Belvedere, un racconto dall’isola d’Ischia.

Di Gabriele De Masi, un racconto dall’isola d’Ischia, una delle gemme del golfo di Napoli, terra d’incommensurabile bellezza, di tragedie, marinai, contadini e braccia emigranti, di santi, madonne e terremoti…

Assuntina saliva sempre alla Madonna del Soccorso, in quell’angolo d’Ischia, da dove il più lontano orizzonte permette di vedere prima il ritorno di barche e uomini, marinai in ogni casa. Se il rientro era prima del buio, bene, altrimenti si tornava alle povere case a invocare i santi e pregare in silenzio. Ischia, madre d’uomini di mare, rematori, lanciatori di fiocine, fiutatori di vento e di tempeste che fanno capriole tra le onde e non mollano mai.

Castello di Ischia, Alfred Walter Williams, 1865

Assuntina non andò più al belvedere del Soccorso perché il suo uomo non fece ritorno, lasciandola con Giacomo, adolescente da crescere, e ciò fece, tra stenti e rinunce fino alla laurea. S’era levata il pane da bocca, ma, almeno, egli aveva vinto la terraferma, da affermato clinico.

“Mamma Assunta, mi sposo. Sì, proprio a Ischia, alla Madonna del Soccorso, la mia altra mamma, che tu pregavi sempre.. Il ricevimento, al Belvedere, il nuovo ristorante sul promontorio.. .”

“Viva gli sposi!“ gridò l’amico Pietro con un coro d’invitati, “E, facciamo un brindisi.”

Al tavolo degli sposi si stappò, su segno dell’amico buontempone, una fresca bottiglia della sua campagna, il Biancolella, color dell’oro e del bosco.

“Faccio io.” Giacomo versò piano alla sua sposa e a sé, per ammirare ogni goccia di quel sole che riprendeva corpo nei calici per ritornare arcobaleno alle labbra. Posò la bottiglia. Era biondo diamante, in controluce, quello zampillo d’uva chiaro e feroce nell’incandescenza di bellezza netta in faccia al mare.

Gli tornarono in mente la mentuccia, i ravanelli, i finocchi, i carciofi e i pomidoro nell’orto sotto casa, l’origano, la salvia, i porcini e le fragoline, la mora di selva per i sentieri dell’Epomeo, la primavera invadente di mela limoncella, melagrana acerba e ciliegia, quando, in questo sogno di ricordi di ragazzo , vide la bottiglia appannarsi. Allungò la forchetta e, come col dito al velo sul vetro d’inverno, col rebbio segnò le linee nette del volto del padre. Erano venute bene, proprio quelle, precise di quando s’arrabbiava e pur amava. Un istante. Subito l’umido calò all’angolo dell’occhio come un lacrima.

Gli sposi brindarono con quel bianco evento di bellezza. Cristallino, quel volto, sul mare col profumo dei campi , dei boschi e delle onde, con l’invitato di un ricordo, in più, a festeggiare.

Gabriele De Masi

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