le interpretazioni degli altri attori, tra i quali spicca quella del giovane Alessandro Borghi, consacratosi al grande pubblico con l’interpretazione di Vittorio in Non essere Cattivo, ultima opera di Caligari.

Nonostante le critiche alla sceneggiatura si deve riconoscere la bravura di Sollima, come riporta l’analisi di Fofi su “Internazionale”: “Stefano Sollima ha fatto una scelta registica ben precisa e ‘Suburra’ è un film di genere, ma che è così insolito in questo campo, almeno in Italia, da superarne i limiti. Ha un linguaggio e una tensione, è corale ampio e complesso (forse troppo!), è diretto con maestria e fotografato e montato perfettamente, recitato da attori perfettamente in parte; è un film la cui agghiacciante immediatezza è una lezione di regia. Nel cinema “ufficiale” italiano questo accade molto di rado, anzi quasi mai.”

Le ambientazioni sono scelte con massima cura e di particolare pregio sono le immagini del lungomare Ostiense. Inoltre Sollima esalta i non luoghi della moderna periferia Romana, dai centri commerciali alle discoteche sfarzose da Grande Bellezza. La pioggia angosciante (stile “Una pura formalità” di Tornatore) che accompagna le scene più violente del film è l’emblema del diluvio politico che ha sconquassato Roma in quel novembre 2011.

Il finale lascia trasparire un messaggio molto condivisibile: nel tempo possono avvicendarsi gli attori ma i personaggi non cambiano.

Fabrizio Botta

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Fabrizio Botta
Fabrizio Botta, Piemontese d'origine e Francese d'adozione, si e' stabilito nella "Ville Lumière" dopo aver ottenuto un Dottorato all'Université Pierre et Marie Curie. Dopo aver lavorato per 10 anni come ricercatore nel campo ambientale, da qualche anno si occupa di valutazione del rischio all'Istituto Superiore di Sanità Francese. Appassionato di viaggi, di geopolitica e di fotografia (https://www.instagram.com/_fabrizio_botta_photographer/), dal 2015 collabora con Altritaliani per la sezione cinema.

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