Antonio Scialoja: Quando la lira unì l’Italia.

Antonio Scialoja è oggi un nome che al grosso degli italiani non dice nulla eppure nell’Ottocento fu uno dei maggiori economisti del tempo. Colui che porto’ le moderne idee liberali nel Regno appena unito. Colui che unì il paese sotto la moneta unica la lira. Vi ricorda qualcosa? Andiamo a conoscerlo più da vicino.

Ci sono delle figure storiche che hanno avuto un’estrema importanza, che hanno goduto di una grande popolarità e che dopo qualche tempo vengono dimenticate. Eppure si tratta di personaggi che hanno dato un grande contributo, con idee e azioni, all’evoluzione del proprio paese.

Una di queste è quella di Antonio Scialoja, procidano (nacque soltanto, per motivi accidentali, a San Giovanni a Teduccio, un quartiere popolare di Napoli), deputato eletto nel collegio uninominale di Pozzuoli alle elezioni del 1848, durante la breve esperienza costituzionale del Regno delle due Sicilie tra il 1848 e il ‘49, ma soprattutto deputato per più legislature, sempre del collegio di Pozzuoli, ministro dell’importantissimo dicastero delle finanze in un anno cruciale quale fu il 1866 e fra i principali attori della vita politica dell’epoca.

Antonio Scialoja

Riscoprire questa illustre figura, permette di capire meglio anche alcuni aspetti della nostra contemporaneità. Le vicende della Lira che divenne moneta unica nella penisola, ci riporta alla mente quanto oggi accade analogamente con l’euro e il dibattito conseguente che infiamma le cronache della nostra stampa. Scialoja fu decisivo in quella fase storica e va ricordato che fu per quel tempo, tra il 1850 e il 1870, il più autorevole economista italiano.

Antonio Scialoja nacque il 31 luglio 1817 nell’allora piccolo comune di San Giovanni a Teduccio, presso Napoli, da Aniello, che ivi era Ispettore di Pubblica Sicurezza, e da Raffaella Madia. Il nome di Antonio gli derivava da uno zio che era stato tra i martiri della Repubblica Partenopea del 1799; la sua era una famiglia di tradizioni liberali.

Originari della Spagna, gli Scialoja vennero in Italia nella prima metà del XVI secolo, all’epoca dei primi Viceré. Imparentatisi con la famiglia Scotti di Procida e, avendo lì ereditato alcuni beni, vi si trasferirono.

La famiglia Scialoja fu resa illustre dal giureconsulto Angelo, principe del foro napoletano, e da Antonio Maria, conosciuto per aver pubblicato, con un cugino, un’opera “corografico-storica » su Miseno e su Cuma nonché descrizioni sulla villa di Cicerone e sui Campi Flegrei. Di modeste possibilità economiche, trascorse la sua giovinezza a Procida, dove venne educato da uno zio che lo indirizzò agli studi umanistici. Si formò soprattutto con la lettura degli illuministi napoletani del ‘700.

Ferdinando II di Borbone

L’autore che maggiormente lo influenzò fu il Genovesi, le cui opere, come egli in seguito avrà a dire, gli inculcarono l’amore per “l’economia sociale” (forse con un po’ di esagerazione, lo storico del socialismo L. Bulferetti lo definì “uno dei primi liberalsocialisti”. Con le dovute differenze il suo pensiero fu prodromico alla corrente di pensiero del filosofo Guido Calogero e poi dei fratelli Rosselli). Frutto dei suoi studi economico-filosofici fu la sua opera giovanile, pubblicata nel 1840: “Principi di economia sociale esposti in ordine ideologico ».

L’opera meravigliò il mondo scientifico, soprattutto tenendo conto che era stata scritta da un giovane di soli ventitré anni, tanto che alcuni sospettarono che dietro quel nome si celasse qualche altro illustre scrittore. Quest’opera gli valse però anche la diffidenza del governo borbonico che credeva, giustamente dal suo punto di vista, che, come gli altri economisti, Scialoja si avvalesse delle forme scientifiche e del tecnicismo economico per diffondere i principi liberisti e liberali.

