“La guerra dei cafoni” di Carlo D’Amicis, riletta da Sergio Rubini

Non si tratta di quella “guerra” secolare dei cafoni contro le classi padronali e sfruttatrici, temi cari a Ignazio Silone di “Fontamara” o a Corrado Alvaro. E’ una guerra piuttosto invisibile, relegata agli umori degli anni ’70, quelli floridi di confronti e di scontri; una guerra sul filo della ilarità e del ricordo, in bilico tra inadeguatezza esistenziale ed una personale rivolta per un bisogno di riscatto. E’ una rilettura piuttosto moderna quella che fa lo scrittore italiano Carlo D’Amicis (Taranto, 1964) ne “La Guerra dei cafoni” (Minimum Fax, già candidato al Premio Strega).

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Ed è in Puglia, sulla costa salentina, che si snoda il racconto e l’emozione di quegli “impareggiabili” anni ’70 (almeno per quella generazione di giovani e di adolescenti), in un peculiare conflitto che oppone i ragazzi benestanti di un villaggio e i loro conterranei figli di pescatori, pastori e contadini, detti appunto (non senza disprezzo) “cafoni”.

Ad alimentare questa sorta di guerra è il quattordicenne capo dei “signori”, Angelo, soprannominato Francisco Marinho (dal nome di un calciatore brasiliano dei Mondiali di Germania del ‘74), detto anche il Maligno. Tormentato dall’odio per i cafoni, l’adolescente si scontra in nome di un presunto ordine sociale, della divisione di classe, della continuità storica. Ma quando, per un tragicomico equivoco, subentra una punta di compassione, o forse di amore verso una giovane cafona, le vicende ardite muteranno in un conflitto interiore e di rinsavimento.
La guerra dei cafoni non sarà più scontro ma lotta di conquista, arrampicamento, disordine collettivo e interiore. Un piccolo mondo “antico” di ragazzi ansiosi del cambiamento collettivo che in quegli anni (non soltanto politicamente) esaltò il nostro paese.

Quanto all’autore, Corrado Augias, commenta: “D’Amicis è uno scrittore capace di gettare uno sguardo obliquo su ciò che accade e sui personaggi, illuminando così di comici bagliori la realtà”.

Sergio Rubini porta a teatro La Guerra dei Cafoni

Recentemente Sergio Rubini, attore regista e sceneggiatore di consumata esperienza, di scuola felliniana, originario anche lui di Taranto, con uno spettacolo di affabulazione, ha tratto del testo di D’Amicis una rivisitazione affettuosa, carezzevole per certi aspetti, coccolando l’idea che gli anni ’70 furono anni irripetibili, difficili certo, ma colmi di idealità mai sopite.

Musica, teatro e poesia si incrociano in un viaggio della memoria che forse ai più giovani non dirà molto, ma che rinverdisce ricordi e nomi che hanno raccontato un’epoca, il Sud e non solo, i borghi e la voglia non proprio “vitellonesca” di partire, di confliggere con un mondo arcaico pur tuttavia amatissimo.

“Siamo in un momento storico – sostiene Rubini a margine del testo – in cui bisogna tornare ad osservare gli anni Settanta quando non avevano ancora incontrato i rovinosi anni Ottanta. Erano anni di passioni, in cui si dava molta importanza ai giovani e da loro ci si aspettavano i cambiamenti. Quindi, ricominciamo dagli anni Settanta, questo testo è una maniera per ricordarli”.

Armando Lostaglio

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Armando Lostaglio
ARMANDO LOSTAGLIO iscritto all'Ordine dei Giornalisti di Basilicata; fondatore del CineClub Vittorio De Sica - Cinit di Rionero in Vulture nel 1994 con oltre 150 iscritti; promotore di altri cinecircoli Cinit, e di mostre di cinema per scuole, carceri, centri anziani; autore di testi di cinema: Sequenze (La Nuova del Sud, 2006); Schermi Riflessi (EditricErmes, 2011); autore dei docufilm: Albe dentro l'imbrunire (2012); Il genio contro - Guy Debord e il cinema nell'avangardia (2013); La strada meno battura - a cavallo sulla Via Herculia (2014); Il cinema e il Blues (2016); Il cinema e il brigantaggio (2017). Collaboratore di riviste e giornali: La Nuova del Sud, e web Altritaliani (Parigi), Cabiria, Francavillainforma; Tg7 Basilicata.

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