Manoel de Oliveira, 106 anni di cinema.

Dei 120 anni dalla nascita del Cinema, 106 sono quelli da lui vissuti, nel segno di un’arte che ha sviluppato in diverse declinazioni: dal teatro alla storia alla filosofia. Manoel de Oliveira se ne è andato col suo smisurato fardello di immortalità, che ha raccontato in un cinema ricco di immaginazione e storiografia. Manoel de Oliveira giunge così alla fine del suo lungo viaggio, partito dal suo Portogallo, terra che amava smisuratamente, terra dell’Oltre perché si confronta con le immensità atlantiche.

E’ volato come un angelo antico, sulle ali di un sogno: il cinema, il suo, che forse è più teatro che cinema puro. Lui, il più longevo di tutti, forse non il più irreprensibile (non sempre le sue opere erano ineccepibili per chi scrive) ma di certo era il più costante e coerente. Una visione estetica tesa alla continua conoscenza, al dubbio, fra fede, politica e storia in continuo confronto con l’era contemporanea.

Manoel de Oliveira

Un Don Chisciotte che combatte contro l’ignoranza e fa della memoria il legame con il futuro. Così scriveva in un suo poema sul cinema e la vita: “Mare recondito e senza limiti che sei la memoria, cosa nascosta di tutti i tempi e di nessun tempo. Ma tu, memoria! ecciti la vita e l’immaginazione. Che preservi e selezioni. Così il cinema. Il cinema che audiovisivamente può e fissa della vita il teatro, che trasforma letteratura e pittura in azione, in spettacolo.”

Tante le opere passate quasi sempre nei Festival più importanti, da Cannes a Venezia a Berlino; e i riconoscimenti alla carriera e ai suoi film. Il monumento del cinema portoghese, ma pure del cinema in ogni latitudine.

La prima volta che lo incontriamo al Lido di Venezia ha l’aspetto di un elegante signore europeo: il regista di Oporto era alto e snello, accompagnato dalla sua signora che sembrava di poco più giovane, ma lui aveva quasi novant’anni allora e ne dimostrava almeno venti in meno. “Maestro, pensa di girare altre opere? Gli chiediamo, perché non si sottraeva mai al pubblico. “Ne ho in mente almeno tre” fu la risposta; ne realizzò almeno il triplo – compreso i corti – che presentava nei più importanti festival, dove la critica lo ha sempre ossequiato.

Inizia a girare poco più che ventenne all’epoca del cinema muto; poi la dittatura di Salazar gli impedirà di girare film; quindi la parentesi tedesca, e poi le consacrazioni dagli anni ‘70 in poi: tante le opere con lo spirito di un ragazzo, quasi volesse riprendersi il tempo perduto. E’ dell’81 il film che la critica consacra come il suo capolavoro “Francisca”. Ha dunque sovrapposto storie ed immagini puntigliosamente girate che lo hanno condotto ad un eloquenza visiva in bilico tra la rappresentazione della realtà e l’annuncio di un senso misterico (talvolta mistico) di quanto ci circonda.

Si interroga sul mistero della fede mediante la riflessione del gesuita lusitano del Seicento Antònio Vieira in “Parole e Utopia” (visto a Venezia nel 2000); si incanta sulle bellezze delle città mediterranee in “Film Parlato” (pure a Venezia nel 2003) dove quattro stupende signore europee (anche la nostra Stefania Sandrelli) disquisiscono sulle culture che da sempre attraversano quel Mare, cenando al tavolo del capitano-John Malkhovic su una nave da crociera che tocca anche Napoli: è lì, intorno a Castel dell’Ovo, si disserta di Virgilio; ad Atene sono i classici a nutrire la scena. Ma finirà in un tragico epilogo, quasi premonitore di quanto è accaduto ai giorni nostri.
Ritorno a casa

E’ del 1994 l’omaggio che farà alla sua terra Wim Wenders in “Lisbon Story” dove riscoprirà il Maestro seguendo le stupende musiche dei Madredeùs. L’opera di de Oliveira ha il carisma di una quiete dissuasa da lievi cedimenti di percezione, che offrono spunti e meditazioni: il maestro si interroga persino su Cristoforo Colombo ne “L’enigma” (2007) conferendogli una nascita lusitana. La ricerca come viaggio interiore si indirizza proprio in “Viaggio all’inizio del mondo” (del 1997) che sarà anche l’ultima interpretazione di Marcello Mastroianni. L’ultimo suo film visto a Venezia è “Gebo e l’ombra” nel 2012, con una stanca macchina fissa su piani sequenza, teatralmente incarnato (recita anche Claudia Cardinale), ma la sua parabola linguistica volgerà al termine.

Una delle ultime volte che lo incontriamo per le strade del Lido, sempre con l’occhio vispo sotto il suo elegante Panama, gli chiediamo “Maestro, sei sempre innamorato?” – “Certo” – ci dice da centenario con lo spirito di un eterno ragazzo. E poi “… Rimane la memoria della vita vissuta, che diventa alimento della vita stessa, passibilità di tutta l’arte.”

Armando Lostaglio

Article précédentLeopardi, il giovane favoloso. Emozioni e curiosità in sala.
Article suivantIl ritorno di Mario Pomilio
Armando Lostaglio
ARMANDO LOSTAGLIO iscritto all'Ordine dei Giornalisti di Basilicata; fondatore del CineClub Vittorio De Sica - Cinit di Rionero in Vulture nel 1994 con oltre 150 iscritti; promotore di altri cinecircoli Cinit, e di mostre di cinema per scuole, carceri, centri anziani; autore di testi di cinema: Sequenze (La Nuova del Sud, 2006); Schermi Riflessi (EditricErmes, 2011); autore dei docufilm: Albe dentro l'imbrunire (2012); Il genio contro - Guy Debord e il cinema nell'avangardia (2013); La strada meno battura - a cavallo sulla Via Herculia (2014); Il cinema e il Blues (2016); Il cinema e il brigantaggio (2017). Collaboratore di riviste e giornali: La Nuova del Sud, e web Altritaliani (Parigi), Cabiria, Francavillainforma; Tg7 Basilicata.

LAISSER UN COMMENTAIRE

S'il vous plaît entrez votre commentaire!
S'il vous plaît entrez votre nom ici

La modération des commentaires est activée. Votre commentaire peut prendre un certain temps avant d’apparaître.