Nel ’44, inviato per conto di talune case commerciali napoletane in Francia ed in Inghilterra, ebbe modo di conoscere e farsi conoscere negli ambienti scientifici e liberali di Oltralpe. Nel 1845, essendogli stato preferito Placido De Luca, al concorso per la Cattedra di Economia Politica dell’Università di Napoli, emigrò in Piemonte dove Cesare Alfieri, supremo magistrato della Riforma degli Studi, lo chiamò a ricoprire la stessa cattedra nell’Università di Torino.

Si dice che il re Borbone, parlandone con il Santangelo, Ministro dell’Interno, abbia asserito di avere tra i piedi un « pennarulo » (come “re bomba” definiva gli intellettuali)! Lo Scialoja tornò a Napoli dopo i moti del ’48.
Quintino Sella

Concessa infatti la Costituzione dal riluttante Ferdinando II, dopo due governi di transizione a guida del Serracapriola, si formò il Gabinetto Troja, ben visto a Torino perché fu interpretato come il decisivo evolversi del Regno delle due Sicilie verso il liberalismo. Di questo governo, Scialoja divenne Ministro dell’Agricoltura e del Commercio, e come tutti i componenti di quel governo partecipò alle elezioni che si tennero successivamente e risultò eletto nel Collegio di Pozzuoli. Scialoja fu cosi tra coloro che ebbero il difficile compito di fare da tramite tra un Parlamento piuttosto avanzato e moderno ed un sovrano che, con le Guardie Militari e Sanfediste, non aspettava altro che il momento opportuno per sbarazzarsi della Costituzione, la quale infatti verrà abrogata (formalmente solo “sospesa”) nel ’49.

A seguito di un ennesimo tradimento della dinastia borbonica, Scialoja venne arrestato il 26 Settembre dello stesso anno e tradotto nel carcere di Santa Maria Apparente di Napoli. In un processo, che fu giustamente ritenuto in Europa scandaloso, furono sottoposti a giudizio con l’accusa di lesa maestà, otto ex-ministri e 44 ex-deputati.

Tra gli imputati Silvio Spaventa venne condannato a morte e Scialoja a nove anni di reclusione. Il sovrano, sotto la pressione dell’opinione pubblica internazionale, commutò la pena di morte per Silvio Spaventa in ergastolo, e quella di nove anni di reclusione per Scialoja nell’esilio perpetuo dal Regno, per cui questi venne liberato il 25 ottobre 1852 dopo tre anni di carcere. Scelta, per ovvi motivi, Torino come sede dell’esilio, trovò lì la cattedra di Economia Politica ormai occupata.

Fu Cavour, allora Ministro dell`Agricoltura del Piemonte e che lo stimava molto, che gli venne in aiuto, nominandolo il 3 luglio 1853 “consultore legale » nell’Ufficio “del Catasto di Piemonte ». In questo periodo, oltre a collaborate con Cavour nella Riforma Agraria, fu autore di vari testi di diritto e di economia di grande importanza. Appoggiò strenuamente, come saggista e come collaboratore de « ll Risorgimento” e de « Il Secolo XIX », le idee liberiste di Cavour, e, divenuto questi Presidente del Consiglio, ebbe anche incarichi diplomatici ufficiosi di notevole rilievo.

Soprattutto scrisse un’opera fondamentale che fece comprendere come il Piemonte, in pochi anni, fosse divenuto uno dei paesi dall’economia tra le più avanzate d’Europa mentre il Regno delle due Sicilie, che Ferdinando II voleva estraniare dal mondo moderno restava “chiuso tra l’acqua santa (lo Stato Pontificio) e l’acqua salata (del mare)” e dunque restava tra i più arretrati. In questo opuscolo previde, con esattezza, ciò che sarebbe avvenuto il giorno della sospirata unificazione nazionale.

Sostenute soltanto da un ferreo regime doganale, che le teneva al riparo da qualsiasi concorrenza, le industrie meridionali sarebbero state spazzate via da quelle piemontesi che, grazie al regime competitivo instaurato da Cavour, ed al libero scambio, fornivano prodotti migliori e più a buon mercato. Poi, sempre in quest’opera, Scialoja metteva in risalto come il bilancio delle due Sicilie fosse sì in attivo ma solo perché i governi borbonici tendevano a tesaurizzare anziché investire, mentre il Piemonte cavouriano chiudeva in deficit perché investiva in ferrovie e nell’ammodernamento dell’agricoltura, ciò per arricchire il paese.

