L’esodo: I poveri cristi e l’Europa Pilato

La ricca e potente Europa è assente innanzi alla tragedia dei disperati che fuggono dal terrore che avvolge l’Africa e il Medio Oriente. Persone che per necessità sfidano il destino. Nel canale di Sicilia sono talmente tanti i profughi che annegano che sono tornati in quel tratto di mare gli squali. Non c’è più tempo per discorsi populisti e xenofobi o per lacrime ipocrite. Tutta l’Europa deve farsi carico di questa emergenza ed avviare strategie politiche che aiutino quelle aree ad uscire da questa notte senza fine.

Nel mediterraneo sta naufragando l’Europa. Più ancora che le cattive politiche economiche o l’eccessiva egemonia tedesca, l’Europa sta soffocando, o meglio annegando, al largo delle coste libiche. Dietro la strage continua d’immigrati disperati, che affrontano su barconi scassati il mare aperto piuttosto che affrontare la fame, la guerra, la bestiale violenza dell’Isis, c’è tutta l’inconsistenza di una Europa che non ha strategie politiche chiare e comuni, che non vuole farsi carico della frantumazione che si sta verificando nel continente africano e lungo il Medio Oriente, dopo aver contribuito negli ultimi decenni, con scelte scellerate, a destabilizzare l’intera area.
Lungo le coste libiche premono almeno un milione di profughi, arrivano dai diversi teatri di guerra di cui è costellato tutto il continente nero, dalle aree sub-sahariane a salire.

Sbarchi a Lampedusa

Sono terrorizzati e neanche la faticosa attesa di un barcone può dirsi serena, data l’immediata vicinanza delle bande daesh e le battaglie continue tra le diverse tribù che si contendono quei territori. Una cosa è chiara; più nessuna autorità, per quanto cinica, può regolamentare o disciplinare o semplicemente contenere quelle partenze. Si tratta di un popolo abbandonato nelle mani della criminalità che sfrutta e dispone come meglio crede, restando nella più totale impunità.
Ora è l’ONU a richiamare la Commissione europea ai suoi doveri umanitari e alle sue responsabilità politiche.

Commissione europea spaccata in due tra nord e sud. Tra area del mediterraneo e il fronte che dalla Germania sale su fino ai paesi scandinavi, che assolutamente non vogliono farsi carico con politiche coerenti e comuni del problema. Un problema che tuttavia è ineludibile e che è stato finanche aggravato dall’aver indotto l’Italia ad abbandonare l’operazione “Mare Nostrum” con la promessa di un maggior coinvolgimento degli altri Stati.

Infatti, precedentemente la nostra marina interveniva subito, pattugliando le coste del nord Africa, evitando ai profughi un viaggio straziante, viceversa ora è costretto al pattugliamento e all’intervento solo in caso di necessità e non più nelle vicinanze delle coste libiche. Una soluzione che ha fatto riprendere al canale di Sicilia le sembianze di un cimitero marino, ripopolato da famelici squali.

Appena ieri 400 morti, mentre negli ultimi giorni in 8000 sono arrivati in Italia, dove i centri di accoglienza non bastano più, con una Europa che fa orecchie da mercante, dimenticando che le coste siciliane sono la frontiera sud dell’Europa.

E allora, se si è europei solo quando si parla di rigore economico, di far quadrare i conti, quando s’impongono tasse e balzelli e, viceversa, si è soli quando si è innanzi a catastrofi umanitarie, che senso ha l’Europa? Si finisce per consegnare gli europei ai vari Salvini e Le Pen, per far morire le nobili aspirazioni di un’Europa unita, sia essa federale o addirittura regionale, insomma il sogno che fu dei nostri più grandi statisti.

L’Europa che bacchetta sul piano etico, ad ogni occasione l’Italia e gli altri paesi del mediterraneo è la stessa che ipocritamente ricorda con dolore il dramma dei profughi, ma che poi vilmente e senza vergogna volge lo sguardo non volendo l’incomodo di farsi carico del problema di tanti diseredati.

L’Italia certo non deve piangersi addosso. Come il governo ha ricordato rispondendo anche alle facili demagogie di xenofobi ed antieuropeisti: i profughi si salvano e basta, senza se e senza ma.

Non va dimenticato che, ad esempio, il Libano (quattro milioni di abitanti) si è fatto carico nel recentissimo passato di oltre un milione e duecentomila profughi siriani che scappavano dalla guerra civile.

Queste emigrazioni sono il frutto di varie cause che con semplicismo sintetizziamo con il termine globalizzazione. Che in realtà dice tutto e niente. Si tratta di un problema che non può più essere considerato regionale o nazionale, che in un mondo non più regolato da blocchi e superpotenze diviene un problema globale che richiede politiche globali.

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La questione immigrazione non può essere lasciata alla pietà (tanta) degli italiani o a quella (scarsa) di Grecia e Turchia, piuttosto che della Spagna. E’ un problema, un banco di prova su cui si gioca la credibilità dello stesso progetto europeo.
Che ancora non ha saldato i conti con secoli di colonizzazioni e decenni d’inerzia o di interventi sprovveduti come in Libia o in Iraq, che hanno finito per determinare una situazione fuori controllo che rischia di destabilizzare tutta l’area del mediterraneo.

La responsabile esteri della Commissione Europea, Federica Mogherini, ha convocato i ministri competenti dei 28 paesi della comunità. C’è da sperare che non si tratti dell’ennesima riunione ricca di belle parole e priva di fatti. L’intervento umanitario deve essere condiviso ed allora siano anche la Svezia o la Danimarca, dico ad esempio, a farsi carico di questi immigrati, avendo anche molte più risorse economiche; ma soprattutto si consideri che la gran parte di questi immigrati vorrebbero tornare nelle loro case, ammesso che ci siano ancora e quindi urge un’azione in quelle aree per ripristinare un ordine che, metta fine a queste guerre tribali e di clan, che imponga la fine del Califfato consentendo forme di convivenza pacifica tra le diverse popolazioni che vivono su quei territori, si individuino ed aiutino quei paesi che possano farsi garanti di quelle aree, anche in tal senso va letto lo sforzo diplomatico verso l’Iran, o il sostegno a quella embrionale democrazia che è la Tunisia, o si pensi all’Egitto di Al Sisi che cerca di coniugare laicità con Islam.

Restare assenti non è più possibile e non solo per motivi umanitari ma anche perché in questo mondo dove regole, lingue e tradizioni si confondono spetta anche a noi europei guidare il pianeta verso nuovi e più solidi equilibri. Altrimenti, nell’incerta deriva di quei barconi, finiranno per affondare e annegare, con decina di migliaia di poveri abbandonati, anche le ultime speranze di un sogno europeo.

Nicola Guarino

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.

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