La questione Islam e Occidente (part.II)

L’Occidente non può defilarsi, occorrerebbe prendere posizione e contribuire alla sicurezza delle aree che lo stesso Occidente ha destabilizzato nel corso degli ultimi decenni. Creare nuove regole di convivenza nell’era della globalizzazione. Alcune strategie possibili per sconfiggere il terrorismo globale.

Prima di affrontare la questione centrale e di carattere geopolitico sul rapporto tra Occidente e mondo islamico. Vale la pena aggiungere qualche elemento sul dibattito che si è aperto in Francia ed in generale in Europa, sulla laicità e la libertà di espressione in rapporto alla controversa uscita ed ultravendita del numero nuovo di Charlie Hebdo che non ha rinunciato, ad una settimana dai tragici fatti parigini, alla sua feroce satira contro le religioni, colpendo con insistenza alcuni dei simboli della religiosità musulmana.

Va compreso che per i francesi non c’è, paradossalmente, nulla di più sacro della laicità. Al punto che lo stesso Hollande, in ripresa nei sondaggi, ha dichiarato che pur rispettando le convinzioni religiose di chiunque, il diritto della rivista satirica di manifestare le proprie idee è irrinunciabile. Si tratta di una peculiarità tipica dei nostri cugini transalpini, i quali probabilmente ritengono l’offesa alla religione, meno grave che quella alla razza o alla differenza di genere sessuale. Se infatti, per gli inglesi e gli americani, non è legittimo offendere, sia pure per satira, il sentimento religioso, se la nostra Costituzione equipara la differenza religiosa a quella di razza o di genere sessuale, tanto da stabilire, in uno dei suoi principi fondamentali, che tutti i cittadini sono uguali senza differenza di sesso, razza o religione, per i francesi è diverso. Tanto è vero che il reato d’opinione è contemplato in Francia, dove il comico Dieudonné è perseguito per apologia del terrorismo (in effetti la si potrebbe considerare come una forma di istigazione), dove una battuta contro la razza negra o “ebraica” può portare a conseguenze penali, fino al carcere, mentre offendere Dio, i santi, o Maometto, non sono considerate offese, ma semplici opinioni più o meno condivisibili.

Le bambine sequestrate da Boko Haram.

L’abbiamo detto; chi va a vivere in un paese deve accettarne le regole, senza pretendere d’imporre le proprie usanze i propri riti. Tuttavia c’è da domandarsi se, nell’epoca della globalizzazione, non sia il caso di riconsiderare le regole della convivenza e se non fosse in tal senso un bel gesto avere conto anche della sensibilità degli altri.

Le ultime vignette di Charlie hanno causato scontri durissimi in diversi paesi islamici, una fiammata che ha causato morti e distruzioni (specie di chiese cattoliche ed evangeliche) in Niger, Nigeria, Algeria, Afghanistan, Pakistan, Mali, Yemen, Cecenia per citare solo alcuni paesi, dove si è finito per inneggiare agli assassini di Parigi, dove in trionfo si sono portati i ritratti dei terroristi francesi come se si trattasse di eroi. Penso si possa dire che si è fatto un regalo al terrorismo jihadista, ad Al-Qaeda, ad orrori come Boko-Haram o ISIS.

Ma allo stesso tempo proprio queste violenti manifestazioni di sdegno mettono ancora più in luce quanto siano difficili i rapporti di convivenza tra queste due culture cosi lontane.

Noi occidentali siamo partiti dalla presunzione, che essendo la democrazia il modello di Stato migliore (per noi), andasse diffusa anche in società culturalmente diverse dalla nostra. In questa convinzione ci si è spinti fino alla teoria dei Bush (padre e figlio) che dopo l’invasione del Kuwait operata dall’Irak di Saddam Hussein, e le torri gemelle, pensarono che c’era un solo modo per evitare ulteriori imbarbarimenti della situazione; esportare ed imporre la democrazia.

L’esito bellico di quelle guerre era e fu scontato, ma gli esiti politici in quel complesso e variegato quadro internazionale, sono stati catastrofici. Finendo per destabilizzare i già complessi assetti di quel mondo. Non bastasse questo, sull’emotiva spinta delle primavere arabe, l’occidente, con colpevole sufficienza che si aggiunge alla sua presunzione, è andato anche all’attacco di paesi tradizionalmente laici, finendo per assistere alla prematura morte di quelle primavere e all’insorgere degli islamismi con tutta la loro virulenta carica di fondamentalismo.

Operazione Desert Storm

La Libia, la Siria ed ora sotto rischio destabilizzazione lo stesso Yemen. Mondi complessi dove i governanti e potentati da un lato combattono il terrorismo e dall’altro lo finanziano. Un rapporto ambiguo, in contesti di paesi dove spesso, come in Libia conta più la tribù di appartenenza che le idee che si sostengono, oppure territori dove l’etnia scita, sunnita o kurda, si combattono trasversalmente finendo per costituire vere nazioni, nelle nazioni, in un costante conflitto di interessi e di alleanze, spesso risolte con veri e propri tentativi di epurazioni etniche.