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Due concezioni antitetiche: la prima conservatrice e la seconda evidentemente proiettata allo sviluppo e alla modernità. Scialoja fu ministro delle Finanze nel periodo della dittatura di Garibaldi e, tornato questi definitivamente a Caprera, fu confermato in tale incarico nel consiglio di luogotenenza presieduto da Luigi Carlo Farini.

Proclamata l’Unità d’Italia, fu eletto deputato (le elezioni si tennero allora con il sistema uninominale) nel collegio di Pozzuoli. Fu, successivamente, nominato da Cavour, e, dopo la morte di questi confermato dal Ricasoli, Segretario Generale del Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio e con tale incarico concluse, come capo della delegazione del governo italiano, il primo importante accordo commerciale in campo internazionale dell’ltalia unita, quell’accordo con la Francia che consentì ai vini meridionali (soprattutto pugliesi) un importantissimo sbocco commerciale in Francia e che verrà abbandonato soltanto quando, dopo l’occupazione francese della Tunisia, scoppierà tra Italia e Francia la cosiddetta “guerra delle tariffe” negli anni ’80 dell’800.

Collaboratore poi di Quintino Sella, l’uomo della « economia fino all’osso », fu nominato da questi Presidente di Sezione della Corte dei Conti. Ma fu quando, in una situazione economica disastrosa, bisognava far fronte alle spese della III guerra d’Indipendenza, nel 1866, che Scialoja ebbe il suo incarico più importante. Creatosi il ministero delle Finanze questo venne rifiutato sia da Sella che da Minghetti. Scialoja che era, come si direbbe oggi, « un tecnico » (era infatti con il Ferrara considerato il maggior economista dell’epoca) fu catapultato al vertice di quel ministero.
Vignetta satirica su Antonio Scialoja

A lui toccò l’impopolarissima, per le convinzioni dell’epoca tutte “laissez-faire, laissez-passer” (ma oggi sarebbe diverso?), decisione della introduzione del corso forzoso della lira, decisione coraggiosa che permise all’Italia di affrontare e superare le spese dell’Unità (guerra di Crimea e guerre di indipendenza, oltre all’accollarsi dei debiti di tutti gli stati preunitari) e quelle aggiuntive della nuova guerra con l’Austria. Vigeva allora, sia nel mercato interno ma soprattutto per i pagamenti internazionali, il “Gold Standard”, cioè tutta la massa monetaria cartacea doveva essere coperta dall’oro depositato nelle banche autorizzate ad emettere moneta (all’epoca in Italia ve ne era più di una).

L’introduzione del “corso forzoso” (o, come si diceva allora, “forzato”) della Lira, decisa appunto da Scialoja, svincolava la moneta cartacea (che pertanto diveniva “banconota”) dalla parità aurea e permetteva così di stampare moneta (è la soluzione cui oggi ricorrono molti stati, per es. gli USA di Obama e il Giappone, per vivificare l’economia nei periodi di crisi). L’Italia riuscì così a onorare i propri impegni verso i fornitori e creditori interni e sul mercato internazionale, mentre le conseguenze inflattive, che sempre comporta l’incremento della circolazione di moneta, furono attenuate dall’esodo di valuta per l’acquisto di oro verso l’Australia e la California ove erano stati scoperti ricchi giacimenti del prezioso metallo.

Successivamente Scialoja ebbe lunghe polemiche con il Ferrara, l’altro grande economista dell’epoca. Egli era infatti capofila della scuola liberista, Ferrara di quella protezionista che, poiché il protezionismo vigeva soprattutto negli imperi centrali, venne definita sprezzantemente “Lombardo-Veneta ».

Nel 1874, ormai ammalato, si recò in Egitto dove divenne consigliere in materia finanziaria del Khedivé d’Egitto, Ismail Pascià, che, impregnato di cultura europea, tentò di riordinare in senso occidentale le finanze del suo Stato. Aggravatosi lo stato di salute nel 1877, alla metà di Agosto, tornò a Procida dove morì il 13 Ottobre.

Più tardi, grazie alle pressioni del Comune di Procida e di alcuni politici suoi amici (Alfieri, Berti, Saracco, Boselli, Visconti Venosta, Luzzatti, Cambrai-Digny, Bonghi, Cosenz, Salandra ed altri), gli fu elevato il monumento che ancora oggi possiamo ammirare nell’isola procidana.

Lucio D’Isanto

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