Compie il suo rito Salvatore Ritrovato, in “Via della Pesa” (Puntoacapo Editore, 2015). Lo compie due volte, editando e rieditando, gli stessi testi – con qualche variante – , esorcizzando il passare del tempo che si conferma immobile in quello stesso momento in cui se ne racconta, se ne plasma, se ne codifica il suo invariato senso in un’età indefinita, in un analogo non-tempo poetico dove tutto si tiene.
Salvatore Ritrovato (1967) ha pubblicato le raccolte di versi “Quanta vita” (1997), “Via della pesa” (2003), nuova edizione 2014, “Come chi non torna” (2008), e diverse plaquettes fra cui “Cono d’ombra” (2011, con film-dvd, regia di A. Laquidara). Per quanto riguarda il suo lavoro critico, ha pubblicato di recente “Dentro il paesaggio. Poeti e natura” (Archinto, 2006), “La differenza della poesia” (puntoacapo, 2009), e “Piccole patrie. Il Gargano e altri sud letterari” (Stilos, 2011). Collabora a riviste e giornali, e co-dirige l’annuario della poesia italiana «Punto». Insegna Letteratura italiana presso l’Università di Urbino, dove vive.
Conosco Salvatore Ritrovato da diversi anni e l’ho sempre seguito nel suo percorso sia poetico sia di critico letterario. E’ un autore colto e innovativo, immerso nella contemporaneità artistica dell’ambiente universitario urbinate – là dove arte e poesia trovano certo molte estensioni del loro passaggio – intriso in quella dimensione che, potremmo dire, assume oggi per certi versi la poesia contemporanea quando fa scuola, quando porta ventate d’aria fresca specie nel linguaggio, trovando sempre forme espressive alternative, modalità comunicative nuove che rielaborano e rendono sempre viva la lingua che fu dei nostri padri poeti, in un continuum che porta le stimmate della tradizione più radicata, mentre si lancia in spericolati lemmi e coinvolgenti volteggi metaforici e simbolici.
Nasce forse anche da una simile attitudine al confronto tra le antiche certezze e il rinnovamento l’idea dell’autore, dunque, di riscrivere e ripubblicare, dopo oltre dieci anni dalla prima edizione, questo lavoro di cui parleremo nell’articolo, dal titolo Via della pesa, già edito con Book Editore nel 2003 e riedito oggi, nel 2015, con Puntoacapo Editore.
VIA DELLA PESA
La rilettura di questo libro inizia, com’è doveroso, dalle riflessioni dell’autore stesso che, nella nota conclusiva, riepilogano le variazioni avvenute rispetto alla precedente edizione, dove troviamo versi riplasmati “nella memoria con una gestualità più diretta” e “il disegno delle diverse sezioni, qua più scontornato, là più adombrato” se pure nel mantenimento di una trama che fissa eventi privati e incertezze, nella coscienza di una nuova era “dopo la fine tanto agognata quanto temuta del così detto Secolo breve”.
Così, se è vero, come dice anche Marco Alloni nella postfazione, che per commentare il nuovo libro di Ritrovato bisognerebbe avere davanti il vecchio, per fare confronti testuali e ipertestuali, trovare corrispondenze e varianti, è altrettanto vero che, al tempo stesso, e dal mio punto di vista, valutando il lavoro come se fosse un capitolo a se stante della produzione poetica di Ritrovato, come se il suo inchiostro vedesse per la prima volta la luce, non di meno, saltano agli occhi aspetti che meritano di essere considerati in egual misura, oltre a quello del linguaggio già citato, perché in poesia – così come in letteratura – dove tutto si tiene, non è necessario sapere l’esegesi dell’impaginato in quanto il retroterra e le voci dei maestri si affacciano tra le righe, più o meno sommessamente, e tutto si svela al lettore attento e i luoghi della poesia – che sono tutti i luoghi cari ai poeti – non si spostano da quelle che furono le visioni di un tempo, conservano il loro fascino anche se cambiano, perché è quello che si è impresso nella memoria che li rende tali.
Proviamo dunque a leggere con occhi nuovi i versi di Via della Pesa, percorrerne insieme al poeta gli angoli, odorarne i profumi, ricostruire le scene che vi furono vissute e scoprire a quali incontri prelude il percorrerla, premesso che principalmente parliamo di un libro d’amore, sull’amore e le sue prime apparizioni nella vita, che viaggiano con noi, compagnie fino alla fine.
Già, infatti, nella prima sezione del libro, L’attesa della felicità, l’incalzare delle metafore omeriche scuote l’avanzare di un rapporto d’amore tra un improbabile Ulisse in canottiera ripreso nel velo di trine che vuol dire addio senza riuscirci a una Penelope che vede arrendersi/ e sospendere la tela/(non c’è tempo per disfarla)/nella camera degli ospiti. Ma, è un’inversione interpretativa che pervade la sezione: in realtà è lei, è Penelope che se n’è andata, che è scomparsa, che ha gettato il poeta – Ulisse nello sconforto, e che poi è tornata da un lungo viaggio. Sono in queste simbologie di personaggi e di amori giovanili che si destreggiano, tra andantini alla maniera di Caproni e rimandi a paesaggi/passaggi danteschi – modalità espressive di cui è pieno tutto il libro – tutti i momenti vissuti fra l’andare e il venire da un contesto marino alle stanze di Via della Pesa, dove l’autore ha attraversato e fissato, con una vigile sensibilità, quelle prime esperienze che oggi appaiono forse più concrete d’allora, piene di senso e di vissuto, tanto da averne fatto liriche che, alla ripresa e come allora, cercano un contatto dell’io poetico col mondo.