A mio avviso, le colpe dell’Occidente sono state molteplici in questi due ultimi secoli, dal colonialismo vero e proprio a forme neocoloniali che di fatto hanno condizionato lo sviluppo storico di quegli Stati. Finendo per rendere le nostre ingerenze, i nostri sogni di affermazione del nostro modello culturale, incubi per quelle popolazioni che in diversi modi e maniere hanno sempre subito gli effetti delle nostre azioni ed ingerenze di politica estera.

Tra l’altro il nostro modello laico e il nostro modello di Stato (democratico), risultano nella realtà dei fatti attualmente indigeribili per quelle società. E’ difficile proporre la democrazia, frutto laico del pensiero illuminista in società dove storicamente religione e politica sono sempre (tranne pochi illuminati esempi, Ataturk in Turchia) strettamente legate e connesse. Ripeto nella laicissima Libia di Gheddafi, dei comitati rivoluzionari, dove negli anni ottanta, si predicava la democrazia, addirittura diretta, le leggi erano sottoposte, sia pure formalmente da una commissione coranica (sempre compiacente con il leader) il cui vaglio era obbligatorio per l’efficacia delle stesse leggi. Ricordo che in alcuni casi le autorità libiche arrivavano a veri escamotage per laicizzare leggi che erano sottoposte alle usanze religiose islamiche*.
Mustafa Kemal Ataturk

Il primo ministro francese Valls ha detto che la guerra è già in corso, naturalmente contro il fondamentalismo, e se un uomo di pace come il Papa dichiara che è cominciata la terza guerra mondiale, vuol dire che il ruolo dell’occidente e dell’Europa diventa decisivo nella costruzione di equilibri internazionali che mettano fine alle fonti principali del terrorismo. A partire dallo Stato Islamico che avanza sulla spinta non solo delle proprie fanatiche convinzioni ma anche dei petrodollari, ricavati dai conquistati pozzi petroliferi di Mosul in Irak e con il sostegno economico e spesso anche logistico di molte personalità di Stati arabi, considerati spesso alleati degli americani e per il cui nome, Bush scateno’ la sua tempesta nel deserto contro il dittatore Hussein in Irak, visto che questi dopo il Kuwait aveva esplicitamente e sfacciatamente minacciato tutta la penisola arabica.

E’ del tutto evidente che le forme di governo (specie quelle democratiche) non sono esportabili con la forza in altri paesi. E che ogni processo democratico ha richiesto tempo e sofferenze, ne sa qualcosa proprio la nostra Europa. Credo che proprio il nostro continente sia stato immobile, impassibile, rispetto ad uno scenario politico mediorientale assolutamente fosco e ricco di inquietudini, altre volte schizofrenicamente, invece è stato illogico, precipitoso, come nella vicenda Libia e Gheddafi dove forse si sono voluti regolare più conti interni all’Europa, si veda la Francia di Sarkozy, che dare risposta alle domande di libertà che da quel paese proveniva. Risultato Gheddafi ucciso, la libertà non è mai arrivata ed in cambio una buona parte di quel territorio, alle nostre porte, si è arreso al califfato e al fondamentalismo.

Una guerra lunga ed atipica.

Quella che si apre è dunque una guerra mai dichiarata (e a chi si dovrebbe dichiarare?), che si prospetta lunga e che non si muoverà secondo i cliché tradizionali. Una guerra globale fatta di droni, spionaggio, di bombardamenti su alcune aree (si veda Kobane e l’eroica resistenza kurda), di intelligence per anticipare le mosse di terroristi inviati dagli Stati del “terrore” e da dormienti che come in America o in Francia sono pronti a colpire all’improvviso.

Temo ci attenda almeno un decennio d’instabilità ed insicurezza. Come le stesse autorità francesi spiegano ad ogni occasione non è lo smantellamento della cellula terroristica di Coulibaly, che risolve la questione. In Europa ci sono oltre cinquemila terroristi pronti ad agire e quasi sempre si tratta di cittadini europei, non di immigrati come strumentalmente un’irresponsabile destra cerca di far credere.

Il che non vuol dire che i flussi d’immigrazione non vadano regolati, che non sia da mettere definitivamente in opera una strategia europea comune. In tal senso creare una polizia europea dei sistemi integrati d’intelligence, fino all’idea di un esercito comune diventano passaggi decisivi, per la vittoria di questa guerra ed ogni anno perso è un aiuto agli islamisti. La politica di accoglienza deve essere una politica responsabile, il transito degli immigrati deve essere oggetto di tutti gli accertamenti necessari, forme di schedature diventano indispensabili per filtrare gli arrivi.

Chi viene in Europa deve accettare senza se e senza ma, le leggi e gli usi di quei paesi e se vi sono esigenze religiose queste vanno contemperate e svolte nel rispetto dei paesi che accolgono. Perché in Europa la politica è laica. Finanche la democrazia cristiana, a dispetto del nome, fu un partito formalmente laico, laicità che fu difesa con le unghie e con i denti finanche dai suoi fondatori in testa De Gasperi.

