Le mille e una notte del Teatro del Carretto e il dolore delle donne.

A Milano è andato in scena lo spettacolo della Compagnia del Carretto “Le mille e una notte” per la regia e drammaturgia di Maria Grazia Cipriani. L’amore criminale e la follia, dai miti greci ed orientali all’attualità dei femminicidi, il teatro racconta il dolore e le ingiuste sofferenze delle donne.


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Si apre il sipario, un cantastorie sta dormendo sul proscenio e d’un tratto viene svegliato da due carillon: sono inquietanti teschi in abito da sposa. Mentre accende la scena con piccole candele, il cantastorie inizia a raccontare del sultano Shahriyar che, per vendicarsi dell’infedeltà della prima moglie, uccide sistematicamente le spose al termine della prima notte di nozze.

Shahrazad, figlia del Visir, decide di porre fine alla strage e si offre così come sposa al sultano. La sua strategia consiste nel narrare una serie di storie incastonate l’una nell’altra.

Per mille e una notte il sultano viene ammaliato da queste storie unite da un filo che è rosso come il sangue delle donne che hanno subito violenza.

La sofferenza femminile imperversa già nella mitologia greca: Arianna abbandonata da Teseo sull’isola di Nasso; Eco, la più incantevole ninfa della montagna, della quale, consumata dal dolore per il rifiuto di Narciso, rimasero solo le ossa e la voce; Dafne costretta ad annientare il suo bell’aspetto e farsi trasformare in albero per fuggire alla brama dell’ “infocato” Apollo.

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Shahrazad non poteva tralasciare il racconto del mito di Follia che, accecando per sbaglio Amore con le spine di una rosa, le promette di non abbandonarla mai. “Amore è essere posseduti dalla follia del divino” spiega Galimberti. La follia potrebbe però tramutare l’uomo in bestia così come si evince nella lotta uomo – minotauro.

Scatenando la sua violenza l’uomo è pari ad un animale. Ed è in questo modo che vediamo il sultano Shahriyar, un bruto con movenze primitive che impreca esprimendosi con un linguaggio tribale. Al termine della narrazione, egli rinuncia alla sua legge disumana e rende salva la vita della sua sposa grazie all’ingegnoso espediente della donna.

E’ un teatro fisico ed appassionante quello del Carretto, con interpreti eccezionali (Giacomo Vezzani, Elsa Bossi, Nicolò Belliti) che mantengono sempre vivo e curioso il pubblico anche attraverso momenti ironici che stemperano la tematica dolorosa. Un teatro di mitologie e storie antiche ma anche di denuncia sociale e cronaca: nell’ “Asta degli orrori” cinici battitori vendono abiti insanguinati appartenuti a donne vittime delle guerre del Novecento e dei terrificanti episodi contemporanei. “Gracias a la vida che mi ha dato tanto” intona con flebile voce Elsa Bossi.
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La canzone della cilena Violetta Parra, che per Joan Baez rappresenterà il manifesto contro la dittatura di Pinochet, apre e chiude lo spettacolo. Uno speranzoso inno alla vita come ribadisce un bel verso della poetessa Sandra Carresi “In un battito di ciglia il desiderio di vita nell’oro del sole, nel giallo del girasole”.
Democrito sosteneva “se subisci un’ingiustizia consolati: la vera infelicità consiste nel commetterla”.

Nonostante le ingiustizie la vita và ringraziata, lo sanno bene le donne che la donano.

Chiara Lostaglio

Fotografie © Guido Mencari (www.gmencari.com)

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Chiara Lostaglio
Attrice e critica cinematografica e teatrale, è laureata in Scienze della Comunicazione e diplomata in recitazione cinematografica presso la Vision Academy e Studio Cinema Film & Theatre Institute di Roma. Ha lavorato in diverse produzioni cinematografiche, televisive e teatrali. Scrive di cinema e teatro su diversi magazine on line. Ha insegnato Storia e critica del Cinema presso l'Unilabor. Fa parte del direttivo del Cineclub Vittorio De Sica- Cinit che organizza mostre cinematografiche, lezioni e laboratori di cinema nelle scuole e nelle carceri. Ha presentato film e si è occupata delle relazioni esterne in diversi eventi e festival di cinema, ultimo il Foggia Film Festival. Attualmente insegna Cinema nei licei.

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