Nella sezione Più di malinconia che di paura, a mio avviso, prende corpo il testo più alto della raccolta, forse il testo che ne è l’emblema, almeno della prima parte del libro. Se d’amore ancora si parla, qui si ha la certezza della sua fugacità amplificata nel cuore della notte, dilatata nelle città del continente, vanificata da un’assenza di pensiero e da una certezza di altri legami che ne prenderanno il posto. Non c’è lacerazione, non c’è elaborazione di un lutto o di un abbandono ma più una consapevolezza di stato, rafforzata nell’ultimo testo che chiude la partitura con i versi: Perciò un giorno resterò per sempre a letto/ma non sarò morto avrò cambiato solo aspetto./ E io mi guarderò così, piangendo,/con gli occhi tuoi che guardo ridere/naso a naso, e salutare,/e girare questa camera,/in silenzio.
Se si potesse considerare lo studio di una retorica delle forme potremmo pensare anche di annoverare questo lavoro tra i canzonieri d’amore, o meglio tra i manuali d’amore valutando la sezione Intermezzo come una sorta di appendice all’Ars Amatoria di Ovidio, nella quale il bacio e le sue infinite metamorfosi si esplicitano in quartine a rime alterne, dall’andamento flessuoso e rotondo, ondeggiante e avvolgente con una chiosa a respiro che porta con se il bacio lasciato nell’aria e di saluto, a compimento di un percorso amoroso dove gli altri baci sono stati sperimentati tutti, e il loro racconto prende le sembianze poetiche di un gioco linguistico, di un esperimento della scuola dell’U.Li.Po. di Queneau, che, nel caso, sarebbe perfettamente riuscito.
Nelle ultime due sezioni del libro, Segreti e presagi e Cartoline da casa, è certo il tema del viaggio, nelle sue declinazioni fatte di stagioni, incontri, relazioni, paesaggi e città, arrivi partenze e ritorni, lo scarto che si produce nella raccolta, andando a introdurre l’approccio a una prima ricerca di identità e identificazione come autore, come poeta che vuole mettere al servizio degli altri la propria sensibilità, dare un senso e un segno della propria visione dove, se i luoghi hanno centralità e valore, non di meno il punto di osservazione e descrizione permette anche di trasformare il girovagare in un moto esistenziale che coinvolge gli spazi visitati come lo spazio interiore dell’animo.
Eppure, anche in questi spazi, non si può fare a meno di notare quanto ritorni prepotentemente il senso vitale e sofferto dell’amore, vero live motive del libro: nel testo Amanti sono gli occhi, la bocca, i fianchi, le mani i correlativi oggettivi che segnano l’urgenza/delle ultime parole, nei versi che si chiudono sulla domanda: Chi scioglie l’insolubile? nell’azzardo della risposta perfetta, che chiude il cerchio: Gli amanti, separandosi.
Compie il suo rito, dunque, in Via della Pesa, l’autore. Lo compie due volte, editando e rieditando, gli stessi testi – con qualche variante – , esorcizzando il passare del tempo che si conferma immobile in quello stesso momento in cui se ne racconta, se ne plasma, se ne codifica il suo invariato senso in un’età indefinita, in un analogo non-tempo poetico dove tutto, come detto, si tiene.
Qualche testo da: Via della Pesa
Amore fa la spola fra l’invariata
fuga di un’onda e l’avventura
di un’ora, scarduffa i capelli
li asciuga, s’invola in una buca.
Esiste ancora, forse: è una civiltà sepolta.
Mi chiudo anch’io
nella faglia del mio ombrellone
mossa sulla sabbia come una cupa
infiorescenza che spezza la visione.
Lei si accosta a consultare l’ambulante
cupido di colore, ed io li sento.
Vende visiere, cocco, gli orologi senza
le lancette per le ore.
Contesto il prezzo di questa metamorfosi.
*****
Una cadenza assonnata
lasciò il primo bacio
quella note e parole
contese tra il giorno e la notte
fra le stelle sopra Duino
e il mattino nel cuore.
Ma laggiù ogni luogo
era una formula dell’altrove.
Allora si apriva l’età più bella
e distratta, e una canzone.
*****
E’ come quando in casa
e nelle strade è fatta notte,
e nelle fumose vecchie
città del continente
negli ultimi ronzii di un bar
nel cuore della notte
e nella mente non mi pensi.
All’alba via ti vedo correre
trafelata ma più buona
e dissetarti alla riva inospitale
di una luce che subito
ci lega ad altre storie.
Mi mostri il passaporto per la via
che verrà, da prendere com’è
dici fra te, « Anche lassù
non dura niente », ed esci.
*****
Una dedica rimasta fra gli appunti
All’inverno dedico una stanza
fredda piena di vento e neve,
vi passo quando voglio per un pertugio
frugando nei polmoni il caldo
residuo fiato che svapora,
ansimando mi assottiglio
nel mio maglione, pallido
per tutta la mattina.
Qui, aria finalmente, si respira!
A volte mi ci attardo con un rinfresco
nell’ombra lascio il cuore
miope, testardo testimone
di una disperata devozione.
*****
Cartolina
Venuto con il desiderio di tornare
nel paese che ho lasciato e forse
avrei dovuto dimenticare
nel paese che ho ritrovato
e non conosco più e non so amare
e soprattutto da te che no sei altro
che un semplice racconto
ormai incredibile, svuotato.
Cinzia Demi
Bologna, settembre 2015
*****
P.S.:
“MISSIONE POESIE” è una rubrica culturale di poesia italiana contemporanea, curata da Cinzia Demi, per il nostro sito Altritaliani.
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