Ma è anche nell’interesse degli americani e dell’Europa farsi carico delle instabilità del mondo musulmano, arginandone se non annientandone i fondamentalismi. Si tratta di farsi carico di quelle esperienze politiche che vanno aiutate come l’Egitto di oggi retto dal generale Abdel Fattah el Sisi, che dopo un colpo di Stato predica la conciliazione tra democrazia e religione. E’ credibile? Naturalmente no, ma l’eletto democraticamente Morsi, a capo dei Fratelli musulmani, è stato credibile per gli equilibri internazionali? Naturalmente no.
De Gasperi

Si dice che il Marocco è democratico (un po’ bizzarro che una monarchia lo sia, ma del resto anche l’Inghilterra ha una regina). Sicuramente il Marocco è un paese da sostenere ed aiutare come tutta l’area del Maghreb, ma è evidente che vanno risolte le questioni in alcune aree come la citata Libia, la Siria (dove finalmente si sta ritornando al sostegno per Assad, che costituisce il male minore), l’Irak che diventa uno dei luoghi che più difficilmente potrà essere stabilizzato, per non parlare degli equivoci rapporti con l’Afghanistan, il Pakistan, l’Arabia Saudita. Che sono paesi con diverse problematiche. Nel primo caso il rischio talebano è sempre presente, negli altri due bisogna convivere con regimi ambivalenti, dove la mediazione politica deve essere una costante e dove bisogna costruire politiche di interlocuzione che favoriscano la stabilizzazione dell’area.

Va infine trovato anche un punto di equilibrio sulla questione palestinese, che rischia di marcire tra interessi e particolarismi nei vari clan che gestiscono la lotta di liberazione contro Israele, senza dimenticare che anche quest’ultima è percorsa da altri fondamentalismi. In tal senso l’opera di pacificazione, l’idea di due Stati contigui che possano ciascuno nella loro autonomia costruire una relazione pacifica deve essere qualcosa di più di un sogno.

Passando alla Cecenia, piaccia o no dobbiamo fidarci, nel comune interesse, “dell’amico Putin”, affinché l’area caucasica e della Cecenia, nonché delle altre piccole repubbliche a maggioranza musulmana, non divengano serbatoi di quella guerra santa dichiarata dai califfati.

Ma è evidente che alcuni confronti anche bellici e armati sul territorio non sono più differibili. In questo senso la pressione diplomatica verso una Turchia che ambisce ad entrare in Europa deve essere costante. L’assedio di Kobane è stato favorito a lungo dalla indecisa ed equivoca posizione di Ankara che con la guerra alle porte non è intervenuta per allontanare quella linea di fronte dell’ISIS dal proprio confine e pur di non favorire i curdi, si è determinata a fare di quella città l’esempio di un martirio.
Non bastano i bombardamenti, o l’invio di armi leggere (come ha fatto l’Italia a favore dei kurdi), occorre misurarsi sul campo, andare a prendere di persona, come si fece con Osama Bin Laden, i capi dell’ISIS, occorre, a mio avviso, smantellarne e disarticolarne le truppe e questo richiederà probabilmente un intervento anche di terra. Dopodiché occorrerà presidiare in forze quei territori, non come avvenne in Irak alla caduta di Saddam Hussein, avendo un governo non necessariamente democratico ma che sia utile alla stabilità di quell’area e alla ricostruzione di una forma di Stato credibile ed autorevole.

In Nigeria, il governo legittimo evidentemente non riesce nemmeno con l’aiuto del Camerun o di altri paesi africani a risolvere la partita, occorrerebbe andare li e mettere fine a Boko Haram, che ormai quotidianamente fa scempio di ogni senso dell’umanità. Per far cessare il fenomeno bisogna che l’occidente si faccia garante degli equilibri politici di quelle aree che oggi sono a rischio.

Federica Mogherini

L’eliminazione dell’ISIS o di Boko Haram o di quei gruppi fanatici spesso sostenuti occultamente da governi sulla carta nostri alleati è essenziale, perché da noi è vero che ci sono “lupi solitari” ma troppo spesso, ben organizzate e finanziate, ci sono vere e proprie cellule del terrore, ma è ineludibile che la loro sconfitta parte dalla perdita di punti di riferimento, per cui o nel nome dei quali queste cellule e questi “dormienti” operano con tale virulenza.

Certo anche le recenti misure messe in moto dalla Mogherini e dall’Europa per frenare il passaggio di europei a sostegno del fondamentalismo e il loro rientro sono, penso, buone misure, ma da sole sono carenti. Occorrerebbe una complessiva opera di risistemazione dell’area, occorre, un dialogo tra le potenze (America, Europa, Russia, Cina ed altre) affinché questo nostro mondo possa ritrovare equilibri più stabili e regole più certe per governare questa complessa epoca di globalizzazione.

Nicola Guarino

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.

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